E tu splendi, invece: l’adolescenza e il corpo nella letteratura
La pubertà e l’adolescenza rappresentano il momento in cui l’accettazione del sé di un individuo è più fragile e maggiormente messa alla prova. La trasformazione del corpo avviene senza preavviso, o spesso non se ne sanno cogliere i segnali, e l’adolescente fatica a riconoscersi, lontano com’è dal bozzolo in cui è cresciuto. La propria immagine allo specchio assume connotazioni differenti e si scatena una guerra alle leggi della famiglia, fino a quel punto le uniche ad avere valore, in direzione di un forsennato tentativo di adeguamento al mondo esterno, per via del bisogno di libertà e indipendenza che si fa sempre più pressante. Il confine tra non piacersi e non piacere è come incrinato e sorge una paura nuova, quella di non “valere abbastanza” o, meglio, non nel modo opportuno. L’abito, il trucco divengono strumenti precipui per mascherare quel corpo in cui ci si sente a disagio, per costruire se stessi anche sulla base di ciò che i media propongono e, talvolta, impongono. Nel corso della letteratura di ogni tempo, l’adolescenza è stata a più riprese un punto focale di discussione insieme alla scoperta del proprio corpo e della sessualità, si ricordino le Confessioni di Rousseau in cui il protagonista scopre i primi piaceri sessuali in conseguenza alle punizioni della signorina Lambercier; ma anche Calvino ne Il barone rampante, in cui Cosimo si rifugia sugli alberi a seguito di una discussione col padre, per un piatto di lumache, e ricerca una piena e più matura coscienza di se stesso all’esterno del legame familiare.
Da Il barone rampante, capitolo X:
Cosimo stava volentieri fra le ondulate foglie dei lecci e ne amava la screpolata corteccia, di cui quand’era sovrappensiero sollevava i quadrelli con le dita, non per istinto di far del male, ma come d’aiutare l’albero nella sua lunga fatica di rifarsi.
Ecco che Cosimo, protagonista curioso e impaziente, va alla ricerca di quel che c’è sotto la corteccia, quasi a voler accelerare la metamorfosi stessa della pianta. E il suo atteggiamento nei confronti della suddetta è il medesimo che ha verso se stesso, Calvino dice ancora: “Era il mondo ormai a essergli diverso, fatto di stretti e ricurvi ponti nel vuoto […]. Mentre il nostro mondo s’appiattiva là in fondo e noi avevamo figure sproporzionate e certo nulla capivamo di quel che lui sapeva […]”. Impossibile capire e capirsi, dunque, rinchiusi ciascuno, il mondo degli adulti e l’adolescente, in un limbo proprio e personale senza una via d’uscita inequivocabile.
Ma è proprio l’ambiguità il tratto distintivo dell’adolescenza, al punto che risulta difficile stabilire se l’atteggiamento sia di carattere conformista o anticonformista: l’abito e i comportamenti sono fattori allo stesso tempo di aggregazione e di distinzione. Nel primo caso sono un segnale lampante del desiderio di integrazione all’interno di un gruppo più vasto ed eterogeneo di quello della famiglia, d’altra parte, tuttavia, sono dimostrazioni di una necessità di distinguersi. Quest’ultima interpretazione è quella a cui si accosta anche Pasolini, che svela un’ipocrisia comune: la volontà di distinzione propria dei giovani è, in realtà, di conformazione. L’autore infatti analizza una situazione specifica dell’adolescente sull’asse temporale: il miracolo economico (1959-1963). Si considerino ad esempio le “Lettere luterane” del 1975, in cui vi è un’acerba denuncia alla società consumistica degli anni Sessanta. I giovani tendono ad un modo di vivere apparentemente opposto e anticonformistico rispetto alla loro origine sociale, mentre, in verità, è unicamente omologazione al moderno consumismo. Riporto qui una parte di lettera rivolta ad un ragazzo di Napoli, Gennariello, cui l’autore si rivolge per metterlo in guardia:
“La terza cosa che ti viene insegnata dai destinati a morire è la retorica della bruttezza. Mi spiego. Da alcuni anni, i giovani, i ragazzi, fanno di tutto per apparire brutti […] fin che non sono del tutto mascherati o deturpati non sono contenti […] si vergognano della bellezza del loro corpo. Chi trionfa in tutta questa follia sono appunto i brutti: che sono divenuti i campioni della moda e del comportamento. Ed ecco che essi ti insegnano a non splendere. E tu splendi, invece, Gennariello”.
