Lorenzo Paolini
pubblicato 7 anni fa in Cinema e serie tv

Il filo nascosto

Phantom Thread

Il filo nascosto

Paul Thomas Anderson firma un altro capolavoro, e lo fa ancora con Daniel Day Lewis (e purtroppo per noi, potrebbe essere l’ultimo film del sodalizio,infatti Lewis ha annunciato il suo ritiro dalla recitazione proprio nel 2017).

Perchè un capolavoro? Perchè Phantom Thread rimane impresso nel cuore dello spettatore anche giorni dopo la visione, come se l’esperienza cinematografica andasse oltre sé stessa per diventare qualcosa di concreto per lo spettatore che si trova a viverla.

Ma andiamo per gradi. Film del 2017, non solo diretto ma anche scritto e sceneggiato da Anderson (come del resto spesso fa), racconta la storia di un famoso londinese, Reynolds Woodcock, interpretato da Danile Day lewis, stilista che domina la scena della moda nella Londra del secondo dopoguerra. Sua sorella, Cyril Woodcock (Lesley Manville) lo aiuta a gestire l’atelier e svolge un ruolo importantissimo nella sua vita, in quanto unica donna in grado di stargli vicino (o almeno cosi si crede) perché l’amore per Woodcock sembra esistere solo in funzione del suo lavoro e le donne, di cui comunque si attornia, sono solo un accessorio della sua esistenza e quindi del suo lavoro. Fino a quando, dopo essersi recato nella sua abitazione di campagna, durante la colazione in un locale del posto, non incontra l’umile e pudica Alma Elson che sedurrà e verrà sedotta dal noto stilista. Reynolds decide quindi di sceglierla come modella e sua donna e ha così inizio una complessa storia di amore che tra parossismi e idiosincrasie, si risolverà in una tortuosa spirale che condurrà alla fine del film, svelandoci quante sfaccettature può avere il significato della parola amore.

La complessità dei dettagli registici come i numerosi primi piani delle mani di Woodcock al lavoro, le atmosfere sospese, i silenzi complessi ed indecifrabili del personaggio, i primi piani del volto in cui tutto il profondo lavoro di attenzione sulle espressioni di Lewis-Woodcock emerge con la potenza di fuoco di una rivelazione improvvisa (spesso infatti Lewis parla con impercettibili movimenti e porzioni del viso, e questo può succedere solo quando un grande attore lavora in un grande film) fa da cornice e si snoda attraverso la semplicità di tutta la messa in scena, la chiarezza del punto di vista registico che permette di seguire il film tutto d’un fiato, nonostante la sua profondità, ed impreziosisce il rapporto tra i due protagonisti scolpendone la loro psicologia.

In sintesi, il regista coniuga perfettamente la semplicità della scena con la complessità della caratterizzazione dei personaggi, bilanciando perfettamente il peso del film.

Alla fine sembrerà di averli conosciuti i due protagonisti, di aver letto una loro biografia o di aver spiato gli sviluppi della loro intera storia d’amore attraverso il buco di una serratura e loro, nella stanza dietro la porta, impegnati a conoscersi e ad amarsi.

Lo sguardo della macchina da presa osserva con leggerezza e delicatezza, senza virtuosismi che ne appesantiscano la regia, la Londra del dopoguerra e il respiro della moda di quel periodo, così come osserva la magnificenza degli abiti e dei costumi che Woodcock disegna (oscar per i migliori costumi) e nondimeno riesce ad addentrarsi nell’intimità dei tre personaggi principali (Woodcock, Alma e Cyril) rivelandone con chiarezza le debolezze, le tenerezze, le perversioni e i sacrifici che ognuno di loro nasconde gelosamente o di cui vorrebbe liberarsi, in questo modo, vista la complessa portata sentimentale del film, spesso e volentieri lo spettatore si trova di fronte ad un’ambiguità di pensiero o azione di alcuni personaggi, ed in questi momenti, il film offre sospensioni degne di un thriller. Ora affascinato dalla complessità dell’artista-stilista, ora scosso dai sui comunissimi bisogni emotivi quando Alma fa breccia in lui, lo spettatore deve raccapezzarsi per trovare il preciso indirizzo del film, cercando un filo di Arianna che lo conduca fuori , ma non riuscendoci, si accontenta del filo nascosto di Woodcock, capendo che è l’unica possibile analisi per un film che racconta la più comune ed impossibile storia d’amore tra due persone che si amano sfogando l’uno nell’altro il più estremo bisogno d’affetto.