Intervista a Adriano Prosperi
Sul culturificio abbiamo una sezione di storia – disciplina che di solito, purtroppo, viene relegata ai margini da chi cura un blog di taglio perlopiù letterario. Caporedattore della sezione è Alessandro Di Giacomo, un contemporaneista. Stavolta però gli ho chiesto il permesso di farle queste domande al suo posto – si perde un po’ di competenza, certo, ma questo mio sconfinamento mi pare una forma sana e gentile di briosa prepotenza. La prima domanda che vorrei porle, parecchio prevedibile, verte sul suo mestiere di insegnante e di storico. È un discorso di metodo, strumenti e percorsi. Per quanto mi riguarda a volte di fronte alla storia vivo un certo paradosso, quello dell’appassionato che tenta sempre di documentarsi sul passato anche per leggere il presente e, tuttavia, si disorienta e spesso si perde. In questo senso c’è un racconto eloquente – non ricordo se esiste davvero o se era un’idea della mia adolescenza che non ho più sviluppato [sulla falsariga della biografia di Joe Gould e dei racconti di Borges] –: uno storico vuole capire e documentare tutto ciò che lo circonda e allora ogni giorno, ogni ora, ogni momento della sua vita prende appunti per un libro (un manuale di storia?). Poi, a ogni risveglio, continua a scrivere (non impazzisce perché ama quello che fa e la passione non glielo consente, ma chiunque al suo posto sarebbe impazzito). Così per sempre. Dicevo: mi ritrovo per molti aspetti della contemporaneità a non avere un’idea salda e strutturata perché impiego il tempo a scoprire le storie del passato, a cercare tra le pagine dei libri prima ancora che al di fuori. Non parlo naturalmente di torri d’avorio o di ripiegamento individualistico sul sé, tutt’altro. Sento di avere un interesse viscerale per la società contemporanea e per le sue storie. Mi capita quindi di faticare parecchio per riflettere su fatti e idee di oggi perché prima di soffermarmi a ragionare sul presente, per quanto possibile, voglio andare alla radice, alle origini di un determinato fenomeno. A volte, nonostante ricerchi da più punti di vista, arrivo a diffidare di quello che scopro, perché al tempo di internet una verifica rigorosa e sistematica delle fonti è quasi impossibile – troppo distanti, a mio avviso, il dato o fatto storico e la sua interpretazione (più o meno arbitraria, se manca un approccio valido e condivisibile). La prima domanda quindi è un po’ âgée e senz’altro non originale, né nuova. Che rapporto intercorre tra storia e presente? Tra storia e politica? La storia, oggi, come si studia?
Adriano Prosperi: Caro Federico, la storia siamo noi, possiamo essere storia inconsapevole o consapevole. Il rapporto è quello di ciascuno col presente e col passato quando si affaccia allo scenario del mondo. Il presente, in apparenza solido e compatto, è come la superficie terrestre di una grande pianura che nasconde faglie profonde in movimento capaci di scatenare terremoti e vulcani. Da qui la necessità di fare i conti con quello che abbiamo ricevuto secondo la famosa frase di Goethe – quello che erediti devi riguadagnartelo per possederlo. E poiché il mondo che incontriamo è un conflitto di forze e di interessi, problematico, confuso, violento, e noi tutti si entra nel mondo per le vie dei rapporti umani, delle istituzioni, dei bisogni e dei desideri, si tratta di capire dove siamo e dove vogliamo andare attraverso i mezzi che abbiamo, la lettura, l’informazione storica e politica. Bisogna leggere non solo di storia, bisogna capire l’essere umano attraverso l’arte e la letteratura, ascoltare, cercar di capire, impadronirsi del sapere storico e culturale dell’umanità. E per capire ci vuole attenzione, per decifrare che cosa ci viene detto o predicato occorre pazienza, lentezza nel leggere. E ci vuole passione, desiderio, volontà. Naturalmente si può anche leggere tutto e non capire nulla. Ma allora starà alla vita darti lezioni. Ma ti potrà accadere anche di concepire curiosità per storie e persone reali o immaginate e scoprire figure o vicende del passato che ti attirano in modo speciale. E così scoprirai attraverso di loro qualcosa di te che non conoscevi e deciderai cosa fare del tempo che ti è dato.
