“Il mio amico” di Daniela Matronola
Era da un po’ che non trovavo – in un racconto, in un romanzo – un amico, un grande amico, uno misterioso come Meaulnes, o irraggiungibile come Gatsby.
È con queste parole che, nella prefazione, Paolo di Paolo descrive il protagonista de Il mio amico di Daniela Matronola uscito qualche settimana fa per Manni Editori.
I quattro racconti che compongono l’ultima fatica di Matronola ci portano per mano alla scoperta à rebours di Mauro, un anestesista romano, che dedica la sua intera esistenza alla cura del dolore – o meglio – al tentativo di prevenire la sofferenza. Questa sua vocazione nasce, come spesso accade, da una esperienza traumatica che su di lui ha lasciato una ferita indelebile. La narrazione prende le mosse da un episodio che fa vacillare il solido mondo che Mauro credeva di aver costruito attorno a sé. Un improvviso malessere lo blocca e per la prima volta capisce di doversi fermare. La realtà lo assale senza che lui possa dominarla, come era invece abituato a fare:
Si sente anche lui in corsa verso un traguardo inevitabile. Si sente come quel cacciatore di squali che scivola verso fauci spalancate.
Il libro ci presenta e accompagna in una serie di incontri: quello di Mauro con sé stesso e i propri limiti fisici e psicologici, quello con il suo amico che riempie le pagine del racconto che dà anche il nome alla raccolta, quello con la sua futura moglie Sandra e infine quello con il fantasma del padre. Grande attenzione è infatti dedicata al rapporto conflittuale con il genitore che come un’onda torna incessante nella vita del protagonista. La sua presenza-assenza lo travolge in una risacca di rancore e ammirazione che lo attrae e lo respinge all’infinito. È, questo, un incontro-scontro i cui lividi affiorano ancora freschi nelle chiare dinamiche del ricordo.
In un vortice di stile dinamico e frizzante e un citazionismo mai esagerato (troviamo rimandi al mondo della musica e del cinema ma anche a quello della letteratura sia inglese, tanto cara all’autrice, che russa e francese) Matronola ci guida nella vicenda biografica del suo amico che, alla fine della lettura, finirà con il diventare anche nostro. Mauro rappresenta difatti una parte che alberga in ciascuno di noi: quel sentirsi in trappolati nella fitta rete di fili che noi stessi abbiamo tessuto nel tentativo di avvicinarci a qualcuno o a qualcosa e la cautela che applichiamo quando cerchiamo di non farli spezzare, quei fili.
Lo sguardo di sorpresa disapprovazione che gli altri, dall’esterno, rivolgono al protagonista perché incapaci di capire che quei movimenti che a loro appaiono assurdi non sono altro che il suo modo di non lasciarsi trascinare dalla corrente dei giorni è lo stesso che siamo costretti a subire anche noi.
Cercare il proprio ruolo nel mondo, tentare di decifrare la propria grammatica personale nella speranza di capire sé e gli altri è forse ciò che traspare con più intensità dalle righe di questa raccolta:
Io mi considero slegato da tutto, qui, anche se sto cercando di trovare un modo per appartenere se non a qualcuno almeno a un luogo.
La lettura de Il mio amico è, come direbbe uno dei suoi personaggi, una piccola esperienza dell’anima. Una chiacchierata con noi stessi, con le nostre paure e le nostre manie, che ci mette davanti a uno specchio intriso di realtà e sembra dirci che se il dolore, una volta esperito, ci rimane addosso è meglio cercare di curarlo o rimarrà una ferita mai sanata nella memoria delle nostre cellule.
Sono davvero pochi i gradi di separazione che ci dividono da Mauro perché, dopotutto, chi di noi non si è mai ritrovato solo nella bufera?