Chiara Masotti
pubblicato 3 anni fa in Letteratura

“I ragazzi terribili” di Jean Cocteau

“I ragazzi terribili” di Jean Cocteau

Il verbo amare è uno dei più difficili da coniugare: il suo passato non è remoto, il suo presente non è indicativo, il suo futuro non è che un condizionale.

Questa tragedia-romanzo, pubblicata nel 1929 (in Italia edita da Rizzoli nella traduzione di Giovanni Fattorini), riunisce tutti i temi principali della produzione di Cocteau: adolescenza, fatalità, poesia, ma soprattutto il binomio inscindibile amore e morte, protagonista del dramma teatrale sin dai tempi antichi. Cocteau porta questo mix esplosivo all’estremo, turbando e lasciando perplesse le coscienze: il lettore resta confuso, senza una strada da seguire. Ma non è che la metafora dell’adolescenza, e l’autore vuole restituire precisamente queste sensazioni, questo senso di disorientamento.

Non a caso per Cocteau il compito dei poeti non è «quello di essere ammirati, ma di essere creduti per ciò che vedono e sanno, ciechi alla realtà e consapevoli dell’essenza delle cose», e la verità è che l’adolescenza è un’età difficile e affascinante: è il tempo dei segreti. Anche i legami che si stringono in questi anni ne rispecchiano la complessità: spesso ambigui e travolgenti, sono dominati dalle emozioni più che dalle parole, e anche quando si rompe il silenzio del cuore il linguaggio è equivoco, fuorviante per i ragazzi stessi e incomprensibile per gli adulti.

È un mondo a parte, e nonostante tutti noi lo abbiamo vissuto, ce ne dimentichiamo.

A ricordarcelo intervengono la maggior parte dei personaggi di Cocteau, soprattutto questi enfants terribles: i fratelli Elizabeth e Paul, l’amico Gérard, il bullo Dargelos e la collega Agathe. La loro storia si sviluppa quasi sempre in spazi chiusi: è nella camera che i giovani custodiscono gelosamente il loro universo fatto di gioco, fantasie, miracoli e sonnambulismo. A contatto con il mondo esterno il loro disordinato equilibrio sembra rompersi: è in una sera di neve che Paul riceve in pieno petto il colpo di Dargelos, il ragazzo dei suoi sogni. La delicatezza della neve si unisce alla violenza della pietra: è così che Dargelos lo “stella” (sostantivo che si fa verbo anticipando il simbolo adottato dal poeta nella sua firma), agendo come un incantesimo sui suoi sentimenti, e Paul finisce per ammalarsi di amore e tubercolosi. La convalescenza, lunga una vita, lo trasformerà in un individuo passivo e debole, governato dal demone possessivo della sorella. Nonostante i tentativi di lei di tenerlo lontano dal mondo esterno, Paul non perderà mai la sua ossessione per Dargelos: il desiderio irromperà violentemente anche quando conoscerà la nuova collega di Elizabeth, Agathe, che sembra ricordare i lineamenti del ragazzo.

Agathe si innamora di Paul, Gérard di Elizabeth, ma quest’ultima gioca con i destini di tutti e, dominata da un istinto animale più che da una vera malvagità, tesse un piano folle per mantenere il controllo su Paul. Di fronte alle bugie e al legame simbiotico tra i due fratelli, gli amici non sono altro che spettatori impotenti, e la tragedia si consuma. Orfani abbandonati a sé stessi, i ragazzi terribili recitano il loro ruolo fino alla vera e propria tragedia, che si consuma qualche anno dopo, quando sono ormai adulti per volere del fato.

«Quali sono i miei veri eroi? Dei sentimenti. Delle figure astratte, che tuttavia vivono e le cui esigenze sono enormi» scrive Cocteau in La difficulté d’être. E se è vero che i protagonisti non sono allegorie, bisogna riconoscere che sono simboli di un disegno universale, cifre di un’operazione matematica che si risolve solo nella catastrofe finale della morte.

Sin dal mondo greco, eros è inesorabilmente legato a thanatos, e Jean Cocteau lo sa bene: ha solo undici anni quando muore il vero Dargelos, suo compagno di scuola, e tante altre figure maschili lo abbandoneranno precocemente in vita (prima fra tutti il padre), lasciandolo solo con il suo genio controverso. Ma come scrive Pascal Schembri nel meraviglioso libro Jean Cocteau, La squisitezza del mondo (Odoya, 2018), «La Morte irrompe col suo orrore, il Poeta, che è il creatore per eccellenza, risponde con la squisitezza della vita».

Come Antigone sceglie l’amore e non l’odio per reagire al tragico, così il poeta si eleva al di sopra della morte e fa nascere da quest’ultima la sua devozione all’amore e alla vita. La creazione artistica è dunque un inno alla tragedia, «la più alta espressione dello spirito di contraddizione» e in essa il poeta, uomo tra due mondi, ha colto l’essenza della vita. Di cosa può morire la morte, se non d’amore?

Nel movimento imprevedibile dei giovani, in una recita continua dove regnano l’attrazione e l’indifferenza, la debolezza e la gelosia, vincono crudeli le regole del dominio amoroso, che conduce, attraverso una lirica sublime, all’autodistruzione. 

Quest’opera scandalosa e perturbante è una piccola epopea che racchiude solo alcune delle tante forme d’arte in cui si cimentava il suo autore: se qui ritroviamo il dramma teatrale, il romanzo e le illustrazioni, l’attività completa di Cocteau si declinava anche attraverso la pittura, la musica, la saggistica, la pubblicità e il cinema. Siamo di fronte a un grande esempio di artista totale: poliedrico e imprevedibile, la capacità di Cocteau di esplorare mondi nuovi lo rese inviso a molti.

Oggi non ci sono più dubbi che questo eclettico rappresenti una delle personalità più significative della cultura del Novecento francese. Sottraendosi a ogni classificazione e «attribuendo alla creazione artistica l’unica vera nobiltà», Cocteau espande grazie alle sue impeccabili metamorfosi il concetto di artista, e ne rivela l’identità: questi è colui che ama la vita per le sue immense opportunità creative e che «prima trova e poi cerca» meraviglie. È infatti nell’incessante ricerca di delizia della vita, tra alti e bassi, tra oscurità ed epifanie, che il suo sguardo si amplia, si commuove e si fa eterno.