“Il tuono dell’anarchia” di He-Yin Zhen
anarco-femminismo cinese underground
Anche se gli uomini e le donne godessero degli stessi diritti politici, questi non sarebbero eguali perché ci sarebbe comunque una distinzione tra chi governa e chi è governato. Che la donna sia sottomessa all’uomo non è giusto, ma non lo è neanche che una donna sia sottomessa a un’altra donna. Per questo motivo, il nostro obiettivo deve essere sovvertire ogni tipo di governo.
La casa editrice romana di ispirazione libertaria D Editore ha recentemente portato in libreria un volume davvero particolare. Si tratta di una raccolta di scritti della pensatrice anarco-femminista cinese He-Yin Zhen (1884-1920?), sotto il titolo de Il tuono dell’anarchia. La traduzione è di Cristina Manzone, sinologa e ricercatrice indipendente. Dopo questa breve presentazione, la domanda forse sorge spontanea: perché in Italia, nel 2023, dovrei leggere un libro del genere? La risposta spazia tra ciò che è molto lontano e ciò che è molto vicino a noi.
Il testo si apre con l’introduzione della curatrice, che traccia una disamina del pensiero femminista cinese, ufficialmente costituito a inizio Novecento ad opera di quegli intellettuali (uomini) che si proponevano di abbattere l’impero in favore della repubblica, e anche di rivoluzionare la cultura cinese, superando gli schemi del pensiero confuciano. Si identificava la subordinazione della donna quale emblema dell’arretratezza del paese e invocava la parità in quanto elemento di modernità e progresso, che avrebbe portato la Cina all’avanguardia. In poche parole, evidenzia Manzone, erano interessati all’uguaglianza tra uomo e donna in chiave nazionalista. Nelle università si discute molto di questo gruppo di intellettuali e della portata rivoluzionaria delle loro idee per la storia cinese e mondiale, ma talvolta ci si dimentica delle critiche e alternative al loro pensiero. Lo spaccato sulla corrente anarchica e le sue intersezioni con il femminismo è un approfondimento interessante e originale, che permette di comprendere la complessità del dibattito sociopolitico della Cina di inizio Novecento.
Nel ritratto assai ricco di questo panorama sociale, politico e culturale, emerge la figura dirompente di He-Yin Zhen. La sua biografia è poco documentata, ma possiamo concludere che fu tra i personaggi di spicco dei circoli anarchici e che si trattò di una delle pensatrici femministe maggiormente influenti dell’epoca, insieme alla più nota Qiu Jin. Tuttavia, non è difficile comprendere la motivazione dell’oblio di He-Yin Zhen: questa pensatrice visionaria ha portato alla luce problematiche di genere quando ancora il concetto di gender studies non esisteva, evidenziato il legame tra potere e asservimento della donna al di là del mero pregiudizio sessuale e intravisto l’inaffidabilità del femminismo sbandierato strenuamente dagli intellettuali progressisti. Il suo straordinario senso critico non poteva essere visto di buon occhio, tanta era la dirompenza del suo pensiero rispetto alla narrazione dominante dei vari poteri; imperiale, repubblicano, comunista… ed è così che He-Yin Zhen è rimasta sostanzialmente un’intellettuale underground.
Leggendo i suoi testi, si resta impressionati tanto dalla conoscenza del passato quanto dalla proiezione nel futuro. He-Yin Zhen dimostra grande dimestichezza con la cultura classica, che era alla base del sistema confuciano da lei tanto avversato. Elenca un gran numero di testi il cui contenuto giustificò e canonizzò l’oppressione della donna e ne approfondisce la permeanza nella cultura cinese anche a livello etimologico e semantico, analizzando le componenti dei caratteri usati per scrivere. Questo ventaglio di citazioni e studi ci trascina in un viaggio attraverso millenni di pensiero cinese. Allo stesso tempo, le sue brillanti intuizioni vanno talvolta ad anticipare concetti canonizzati dalle grandi ondate femministe del Novecento. In particolare, colpisce come questa anarchica cinese così lontana da noi avesse già compreso perfettamente una nozione che ancora oggi fatica ad affermarsi trasversalmente: la donna è un costrutto sociale e culturale, più che un’entità biologica.
Tra le varie cose, He-Yin Zhen si scaglia contro la poligamia (privilegio maschile che strideva con la rigorosa fedeltà imposta alle donne) e la prostituzione (concepita come frutto della prevaricazione a fini sessuali del maschio sulla femmina). Solleva dubbi sulla sincerità degli uomini progressisti che si battevano per i diritti delle donne e sulle motivazioni, anche nascoste e inconsce, che li spingevano a impossessarsi di questa lotta («mi chiedo se davvero tutto questo sia fatto per il bene delle donne o semplicemente per il successo personale degli uomini»). Come altre anarco-femministe di varia nazionalità, prevede che il suffragio universale non sarebbe stato la panacea di tutti i mali perché le istituzioni comportano per loro caratteristica l’oppressione, connaturata nelle dinamiche di potere.
Le donne inglesi si sono scontrate più volte con il parlamento e gli agenti di polizia. Le loro vicine italiane hanno formato grandi coalizioni con l’intento di combattere per il suffragio universale. Queste sono tutte prove di come si siano sviluppate le forze delle donne occidentali, ma dl mio punto di vista l’origine del male di questo mondo risiede proprio nelle istituzioni parlamentari. Le donne che aspirano alla felicità sanno che essa risiede in una rivoluzione radicale della società, non nel suffragio universale.
Questa lettura complessa e apparentemente difficile è in realtà accessibile e pienamente comprensibile grazie all’apparato critico che – non ci stancheremo mai di dirlo – risulta fondamentale quando i riferimenti specifici alla cultura cinese sono così tanti. Nelle note, la traduttrice illustra e spazia tra tutti questi punti, presentando un volume sicuramente di nicchia, ma più fruibile del previsto (in barba all’accademia? Alla sinologia chiusa nei propri circoli intellettuali?). Il libro concentra l’attenzione tanto sul momento storico in cui He-Yin Zhen formulò le sue teorie, quanto sul presente che lei ha anticipato pur non potendolo prevedere. Le differenze tra queste due realtà, temporalmente e geograficamente lontane, non riescono ad appiattire la dirompenza del suo pensiero.
È innegabile che ai nostri occhi alcune delle posizioni di He-Yin Zhen possano risultare poco condivisibili, o quantomeno passibili di critica. Tuttavia, riusciamo a leggerle sulla base del diverso contesto storico e culturale, e a comprendere come le sue intuizioni possano essere comunque applicate alla nostra realtà. Del resto, vengono in mente molti esempi di come la politica, anche laddove sia fatta passivamente e attivamente dalle donne, sia sostanzialmente nemica delle donne. Stesso vale per la giurisprudenza, con sentenze estremamente maschiliste emesse da giudici donne. He-Yin Zhen lo dice chiaramente: «finché non si abolirà la legge dell’uomo, il posto in cui risiede il potere sarà lo stesso in cui nasce la repressione». Ed è per questo che nell’Italia del 2023 ha senso leggere He-Yin Zhen.