“Coriandoli il giorno dei morti” di B. Traven
un “caso” letterario irrisolto
Inizio questa recensione premettendo che non sono un grande fan della prosa di B. Traven, ma ammetto per contro che poche dinamiche nella letteratura del Novecento mi affascinano quanto quelle relative al “caso Traven”. Generalmente introdurrei l’opera con due parole sul conto dell’autore e l’edizione recensita (per la cronaca: B. Traven, Coriandoli il giorno dei morti, a cura di Vittorio Giacopini, traduzione di Lydia Magliano, Racconti edizioni 2019), ma il punto è proprio questo: a sessant’anni esatti dall’ultima opera pubblicata a suo nome (Aslan Norval, Desch 1960), dell’autore non sappiamo assolutamente niente con certezza. E dire che i suoi libri godettero di un successo clamoroso nel primo Novecento: da Il tesoro della Sierra Madre (1a ed. it. Longanesi 1948, tradotta dall’edizione inglese da Teresa Pintacuda; 1a ed. originale Der Schaltz der Sierra Madre, Gutenberg 1927) è stato tratto il film omonimo diretto da John Huston (The Treasure of the Sierra Madre), interpretato da Humphrey Bogart e vincitore di tre premi Oscar nel 1948. Di questi, uno andò a Walter Huston come migliore attore non protagonista, gli altri due a John Huston, per la regia e per la sceneggiatura. Alla sceneggiatura del film B. Traven contribuì attivamente: all’invio di una ventina di pagine contenenti consigli di varia natura al regista Huston succedette l’invio sul set di un consulente, tale Hal Croves, incaricato dallo stesso Traven. Inutile dire che da subito in molti pensarono che Croves non fosse altro che B. Traven sotto mentite spoglie, ma questa non è che una delle teorie circa l’identità dello scrittore: l’attore anarchista statunitense Ret Marut, il sindacalista tedesco Otto Feige, il fotografo di Traven Torsvan, di origine norvegese ma residente a Città del Messico, Esperanza López Mateos, sorella del futuro presidente messicano Adolfo, il misterioso Hal Croves.
Queste le principali proposte di identificazione dell’artista. Hal Croves morì il 26 marzo 1969 a Città del Messico. Lo stesso giorno, la moglie Rosa Elena Luján tenne una conferenza in cui dichiarava che il nome del marito fosse Traven Torsvan Croves, nato a Chicago da padre norvegese e che in vita aveva utilizzato gli pseudonimi di B. Traven e Hal Croves. Successivamente la moglie tenne una nuova conferenza stampa per specificare che i genitori migrarono dagli Stati Uniti alla Germania, dove Croves pubblicò il suo primo romanzo La nave morta (Das Totenschiff, Verlag 1926). Sempre secondo le dichiarazioni della moglie, fu condannato a morte per aver pubblicato una rivista antinazista, ma riuscì a scappare in Messico dove avrebbe proseguito l’attività di scrittore fino alla morte.
Quale che sia l’identità dell’autore, una domanda sorge spontanea: perché ci incuriosisce così tanto? Penso a un mio amico, che prima di leggere un libro o guardare un film cerca sempre su internet il volto dell’autore. Ma a che giova avere necessariamente un nome, un cognome, un volto a cui legare lo scrittore dei romanzi che leggiamo? Prendiamo il caso di Elena Ferrante: l’autrice sarebbe nata a Napoli il 5 aprile del 1943. Punto. Fine. Di lei non una foto, un video, una testimonianza dei compagni di classe, un parente, nulla, salvo farsi strada prepotentemente nel panorama letterario nazionale e internazionale: le sue opere, pubblicate da E/O, riscuotono da subito un enorme successo commerciale e dalla maggior parte di esse vengono realizzati adattamenti cinematografici e televisivi. Dai primi due libri della tetralogia L’amica geniale sono tratte le sceneggiature per una serie televisiva che è stata trasmessa, oltre che da RAI a livello nazionale, nientemeno che da HBO, la stessa emittente che ha trasmesso serie come I Soprano, The Wire e Game of Thrones. Anche qui abbiamo numerose proposte di identificazione (Anita Raja, Goffredo Fofi, Sandro Ferri e Sandra Ozzola, Marcella Marmo, Marcello Frixione), ma nessuna conferma. Nonostante tutto, la rivista «Time» ha inserito Elena Ferrante tra le 100 persone più influenti del mondo nel 2016.