Puoi leggere e studiare a partire da quello che ti importa di più. Quanto al metodo, non esiste. È, come dice la parola, la strada dopo che l’hai percorsa. Certo, dovrai imparare a usare strumenti – bibliografie, distinzione fra fonti e studi, informarti su a che punto si sia giunti e per merito di chi ecc. “Andare all’origine” non si può, se si vuole raggiungere Adamo ed Eva. Si entra nella corrente solo a una certa altezza del fiume e bisogna anche nuotare.
Federico Musardo: A brevissimo uscirà Il lato sinistro, libro che raccoglie una messe straordinaria di suoi scritti. Sarà presentato al pubblico grazie a Mauvais livres, una nuova casa editrice romana di progetto. Prima di tutto vorrei chiederle la spiegazione del titolo – su due piedi, posso immaginare soltanto una possibile sfumatura di senso: mi incuriosisce soprattutto il modo in cui questa si interseca alle altre. Poi mi piacerebbe sapere come ha conosciuto Andrea Montanino e Gianluca Basili, i due librai di Equilibri ora editori di Mauvais livres. Infine – e se gli uomini sono anche i libri che leggono, scrivono e pubblicano, è una propaggine della stessa domanda –, cosa pensa della nuova casa editrice e delle sue collane (Sassifraga, la collana in cui verrà pubblicato Il lato sinistro, è ideata e diretta da Valerio Magrelli). Sarebbero insomma tre domande in una – che potremmo chiamare «idrica», nel senso iperbolico di fluviale, torrenziale da una parte e in quello, rozzamente derivazionale, di ‘propria di Idra’ dall’altra.
A.P.: Lato destro indica i conservatori, il sinistro è quello politico dei progressisti. Ma destra e sinistra sono anche un ordinamento simbolico della realtà, un principio di classificazione che si incontra fin nella differenza tra le due mani, una è quella che stringe i patti, scrive e saluta, l’altra è (era) impiegata solo per funzioni negative. Una differenza che si riteneva naturale fino a quando Robert Hertz ci spiegò che non era così (e da allora gli insegnanti hanno cominciato a cessare di correggere i mancini). La destra è la dritta via, quella positiva, la sinistra è quella negativa – retta via è la vita, sinistra e negativa è la morte. Il mio titolo si riferisce sia all’orientamento sociale e politico delle mie testimonianze dove esprimo idee coerenti con le mie origini contadine e maturate con la mia educazione e successiva testimonianza pubblica, sia ai temi, alcuni dei quali erano un tempo dei tabù: il legame dei vivi coi morti, per esempio, che si è rivelato un fattore fondamentale di strutturazione della vita sociale ma anche della formazione della personalità. La via sinistra è una negatività necessaria per la vita.
F.M.: Com’è stata l’elaborazione di Il lato sinistro? Quando ha assunto una fisionomia precisa? Andrea mi raccontava che ha subito varie metamorfosi, come se si trattasse di un libro potenzialmente infinito. Immagino che non sia stato per niente semplice fare questa scrematura. Come ha vissuto il lavoro di scavo necessario a riesumare, rievocare, rivitalizzare testi scritti anche a distanza di parecchi anni? Quale criterio ha adottato per ordinarli in un libro?
A. P.: Quando mi è giunto il messaggio di Andrea Montanino, stavo attraversando un periodo di riflessione sul destino dei miei lavori minori, pensavo di farne qualche raccolta. La disponibilità curiosa e attenta, gentile e simpatica nella sua continua autoironia, mi ha lasciato la libertà di decidere che altri editori non mi lasciavano. Ho cominciato da un pezzo lontanissimo, l’introduzione a I vivi e i morti dove c’erano miei progetti di lavoro che dovevano accompagnarmi a lungo: la morte come pena, il rapporto tra cristianesimo e pena di morte, poi l’inquisizione col caso Galileo, la devozione delle immagini, poi ancora Manzoni e con lui il mio rapporto con la religione ma anche con l’unico autore che aveva provato a immaginare l’essere analfabeta del contadino.