Il bisogno di letteratura e d’affetto in Susan Sontag
Rinata. Diari e appunti 1947-1963
Amare fa male. È come accettare di farsi scorticare sapendo che in un qualunque momento l’altra persona può andarsene via con la tua pelle.
Nel 2018 Nottetempo ha pubblicato per la collana Ritratti (che contiene titoli che indagano la quotidianità e la sfera più intima di personalità interessanti della letteratura e dell’arte come Giulio Einaudi, Paul Celan, Alberto Giacometti e Giorgio Manganelli), la traduzione dei primi diari e taccuini della scrittrice e critica americana Susan Sontag.
Il libro si apre con la prefazione del figlio David Rieff, che spiega l’origine lunga e travagliata di questa pubblicazione: l’ordine e la selezione dei testi non è dell’autrice che, nonostante fosse consapevole della sua malattia incurabile, non diede mai disposizioni sul destino delle sue opere non ancora edite (forse perché non avrebbe neanche mai voluto vedere pubblicati scritti così intimi).
Susan Sontag mi è sempre sembrata dotata, nei suoi lineamenti e nelle espressioni catturate dalle fotografie, di una bellezza dura, quasi come se uno scultore avesse modellato la sua fronte, i capelli, gli occhi scuri, in modo grezzo e deciso. Questa stessa tagliente sicurezza si ritrova in questi diari, che costituiscono il primo di tre volumi e che coprono gli anni dal 1947 al 1963.
È il 23 novembre 1947 ad esempio, e una Susan quattordicenne scrive: “Credo che la cosa più desiderabile al mondo sia la libertà di essere fedeli a sé stessi, vale a dire l’Integrità” o ancora “Credo, inoltre, che uno Stato ideale debba essere forte e centralizzato, con il controllo governativo dei servizi pubblici, banche, miniere + trasporti e sovvenzione delle arti, un salario minimo confortevole, il sostegno ai disabili e agli anziani. Assistenza statale alle donne incinte senza alcuna distinzione tra figli legittimi + illegittimi”.
La maturità delle sue riflessioni, che spaziano dal senso della vita al divino, dalle ingiustizie sociali alla ricerca della felicità, colpisce e fa riflettere di continuo il lettore. La giovane Susan passa da un argomento all’altro senza soluzione di continuità, e più volte si ha l’impressione che la velocità del suo pensiero sia così alta e irrefrenabile da non permettere a lei stessa di esprimerne ogni sfumatura per iscritto.
Allo stesso tempo però la sua capacità analitica, che la renderà una delle più grandi intellettuali del Novecento, si intravede nelle liste, metodiche e ordinate, nelle quali incastra le sue letture, ampissime (a quindici anni già attraversano le letterature, da André Gide a Hermann Hesse, da Christopher Marlowe a Thomas Mann – che da universitaria intervisterà qualche anno dopo – dai Fratelli Karamazov a La concezione goethiana del mondo) e negli elenchi puntati, con i quali cerca di scomporre e spiegare la realtà.
Molto interessante è notare come la sua critica dei testi e degli autori letti sia già, a questa altezza cronologica, sempre netta e risoluta: “[…] ho aperto un volume dei racconti di Kafka, e una pagina della Metamorfosi. È stato come ricevere un colpo fisico, l’assolutezza della sua prosa, pura realtà, niente di forzato o di oscuro. Lo ammiro più di ogni altro scrittore! Accanto a lui, Joyce è così stupido, Gide così – sì – sdolcinato, Mann così vuoto e pomposo. Solo Proust è altrettanto interessante – o quasi. Ma Kafka, anche nella frase più disarticolata, ha quella magia della realtà che nessun altro moderno possiede, una specie di brivido + un dolore cupo e lancinante nei denti.”
Oltre a questi commenti più letterari, che confermano la genialità della sua figura e ci mostrano l’importanza e la venerazione riservata alle sue letture, ciò che Rinata permette è di avere accesso al lato più segreto e più umano di Susan Sontag.
Se l’autrice infatti, soprattutto nell’ultima parte della sua vita, cercò di non parlare della propria omosessualità, comunque sempre dichiarata e mai nascosta, in queste pagine si ritrova tutto il suo percorso di scoperta della sessualità: le prime relazioni, le delusioni e le piccole felicità, le timide esperienze sessuali, il matrimonio appena diciassettenne con Philip e soprattutto i suoi due diversi grandi e dolorosi amori giovanili.
Il primo, con Harriet Sohmers Zwerling, che poi si concluderà perché “non che H non mi ami più, perché non l’ha mai fatto; ma non partecipa più al gioco dell’amore. Non mi amava, ma eravamo amanti” e il secondo, con la drammaturga María Irene Fornés: “Per I amare qualcuno significa metterlo a nudo. Per me amare qualcuno significa appoggiarlo, sostenerlo anche quando mente”.
Susan a trecentosessanta gradi, quindi, descritta nel suo bisogno intellettuale e sessuale: tanto brillante, acuta e sicura nei suoi giudizi sul mondo e sulla letteratura, quanto incerta, esitante nel suo ambito privato; violenta e decisa nelle sue posizioni, ma fortemente in difficoltà, lei, sempre così razionale, nel momento in cui si ritrova a fare i conti con ciò che prova: “Come si fa a conoscere i propri sentimenti? Credo di non conoscerne neppure uno adesso. Sono troppo impegnata a radunarli e a puntellarli.”
Rinata ci restituisce perfettamente, nelle più di trecento pagine, un’immagine di Susan Sontag reale e vivida, fluttuante nel desiderio mimetico girardiano nell’attesa di un mediatore capace di svelarle le sue emozioni, vittima di una sorta di condanna a farsi oggetto, costretta ad accontentare e impressionare gli altri, a mantenere sempre certi standard in ogni aspetto della sua vita.
Mi considero “una persona che ci prova”. Provo a piacere, ma ovviamente non ci riesco mai.
Sollecito io stessa la mia infelicità, poiché per l’altra persona è evidente che ci sto provando. Dietro il “sono così brava che fa male” si nasconde: “Sto provando a essere brava. Non vedi com’è difficile! Sii paziente con me”.
Di qui una volontà di fallimento che spesso – tranne che nel sesso – è frustrata dai miei talenti. E allora sminuisco i miei successi (le borse di studio, il romanzo, i lavori). Tutto ciò diventa irreale ai miei occhi. Ho l’impressione di indossare una maschera, di fingere.”
A Rachel, per quello che ha detto, per quello che è e per quello che farà.