Arianna Fontanot
pubblicato 8 anni fa in Letteratura

Il matrimonio nella società antica e medievale: la tomba dell’amore?

Il matrimonio nella società antica e medievale: la tomba dell’amore?

Nella civiltà antica, a Roma in particolare, come in molte civiltà moderne, il matrimonio era considerato un contratto volto a preservare rapporti di vario genere e a risolvere contrasti politici, economici o sociali. Esso era, e questa concezione persiste ancora oggi nell’opinione comune, non il luogo o la condizione in cui eros si esplica, bensì un legaccio, una catena, che proibisce all’uomo in quanto tale la propria piena realizzazione. E non stupisce che la società, e quindi la letteratura, di età augustea restituiscano un’immagine del “vero amore” extraconiugale, che si esplica e raggiunge la propria compiutezza non nel rapporto con la matrona, bensì in quello con una schiava, una liberta oppure una prostituta di alto lignaggio. Lo stesso Ovidio sostiene – ars amatoria, II, 153-160 – che la relazione amorosa extraconiugale sia preferibile perché dolce e priva di attriti fra gli amanti, i quali si incontrano in conseguenza di un sentimento prorompente e non di una legge. Dunque il matrimonio rende l’essere umano preda di una routine noiosa e schematica che affligge e spegne ogni sorta di ardore o desiderio erotico.

Properzio, Elegiae, Biblioteca Casanatense; Roma. http://www.gattosilvestro.net/lodo/coppiecelebri/immagini/properzio/prot_699.jpg

Properzio, Elegiae, Biblioteca Casanatense; Roma. http://www.gattosilvestro.net/lodo/coppiecelebri/immagini/properzio/prot_699.jpg

L’autentico sentimento d’amore diviene quello descritto dai poeti elegiaci: irrazionale, istintivo ed estraneo a qualsivoglia convenzione sociale; in effetti le donne degli elegiaci, si prenda ad esempio la Cinzia di Properzio, sono cortigiane o in generale di dubbi costumi, la Licoride di Cornelio Gallo era un attrice e, come tale, una poco di buono. Con queste ultime si possono intrattenere unicamente relazioni, per così dire, “irregolari”, le quali, per la loro precarietà costitutiva, suscitano ansie, tensioni, gelosie e sofferenze che le pongono sull’orlo di una crisi perpetua ma assolutamente soddisfacente per l’uomo, dotato di sensibilità profonda e tenacia, quale è il poeta elegiaco. Questi riscontra l’esigenza di siglare un nuovo foedus che abbia valore non giuridico ma in virtù delle leggi d’amore. Interessante a questo proposito l’elegia II, 7, in cui Properzio si rallegra per il ritiro di una proposta di legge matrimoniale che avrebbe costretto il poeta ad abbandonare Cinzia per sposarsi con una matrona. Egli mostra di subordinare all’amore ogni altro aspetto della vita, soprattutto familiare, anche quello della paternità:

Tu sola mi piaci; possa piacerti io solo, o Cinzia;
questo amore varrà più del nome di padre.

Naturalmente vi sarebbero innumerevoli altri esempi, ma si fa urgente la necessità di confrontare questa totale idiosincrasia delle nozze con una concezione, cronologicamente successiva, diametralmente opposta: quella della società medievale e cortese, nella quale la subordinazione alla domina da parte del cavaliere non preclude necessariamente il sentimento d’amore, o forse meglio, di “amicizia“.
È il caso, a mio giudizio, del romanzo di Chretien de Troyes intitolato “Erec et Enide”.

Erec et Enide

Erec et Enide

La vicenda narra di un nobile cavaliere della tavola rotonda che, sulla strada per la “giostra dello sparviero”, incontra l’incantevole figlia d’un valvassore, Enide, appunto. Conclusa la sua sfida vittoriosamente egli porterà la propria amata al castello per convolare a giuste nozze. Trascorre del tempo ed Erec dimentica, assorto com’è nei suoi doveri coniugali, tornei, cavalieri, compagni e valore cavalleresco, al punto da attirarsi l’accusa di recreantise. Enide, la sposa che lo ha involontariamente sottratto ai suoi doveri di compagnon, giunge in lacrime al cospetto del marito per rivelargli ciò che è stato detto a proposito del suo comportamento. Egli non riesce a sottrarsi al magnetico sguardo e dalla bellezza di una dama che pare precedere la Ginevra ammantata di “le chevalier de la charrete“, non può fare a meno di annegare come un Narciso nella bellezza irreale e avvolgente della domina, la maitrise. Così parte all’avventura per rimediare alle mancanze e trascina con sé la moglie. La seconda parte del romanzo, innestata su questa contraddizione lacerante di fascino e perdita del sé, mostra una complicità nuova e differente fra i due protagonisti, per la quale Enide si sentirà “fame et amie“: moglie e amica. Com’è naturale, la critica ha dibattuto molto su questa, presunta o reale, relazione di subordinazione. Vi è una parte, che vede concordi molti filologi, secondo cui, in ragione di quanto detto sopra, e ciò potrebbe ricordare la posizione di Properzio nei confronti del contratto matrimoniale, Enide assume le sembianze di un “oggetto” prezioso che passa dalle mani del padre a quelle del marito (cfr. vv. 675-676 “del tutto al vostro potere/ affido a voi la mia bella figlia). E questa tesi è suffragata dal fatto che Erec, una volta riacquisito il suo ruolo di cavaliere nella vicenda, in conseguenza delle famigerate otto prove cui si deve sottoporre, si dirà nuovamente pronto ad obbedire alla sua domina… benché l’occasione di farlo, e ciò si evince dalla narrazione, non si presenti mai!

Ecco allora che il testo si svela in una luce del tutto nuova: il ruolo della figura maschile pare estinguersi nell’esercizio dell’autorità maritale e l’amore che coinvolge i due è anch’esso “doppio”. Erec non è soltanto cavaliere né soltanto marito così come la relazione amorosa non è soltanto cortese, secondo le convenzioni della fin’amor, ma anche coniugale, secondo le leggi della società reale e quindi protagonista di una continua oscillazione. Quest’ultimo elemento, per tornare a Properzio e agli elegiaci latini, è forse quello che manca nel contesto augusteo: la coesione dei due aspetti della vita matrimoniale, quello più squisitamente contrattuale (cioè cortese) e quello propriamente coniugale. Ciò che intendo è che mentre Erec si adatta all’oscillazione fra il mondo del reale e quello della convenzione sociale, Properzio e coevi non hanno la consapevolezza, senza dubbio perché il periodo storico non è ancora sopraggiunto, della possibilità di questa duplicità e del fatto che l’annosa questione dell’amore extraconiugale possa essere discussa in termini meno superficiali e approssimativi o, quantomeno, non da un punto di vista meramente contrattuale.