Il processo a Flaubert, un chirurgo letterario
È la fine del 1856 quando su La Revue de Paris viene pubblicato a puntate il romanzo Madame Bovary. Il suo autore, l’allora trentacinquenne Flaubert, scrive già da quasi vent’anni, ma è questo romanzo ad attribuirgli grande fama, soprattutto per la scostumatezza e l’ immoralità del contenuto che desta non poche polemiche. La Revue de Paris, rimasta in attività per oltre un secolo fino al 1970, è la prima a pubblicare romanzi a puntate e prima del 1856 aveva già accolto nelle proprie pagine alcuni scritti di letterati di grande spessore, come Stendhal e Balzac. Flaubert, respinto dalla Revue des deux mondes, pubblica il proprio romanzo sulla rivale Revue de Paris tra ottobre e dicembre, grazie anche alla raccomandazione dell’amico e compagno di studi Maxime Du Champ.
A gennaio dell’anno seguente Flaubert, e con lui il direttore e il tipografo del giornale, vengono accusati di immoralità dall’avvocato imperiale Ernest Pinard; a difenderli è l’avvocato difensore Marie-antoine-jules Sénard. Il processo, e soprattutto la sua natura etico-letteraria, ci offre oggi una serie di spunti di riflessione. Innanzitutto l’estensione dell’accusa a tre figure distinte, tutte complici della pubblicazione del romanzo, ci fa capire la grande responsabilità attribuita non solo ad autori e direttori ma anche ai tipografi, che potevano rifiutarsi di pubblicare materiale ritenuto osceno o sconveniente. L’accusa, inoltre, mostra da sé la propria cecità nei confronti delle vere intenzioni dell’autore: non è la ricerca di un modello di comportamento etico da imitare a spingere Flaubert alla scrittura di Madame Bovary, ma il desiderio di registrare la vita della provincia –il sottotitolo infatti è Mœrs de province-, senza idealizzarla o migliorarla. Flaubert non narra, ma descrive, e lo fa con una tecnica nuova e molto sottile; era figlio di un rinomato chirurgo, e sebbene la carriera da lui intrapresa non potesse essere più diversa da quella paterna, ereditò la capacità di sezionare la realtà, di mostrarne uno spaccato sincero. Di Flaubert l’amico Du Champ ha detto che era una specie di chirurgo letterario che seziona le passioni e fa l’autopsia del cuore umano; ancora, il critico Sainte-Beuve affermò che Flaubert usava la penna come altri il bisturi. È chiaro, quindi, che il suo sguardo andava ben oltre l’orizzonte dei benpensanti parigini e affondava come una lama nelle abitudini e nei costumi delle periferie, non per toglierne il marcio ma per rivelarne anche i lati più scomodi e sconvenienti. Il processo viene citato spesso nello studio della teoria letteraria perché ha portato alla luce anche una questione tecnica, legata al modo in cui lo scrittore sceglie di raccontare la vicenda, dove con modo si intende la scelta della voce cui affidare la narrazione. Scriverà Calvino circa cento anni dopo: Lo scrittore, sapendo di avere un io, si pone il problema: o di scrivere con l’io, […] oppure di non sapere dove metterlo, questo io, durante la scrittura. Le parole di Calvino evidenziano con chiarezza la distanza esistente tra il piano dell’autore e il piano del narratore che è a tutti gli effetti un personaggio inventato. Ecco dunque la novità introdotta da Flaubert che tanto scalpore ha scatenato, ossia il discorso indiretto libero, con cui il personaggio del narratore registra i pensieri intimi della protagonista senza però dichiarare il passaggio di consegna della narrazione. Il narratore sta raccontando con la propria voce, quando ad un certo punto inizia a rivelare le considerazioni che si srotolano nella mente di Emma senza segnalare i confini tra le due voci. Si crea così una sfumatura di ambiguità, una sovrapposizione di livelli che induce il lettore a simpatizzare per Madame Bovary e rischia di far pensare che anche l’autore approvi il suo modo di vivere, spegiudicato e anticonformista. Il lettore attento sa che non deve prestare fede al narratore, in questo caso: deve cioè fare un lavoro di distinzione dei punti di vista; questa tecnica sofisticata era considerata assai rischiosa dall’accusa, che intendeva la letteratura come un mezzo per offrire modelli di comportamento ottimi. Sorvolando sul peso che la fama del padre ebbe durante lo svolgimento del processo, è rilevante come la discussione di elementi di narratologia sia stata inserita in una difesa in tribunale. Viene spiegato da Sénard come il narratore prenda in realtà la distanza dagli atteggiamenti del personaggio di Emma, e come lo stesso narratore sia un personaggio inventato che non coincide con l’autore reale. Oggi, centosessant’anni dopo, l’eredità della scelta innovativa e antitradizionalista di Flaubert resta nell’ annullamento della voce autoriale a vantaggio di una rappresentazione scissa dal realismo romantico. Scrive a riguardo Lukàcs nel 1936 : […] come soluzione della tragica contraddizione del loro stato, essi (Flaubert e Zola, ndr) non possono scegliere che la solitudine, e diventano osservatori e critici della società borghese. Osservare, dunque, anziché partecipare: questa era l’unica arma in mano a scrittori come Flaubert che volevano prendere le distanze dal proprio tempo storico ed esprimere il disprezzo per il regime sociale in cui vivono.
Articolo a cura di Francesca Gelosa