Elena Ferrante. Poetiche e politiche della soggettività
Risulta difficile immaginare, oggi, un lettore cui suoni nuovo il nome di Elena Ferrante. Dal successo straordinario della tetralogia L’amica geniale (vero e proprio capolavoro editoriale, pubblicato, come tutte le sue opere, da e/o tra il 2011 e il 2014), alla fortuna dello sceneggiato da essa ricavato, a partire dal 2018, di cui sono state prodotte le prime due stagioni sulla base dei primi due volumi, mentre sono già iniziati i lavori di produzioni per una terza e una quarta stagione basati sui restanti titoli della saga, trasmesso a livello internazionale dal colosso HBO e andato in onda, su territorio nazionale, in prima serata su Rai 1, il nome di Elena Ferrante si è ricavato uno spazio editoriale e mediatico sempre più preminente.
A questa fortuna ha contribuito forse il mistero creatosi intorno all’identità celata dietro lo pseudonimo di Elena Ferrante: si sono formulate nel tempo numerose ipotesi per ricostruire l’identità dell’autore che si cela dietro questo nome (la più accreditata delle quali riconduce alla nota traduttrice partenopea Anita Raja), ma ad oggi non sono giunte conferme ufficiali di sorta: Elena Ferrante non si è mai mostrata in pubblico e le uniche informazioni disponibili sono quelle deducibili dalle opere pubblicate a suo nome e dalle interviste rilasciate, di tanto in tanto, esclusivamente in via telematica.
L’uscita per una casa editrice specializzata nelle pubblicazioni di saggistica di un volume monografico di studi su Elena Ferrante, tratto dalla prima tesi di dottorato discussa su territorio nazionale dedicata interamente all’opera di Ferrante, pubblicato da un docente del corso di Master in Studi e Politiche di Genere dell’Università degli Studi Roma Tre e col sostegno del corso di Master stesso rappresenta un primo, importante riconoscimento in ambiente accademico.
Isabella Pinto, nel corso del suo dottorato in Studi Comparati, conseguito presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, ha condotto uno studio che vediamo oggi pubblicato col titolo Elena Ferrante. Poetiche e politiche della soggettività (Mimesis 2020), per la collana DeGenere, dedicata appunto alla trattazione e all’approfondimento del genere letterario, che per gentile concessione dell’editore abbiamo avuto modo di leggere in anteprima.
Lo studio presenta un’analisi dell’opera di Elena Ferrante che prende le mosse dalle acquisizioni della critica letteraria psicanalitica e femminista in particolare, operazione che, se spesso presta il fianco a polemiche e corre il rischio di generare esiti illegittimi e a volte grotteschi (penso a certe letture psicanalitiche dell’opera di Dante), in questo caso ha il merito di trarre linfa dalle riflessioni della stessa Ferrante, raccolte prevalentemente nel volume La frantumaglia (che è uscito, con revisioni e ampliamenti, in tre diverse edizioni, nel 2003, nel 2007 e nel 2016), nel quale è ben evidente l’importanza che il fascino di Ferrante per questi studi ha rivestito nell’elaborazione delle sue opere e della sua poetica.
Il volume si suddivide in tre parti, ognuna delle quali è fondata su un diverso nucleo di opere di Ferrante selezionate a partire da un denominatore comune, che funge da macroargomento per le varie parti: la prima, Mitopoiesi. Il ciclo delle madri cattive prende le mosse da L’amore molesto (1992), I giorni dell’abbandono (2002), La figlia oscura (2006) e La spiaggia di notte (2007); la seconda, Diaspora. Temporalità letteraria e “fantasia di autofiction” si sofferma sulla tetralogia, mentre la terza e ultima Performatività. Autorialità diffratta e la “narratrice traduttrice” prende spunto dagli scritti de La frantumaglia e L’invenzione occasionale (2019) per approfondire il tema del rapporto tra narrazione e traduzione, ben presente nelle riflessioni di Ferrante (e tra i principali indizi presi a sostegno dell’identificazione con Raja).
Il saggio di Pinto rappresenta un’occasione di approfondimento per i lettori di Elena Ferrante e in generale per gli studiosi di critica di genere, che vi troverebbero una discreta quantità di spunti che spaziano dal rapporto tra letteratura e traduzione alla complessa questione dell’autobiografia letteraria e dell’autofiction, al rapporto tra mitologia e rielaborazione letteraria, interpretato in maniera del tutto peculiare nelle opere di Ferrante; se una critica va mossa, sarebbe stato forse opportuno fare un uso più razionale dell’apparato di note e delle virgolette alte, magari adottando le caporali per distinguere le citazioni testuali.
Del resto, chi scrive può riconoscere l’interesse per un lavoro simile pur avendo letto ‒ senza apprezzare particolarmente ‒ la tetralogia di Ferrante, e pur senza aderire ad alcune idee sviluppate dal pensiero femminista (in particolare quelle sul canone letterario) riconosce che uno studio come quello di Pinto avrà il merito di porre all’attenzione della critica lo studio di un’opera che ha avuto un’importante risonanza editoriale e mediatica, e che ora vede l’opera di essere inquadrata e letta in una prospettiva più seria, con risultati che saranno senz’altro molto interessanti e oggetto di dibattiti e approfondimenti futuri.