Da evidenziare, in primo luogo, è la dicitura “destinati a morire”: Pasolini indica con quest’espressione una categoria di giovani che, a suo parere, sarebbero costretti a morte sicura se il progresso scientifico non fosse arrivato a questo punto di sviluppo. Essi insegnano agli altri giovani un atteggiamento di rifiuto e di disperata rinuncia nei confronti della vita, ma anche l’infelicità e infine la cosiddetta “retorica della bruttezza”, cioè una tendenza a distinguersi dal mondo degli adulti mediante la volontà di imbruttirsi. Perciò i giovani, per non essere più i “bambini belli” del passato, giungerebbero a mascherarsi indossando pantaloni strappati, sudici e piercing e tatuaggi, con l’illusione di comportarsi autonomamente e di sfidare gli adulti, obbedendo, però, a un nuovo tipo di conformismo.
Un momento delicato, dunque, in cui l’individuo diventa il centro d’incontro di pulsioni e tendenze opposte, le quali scatenano una confusione aberrante e una costante insoddisfazione per l’impossibiltà di creare se stessi. Eppure il tema del corpo in trasformazione non è tipico soltanto della letteratura e non riguarda soltanto l’ambito maschile. Nelle arti figurative, infatti, col trascorrere del tempo, è stata la donna a divenire protagonista. Si pensi all’arte contemporanea e, in particolare, ad artisti quali Schnarremberger e Balthus. Nelle loro opere, “Nudo femminile allo specchio” e “Nudo allo specchio”, costoro rappresentano due punti di vista diametralmente opposti. La prima ritrae una fanciulla nuda con le braccia sul seno, evidentemente imbarazzata dai primi segni della pubertà incalzante e che getta uno sguardo torvo allo specchio. Non vede se stessa, bensì una fanciulla candida, che forse rappresenta l’infanzia perduta. Si assiste quindi ad uno sdoppiamento: da un lato dello specchio vi è, realisticamente, l’intensa carica emotiva del corpo metamorfico della ragazza, dall’altro la connotazione onirica di una sagoma pura, che contrasta con lo sgomento di quello che dovrebbe essere il mondo reale.
Nella seconda opera, come accennato, Balthus mostra una figura efebica, nuda, al centro di una stanza spoglia, che è quasi ipnotizzata dalla propria immagine riflessa in un piccolo specchio. Ma la vera protagonista è la luce, che inonda i capelli, tornisce il busto e gli arti acerbi e slanciati e ne accende lo sguardo. La perfezione della scena elimina ogni riferimento alla concretezza e colloca la situazione fuori dal tempo, in un’autocontemplazione che non lascia alcuno spazio al mondo. Ecco che anche questa giovane “splende”. E la luce che la investe è, in realtà, la medesima intesa da Pasolini, quella dell’innocenza, dell’infanzia che, per quanto cominci ad allontanarsi, perstiste come un’aura e conferisce l’ “alito” della vita ad un nuovo tipo di individuo, che rifulge su tutti gli altri.
Perciò, si è visto come l’indagine circa la metamorfosi del corpo durante l’adolescenza sia complessa e conduca a risultati, spesso, opposti. Indubbiamente il peso che la letteratura ha attribuito al rapporto trasformazione-adolescenza-corpo in ambito maschile è maggiore, tuttavia ciò non implica che manchino studi dello stesso in ambito femminile. Ed è altrettanto vero che, molto spesso, quest’ultimo ha imboccato vie differenti (si pensi al tema dell’iniziazione fra le pagine di Sibilla Aleramo). Ed è, in ogni caso, molto affascinante analizzare il modo in cui la trattazione assuma caratteristiche differenti sulla base del mezzo e del contesto storico con i quali si relaziona.