Dai diamanti non nasce niente: “Frammenti di una gestualità amorosa”
di Serena Pompili
Io sono prigioniero di questa contraddizione: da una parte, credo di conoscere l’altro meglio di chiunque e glielo dichiaro trionfalmente («Io sì che ti conosco! Solo io ti conosco veramente!»); e, dall’altra, sono spesso colpito da questa evidenza: l’altro è impenetrabile, sgusciante, intrattabile; non posso smontarlo, risalire alla sua origine, sciogliere il suo enigma. Da dove viene? Chi è? Mi esaurisco in sforzi inutili: non lo saprò mai (Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso).
È con questa citazione che penso sia giusto introdurre la recensione di Dai diamanti non nasce niente: Frammenti di una gestualità amorosa, l’esordio poetico di Serena Pompili. Un testo che si ispira all’opera in cui Barthes, secondo l’autrice, «associa l’analisi dell’amore nella letteratura alle sue esperienze personali, creando una promiscuità tra vita e arte nella quale mi sono da subito rivista». La raccolta si sviluppa attorno a venti gesti, tutti declinati con un verbo all’infinito. Venti sono anche le tappe in cui Pompili suddivide il suo personale viaggio negli intrichi di quel lutto amoroso da cui far nascere, come cantava Faber, i fior. È, quello descritto, un cammino ascendente che racconta la trasformazione del sentimento che da passione realizzata si fa dolore. Davanti al disastro di un amore frustrato che muta in malattia e tuttavia permane, Pompili sembra dirci che non resta che tentare di debellare questo morbo ed esorcizzare tutto con un ultimo gesto: scrivere.
Gesto n.3: Trovare
[…]
Sii felice! Tu non apparterrai mai
A questo lugubre inventario
Che chiamo Poesia!
In questi versi fortemente autobiografici riconosciamo la stessa Serena: quegli occhi grandi e chiari, quella pelle diafana, quei capelli rossi che la fanno assomigliare a un quadro preraffaellita (quegli stessi quadri che accompagnano le liriche: «Ho scelto alcuni dettagli di quadri che credo aiutino il lettore a crearsi una certa atmosfera e che diano una forma visiva alla gestualità evocata nella scrittura»). Tutta la sua timida dolcezza e la sua placida riservatezza si ritrovano qui a far sentire la loro voce, lasciando da parte il riservato timore di essere sempre di troppo, l’affacciarsi al nostro caotico mondo badando sempre a non fare rumore.
Ciò che traspare dal poetare di Pompili è la concretezza delle immagini evocate che ci colpiscono per la loro forza nel descrivere tutta la potenza del quotidiano e privato rapporto fra corpi. Sono allora i raggi che filtrano dalle fessure di una finestra e che si disegnano sulla liscia e nuda pelle, la curva della schiena, i capelli su una fronte imperlata di sudore a restituirci tutta la violenta realtà della perdita. Ma anche un monito per sé e per la persona perduta: mai più. Il suo è un poetare che sa di antico, una mano che adagia un manto di broccato sopra la catena di parole ispirate da Petrarca, Proust, Dickinson e Michaux.
Gesto n.9: Perdere
Etilico
Sei evaporato
Innalzato
Verso il cielo
Ad inebriare
Altri Regni.
Pompili ci parla di quel sentore dell’abbandono che si fa minaccia, di quel precipitoso cadere nella gelida e indifferente dimenticanza, di quella spietata e disperata memoria ancorata ai gesti tesi verso quel qualcuno di cui non rimane che un vuoto. Assordante. Rovinoso. Che consuma. Il dolore del distacco da una pelle che ci sembra aver conosciuto meglio di chiunque altro. È la mancanza il filo rosso che tesse i venti frammenti. Una mancanza viscerale che violenta la carne e arde negli occhi. Il ricordo dell’incontro di due anime, dell’allaccio di due corpi. Una assenza che si trasforma in garbuglio di invisibili ragnatele che avvolgono in una stretta mortifera un cuore ormai esanime, un intrinseco bisogno di pienezza che, una volta perduta, non può essere colmata che da scarno pianto.
Serena dipinge poi il senso di rassegnata impotenza davanti alla perentoria decisione di porre fine a un legame, la risoluzione che viene presa dal singolo per entrambi, un no che recide la gioia, un invito declinato contro cui non si può combattere. Si può odiare, certo, ma messo di fronte al fatto compiuto, nulla può uno spirito infranto. Quel sentimento che sapeva di beatitudine è invero araldo di un amore prima tanto avaro e poi così prodigo di solitudine e clausura.
Gesto n.13: Mancare
Umida era la tua presenza.
Aridità ora mi pervade.
La poesia diviene perciò uno strumento che ci rende capaci, per dirla con Calvino, di «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
Pompili ha smesso di inseguire fantasmi, ha preso in mano la penna imprimendo sulla carta il male oscuro che si era avvinghiato alle sue membra, è risalita dal pozzo di un’ebbrezza abortita e rinnegata, si è inginocchiata fra la cenere muta, collezionando le rovine del dolore con mani screpolate, ha calmato i tizzoni roventi rimasti abbeverandoli con fredde lacrime, consegnandoci una raccolta che sa di riscatto e splendenza.
Affido a voi queste poesie.
Fatene buon uso.