Genere, costume e identità ne “La Dodicesima Notte” di William Shakespeare
Innanzitutto è necessario definire questi termini e metterli in relazione con il periodo elisabettiano, durante il quale Shakespeare scrisse La Dodicesima Notte (tra il 1599 e il 1601).
Il “genere” è comunemente definito come “lo stato di essere maschio o femmina”: questa è la definizione più semplice, ma va considerato che “essere maschio o femmina” non è solo un fatto biologico. Il genere infatti è connesso con l’identità, la quale a sua volta è legata al costume e ad altri “stereotipi” come il comportamento e la posizione sociale. La definizione più complessa è dunque quella dell’identità: questo lemma, dal latino “identitas”, in origine significa “uguaglianza”; originariamente dunque l’identità era correlata più col senso di comunità (avere delle qualità in comune con un dato gruppo) che con quello di individualità. Nel periodo elisabettiano il termine assume un significato strettamente legato alla personalità, ma quest’ultima era prevalentemente connessa con il ruolo e la posizione sociale (ogni genere e classe sociale aveva un ruolo prestabilito da rispettare).
Nell’opera di Shakespeare il genere, il costume e l’identità sono profondamente investigati. Come possiamo facilmente dedurre da alcuni dialoghi di questa commedia, nel periodo elisabettiano gli stereotipi riguardo al genere erano assai numerosi. Le donne sono descritte come creature fragili e sensibili e il concetto di bellezza è legato alla verginità e alla giovinezza (Orsino II.4, 38: “ For women are as roses whose fair flower, being once displayed, doth fall that very hour.”). Shakespeare tuttavia pone profondamente in discussione questa categorizzazione maschio/femmina e l’identità in generale, utilizzando una sottile ironia e una sorta di metateatro: possiamo comprendere più facilmente chi interpreta chi rispetto a chi è chi nella commedia. In alcuni personaggi possiamo anche trovare il desiderio di cambiare il proprio sesso o una sessualità “non definita” che sembra voler rimuovere il genere dal personaggio per farne una pura “essenza” di soggettività ed emotività non definibile come eterosessuale o omosessuale (come la passione di Olivia per Cesario/Viola, l’attrazione di Antonio per Sebastian, l’ammirazione di Orsino per Cesario).
Viola/Cesario è una figura molto ambigua nella commedia. Nell’Atto I, scena 2, annuncia la sua decisione di vestirsi da eunuco per servire Orsino, ma l’azione rimane inconclusa ( e non possiamo determinare se sia l’autore o il personaggio a cambiare idea). In ogni caso questa decisione ci fa percepire nella personalità di Viola una sorta di forza e mascolinità: il suo personaggio sfiora la figura dell’androgino, dirigendosi verso l’immaginario e staccandosi dal reale. Va ricordato che all’epoca gli attori erano solo uomini, dunque un ragazzo interpretava una donna che si travestiva da uomo, creando una certa ambiguità sessuale, anche a causa del costume molto aderente del personaggio che metteva estremamente in risalto l’anatomia della gamba. Viola/Cesario è una figura identificabile solo attraverso la propria soggettività e non attraverso il genere, ma questo è solo uno dei personaggi “ambigui” creati da Shakespeare.
Un altro elemento determinante nella commedia è quello del costume: va tenuto conto che in epoca Elisabettiana la moda rivestiva un importantissimo ruolo sociale. In quest’opera l’autore descrive molto precisamente gli abiti e i loro materiali, spesso investiti di significato ed espressione sociale. Lo stretto codice d’abbigliamento dell’Inghilterra Elisabettiana e la relativa cura ed attenzione per l’esteriorità crea nei personaggi maschili di Shakespeare dei toni spesso molto “femminili” (particolarmente in Malvolio e Sir Aguecheek). Nell’opera troviamo anche molti riferimenti a materiali pregiati e lussuosi (seta, velluto, taffetà, damasco…) connessi a desideri proibiti: all’epoca fu imposta una legge che vietava il lusso sfrenato e manifestato. Ma il costume in La Dodicesima Notte nasconde più di quanto non riveli: come Olivia sceglie di nascondere il proprio volto dietro ad un velo (e dunque di nascondere il proprio dolore), Viola decide di mascherare completamente la propria identità e il proprio genere usando gli abiti di Sebastian. Shakespeare decide di far pronunciare proprio a Feste, il pazzo, il buffone della storia, una delle frasi più esplicative del proprio pensiero riguardo al genere e all’identità: “cucullus non facit monachum”.