Ma da cosa dipende questo bisogno di identificazione dell’autore da parte del pubblico? Mi spiego: qui non si tratta di filologi che ricercano disperatamente indizi sull’identità di misconosciuti poeti del Quattrocento in archivi polverosi per poter ricostruire biografia, cronologia, lezione dei testi dell’autore. Parliamo di un pubblico di appassionati, specialisti e non, che si arrovellano per ricostruire la vera identità di uno scrittore. Ma che importanza ha questa “vera” identità, alla fin fine?
Lo stesso B. Traven affermava, d’altronde, che la biografia di un artista non dovesse rivestire alcuna importanza nell’approccio alla sua opera: l’unico metro di giudizio dovrebbe essere l’opera stessa, e niente più.
Se questa posizione può essere facilmente confutata da uno storico dell’arte o della letteratura i quali necessitano di tutta una serie di riferimenti interni ed esterni all’opera per poterla contestualizzare e analizzare in modo pertinente, questo discorso non può essere certo applicato al fruitore occasionale per il quale effettivamente, al di là del testo, cos’altro importa?
Che quel testo sia opera di un giovane commercialista ungherese biondo, basso e tarchiato che si improvvisa scrittore o di una anziana docente giapponese di letterature contemporanee mora, alta e snella con una navigata carriera di scrittrice, che cambia in sostanza se il testo assolve – o non assolve – alla funzione di rappresentare un’esperienza piacevole? Non è mia intenzione fornire risposte (sempre che esistano), ma mi basta stimolare una riflessione sul peso che componenti quale il fascino per il mistero, l’ignoto e una cultura strettamente legata alle immagini e in particolare al ritratto rivestano nella costruzione del valore sociale del prodotto artistico – e letterario in questo caso particolare. La cosa più interessante del caso Traven è che oggi, a distanza di sessant’anni da questo successo incredibile, l’autore è come finito nel dimenticatoio, come se l’aura di mistero che lo ha avvolto in vita e ne ha favorito il successo, dopo la morte si fosse affievolita col tempo, fino a sbiadirne persino il ricordo.
Ancora una volta Racconti edizioni ha il merito di restituire all’attenzione del pubblico artisti e opere di primo piano che, per varie vicissitudini, sono andati progressivamente scomparendo dall’orizzonte degli editori italiani – e di conseguenza dei lettori –, e che è invece giusto rendere accessibili ai lettori di ogni tipo (penso, ad esempio, ai racconti di Margaret Atwood, che hanno poi avuto una discreta eco nell’edizione Racconti, o ai racconti di Virginia Woolf usciti col titolo Oggetti solidi); Coriandoli il giorno dei morti è una raccolta corposa di racconti di B. Traven (Il grande industriale; Storia di una bomba; Un affare da cani; Diplomatici; Un rimedio infallibile; L’onore della famiglia; La lettera di ringraziamento; La compravendita di un somaro; Una storia davvero cruenta; L’uomo di guardia; La cartuccia di dinamite; La conversione degli indiani; La migrazione di sant’Antonio; Un’iniziativa assistenziale azzeccata e Una visita notturna nella giungla), impreziosita dall’introduzione e dalle illustrazioni di Vittorio Giacopini, nella speranza che possa rappresentare un punto di partenza per la riedizione delle opere dell’autore, ad oggi quasi del tutto irreperibili in lingua italiana.