Friedrich Dürrenmatt, Il matrimonio del signor Mississippi
Friedrich Dürrenmatt è uno di quegli autori del Novecento che, pur essendo di diritto da annoverare tra i grandi della letteratura mondiale, in Italia non è mai riuscito ad affermarsi su un pubblico vasto di lettori. Ciò è dovuto in buona parte alla sua tormentata situazione editoriale, che ha portato un autore di testi brevi – a volte brevissimi – ad essere stampato in una moltitudine di volumi pubblicati da diversi editori. In questa situazione è lodevole l’impegno di Marcos y Marcos che, fin dai primi anni della sua attività, ha deciso di pubblicare una serie di testi dell’autore altrimenti non disponibili in traduzione sul mercato italiano (Nel cuore del pianeta; Mida; Romolo il grande; Franco Quinto; Il minotauro (poi pubblicato da Feltrinelli in F. Dürrenmatt, Racconti); Un angelo a Babilonia; Il matrimonio del signor Mississippi), permettendo al lettore italiano di avere a disposizione un numero sempre maggiore di testi di un autore che “va letto tutto”, data la continuità ferrea che lega tra loro le sue opere. La traduzione del volume è stata curata da Aloisio Landi, studioso di letteratura tedesca e fondatore del Partito Radicale del Lazio, morto suicida nel 1979. Se,da un lato, si potrebbero sollevare obiezioni sull’opportunità di una traduzione più recente dell’opera, è pur vero che essendo il traduttore di eccezione, ed essendo nella sua traduzione che si leggono altri capolavori del teatro di Dürrenmatt (I fisici, La visita della vecchia signora, editi da Einaudi, e Un angelo a Babilonia, edito da Marcos y Marcos), è più comodo per il lettore contemporaneo avere una traduzione riconoscibile ed omogenea di titoli così importanti. Il matrimonio del signor Mississippi, è una commedia che, in fin dei conti, di comico ha davvero poco. Di comico ha gli equivoci, gli intrecci, le situazioni ai limiti del paradossale, ma dietro questo schema proprio della commedia nasconde (ma neanche troppo) tutta una serie di riflessioni sulle ideologie, sui rapporti di potere, sull’amore e sulla verità e in particolare sull’impossibilità per l’uomo di arrivare ad essa, malgrado gli sforzi e il rigore nella sua ricerca. La forma del testo teatrale di solito scoraggia molti lettori, ma questo libro – vuoi per l’intensità dei dialoghi, vuoi per la vincente riuscita dell’espediente di non tenere mai in scena più di due, massimo tre personaggi contemporaneamente – permette una lettura assolutamente leggera e scorrevole, ricca di spunti di riflessione. L’intera opera, come da prescrizione aristotelica, si svolge in uno spazio unitario:
Una sola stanza, di cui veramente non è facile descrivere la magnificenza e il lusso tardo borghese. Ma poiché l’azione si svolge in essa e solo in essa, anzi, poiché si può dire che gli avvenimenti che seguono rappresentano la storia di questa stanza, ci arrischieremo a descriverla: fa semplicemente schifo
L’opera inizia, per così dire, dalla fine: Saint-Claude, uno dei protagonisti, è nella stanza, insieme ad altri tre personaggi, che gli dichiarano la sua condanna a morte. Il suo fantasma prenderà la parola rivolgendosi al pubblico per introdurre l’antefatto, che coincide con l’opera intera: in pratica tutto il dramma non è altro che un lunghissimo flashback. Quattro sono i personaggi principali: il signor Mississippi, appunto, giudice implacabile e famoso per la sua ferrea morale, che ha come solo obiettivo nella vita la restaurazione della legge mosaica. Agisce come sua controparte ideale il personaggio già citato di Saint-Claude, agente sovietico che progetta di attuare la rivoluzione comunista. A fianco a questi personaggi che ragionano per assoluti (si notino i nomi, vagamente allusivi, uno americano e uno francese) si affianca la figura di un medico, Bodone di Uebelohe-Zabernsee: questo personaggio dal buffo nome italo-tedesco sembra fungere da contraltare “umano” davanti a queste due figure che ragionano per assoluti: la medicina e l’assistenzialismo umanitario contro le grandi ideologie che spaccavano in due l’Occidente (e bisognerà ricordare come ne I fisici Dürrenmatt fa della fisica una sorta di filosofia contemporanea).
In mezzo a queste figure si colloca una donna del tutto normale, «non una Laura, né una Beatrice», ma una “semplice” Anastasia. Varrà la pena di ricordare come Anastasia, oltre alla celebre figlia dello zar Nicola II, uccisa durante la rivoluzione boslcevica, ha un nome che può significare “colei che rompe le catene” o anche “resurrezione”. Anastasia è il vero fulcro della vicenda, la figura da cui prende avvio l’azione e attorno a cui ruotano tutti i personaggi principali. Con un intreccio ricco di colpi di scena, e un finale che è il controcanto parodico tanto dei drammi romanzeschi di Shakespeare quanto del Faust di Goethe si chiude l’opera con cui, nel 1952, inizia brillantemente la carriera drammaturgica di Dürrenmatt. È un testo straordinario, che coniuga i modi della tragedia classica con i drammi moderni, e li sfrutta per riflettere e problematizzare i drammi dell’uomo contemporaneo, un’opera la cui lettura è imprescindibile per una piena comprensione tanto dei grandi capolavori dello scrittore svizzero quanto della sua poetica in generale.