L’uomo ordinario e il suo riscatto
felicità e invidia in Dostoevskij e Walter Benjamin
L’uomo ordinario non ha paura di essere tale. Sarebbe piuttosto sciocco, o quantomeno ridicolo disperare della condizione che più di tutte accomuna le persone: il fatto stesso di essere “comuni”. Possiamo accettare questo nostro stato, odiarlo a dismisura, ma mai e poi mai potremmo averne il timore. L’uomo ordinario è il cruccio di ogni scrittore.
Che ha da fare il romanziere con le persone assolutamente ordinarie, comuni, e come deve presentarle al lettore per renderle in qualche modo interessanti?
Si chiede questo Fëdor Dostoevskij (1821-1881) in una delle parti più squisite del suo capolavoro L’Idiota. Lo scrittore russo in poche righe solleva una questione limpida, familiare per chi, almeno una volta, si sia cimentato a narrare una storia. È un desiderio legittimo, quello di parlare alla gente e raccontare qualcosa di nuovo, voler catturare il lettore con una vicenda che susciti curiosità e intrigo; altra cosa è caratterizzare quella stessa gente, renderla a suo modo straordinaria quando essa quasi per definizione si perde nell’anonimato – un briciolo di pane nella vaga mollica dei “più”, che gusto avrebbe?
Lo scrittore davvero capace è colui che assaggia e fruga entro le minuzie di ogni giorno, cavandone qualcosa di grande. Per Dostoevskij, questi porta il nome di Gogol’. L’autore de Le anime morte sarebbe colui che, come un setaccio passato sulle persone, ne estrapola quei particolari raffinati e un poco eccentrici, quei tratti sublimi e anormali che ognuno di noi naturalmente possiede, portandoli alla luce affinché il lettore, qualunque esso sia, leggendo di esse possa dire: “Eccomi! Sono io!”. Non si tratta di evitare l’ordinario, né di cadere nella convinzione che esso sia stimolante così com’è. Quando si scrive, tutto sta nel mettere a nudo ora questa, ora quella tipicità e aspetto, dando loro un tono più vivo fin quasi a esagerarli, giacché nella vita reale “ci passano e corrono davanti ogni giorno, ma in uno stato, direi così, alquanto diluito”. Questo in parte spiega come talvolta certi tratti di noi rimangano latenti nel quotidiano, delle chicche che, per quanto semplici, restano inespresse e prive di orgoglio – e quante volte, invece, le abbiamo trovate nei personaggi a noi più cari: ci siamo sentiti meno soli, al tempo stesso particolari, in una parola, lusingati.
Ricercare in sé l’originale. È questo, secondo Dostoevskij, ciò che l’uomo ordinario il più delle volte tende a fare. In un modo o nell’altro, egli trova sempre dentro di sé quel tocco in più, quel principio di bizzarria o di genio che lo tiri via dalla carreggiata, lontano dal sentiero preimpostato che tutti, al contrario, sembrano imboccare. C’è chi s’immagina e si persuade di essere un tipo fuori dal comune, e dentro questa illusione si bea ed è felice; e d’altro canto, non appena si infila la medaglia al collo, ecco che gli è impossibile coprirne l’altra faccia. L’uomo comune, infatti, non è stupido, conserva in cuor suo il beneficio del dubbio, e quando infine capisce di esser normale alla stregua di tutti gli altri, nel migliore dei casi si rassegna, nel peggiore si dispera.
È scritto che non debba mai nascere nel vostro spirito o nel vostro cuore la minima idea personale. Siete smisuratamente invidioso; avete la ferma convinzione di essere un grandissimo genio; il dubbio nondimeno vi assale qualche volta, nei momenti neri, e allora siete pieno di livore e d’invidia.
Capita che verso i più grandi o migliori di noi si provi come un sentimento d’irritazione, un tedio sottile e interno al proprio io che spesso si risolve in vera e propria invidia. Desiderare ciò che non si possiede sembrerebbe minare l’idea che tutti abbiamo di felicità, una felicità che pure tocchiamo con mano, ma nelle esperienze altrui, al punto da poterla riconoscere, in noi, come manchevole.
Questo è quanto rileva Walter Benjamin (1892 – 1940) nelle sue Tesi di filosofia della storia. Secondo il filosofo tedesco, quella felicità che genera invidia guarda solo e unicamente al passato, verso le storie che abbiamo conosciuto, le persone che abbiamo incontrato. Non possiamo provare invidia per un futuro di cui ancora non abbiamo esperienza, possiamo soltanto fare i conti con chi conosciamo e stimiamo di già, chiedendoci se potremo mai reggere il confronto, creare allo stesso modo qualcosa di nuovo – di rivoluzionario. Anziché rimuginare sui fatti accaduti, il compito dello storico è invece quello di far emergere gli aspetti del passato che ancora non sono stati compiuti; felicità, in questo senso, non è solo ciò che appartiene al passato, ma ciò che dev’essere realizzato in futuro, un agire diverso, il riscatto di una generazione alla quale è consegnata una forza.
Leggere Dostoevskij con il filtro di un testo filosofico che anzitutto ragiona sul concetto di storia, non è che l’ennesimo indizio del fatto che l’esperienza della storia inizia sempre, immancabilmente dall’individuo – e questo Benjamin lo sapeva bene, pur reputando “L’Idiota” un romanzo «tremendo»! Quello che preme, qui, è il tentativo di rovesciare quel sentimento di nullità che almeno una volta l’uomo comune è chiamato ad affrontare.
Il tratto più caratteristico di questi signori, è che realmente in tutta la vita loro non riescono a sapere con certezza che cosa debbano scoprire e cosa siano stati sul punto di scoprire: la polvere o l’America?
La penna di Dostoevskij con appena qualche pagina ha tritato milioni di cuori. L’uomo può certo convivere con l’illusione della propria genialità; ancora, può scegliere di coltivare un sentimento così fragile come l’invidia semplicemente guardandosi le spalle, constatando come ciò che è stato fatto sia precluso alla sua mediocrità. Viceversa, può decidere di rendere efficace nel presente quel che nel passato non è stato fatto mai, attuando quel cambiamento che Benjamin, storicamente e politicamente, avrebbe voluto su una scala più grande. La paura di essere comuni non è contemplata, cosa più importante, non può essere una scusa per credere che i “senza nome” non siano capaci di niente. Ognuno di noi può redimersi a modo suo, basta solo saper guardare.
Bibliografia:
Fëdor Dostoevskij, L’Idiota, Einaudi tascabili, 1994.
Fonte per l’immagine: https://www.illibraio.it/dostoevskij-delitto-e-castigo-728545/