Klara e Ada: the human project
Sull’ultima parete dell’ultima sala della spettacolare mostra Robot. The Human Project, recentemente allestita al Mudec di Milano, sono proiettati dati percentuali che misurano le aspettative di noi umani nei confronti degli androidi e dell’Intelligenza Artificiale. Rispondendo a cinque quesiti, disseminati lungo il percorso, i visitatori hanno confermato ad ampia maggioranza la convinzione che i robot ci sosterranno nel lavoro e hanno espresso la disponibilità ad aumentare le proprie potenzialità con innesti artificiali. Una maggioranza meno netta ha ipotizzato che i robot diventeranno più intelligenti di noi, mentre solo una minoranza ha preso in considerazione la possibilità di innamorarsi di un robot. Solo un terzo, infine, ha ritenuto che i robot possano essere responsabili delle proprie azioni. Il maggiore scetticismo su questo tema, che vede impegnati negli ultimi tempi diversi filosofi e giuristi, mostra il grado di consapevolezza a cui è giunto il dibattito, nonché il livello ormai avanzato della riflessione.
Non nascondo che, di passaggio a Milano, ho visitato questa mostra, influenzato dalla lettura di Klara e il Sole (Einaudi, 2021) di Kazuo Ishiguro, che avevo appena finito, mentre in quegli stessi giorni mi accingevo a iniziare, su suggerimento di un’amica, Il mondo invisibile (NN Editore, 2021) di Liz Moore. Due romanzi diversi ma con alcune marcate similitudini. Protagoniste sono due giovani figure fragili e dipendenti dagli altri. Klara è un robot AA (Amica Artificiale) che una fantomatica Direttrice posiziona in vetrina affinché qualcuno, prima o poi, l’acquisti. Al contrario Ada è una ragazza in carne e ossa ma concepita tramite fecondazione surrogata, cresciuta da un padre scienziato che la tratta come un clone, esibendola nel laboratorio che dirige. Entrambe, poi, entrano a far parte di una nuova famiglia: Klara come compagna di Josie, una ragazzina non potenziata (cioè di salute cagionevole), a stento sopportata dalla madre; Ada, quando il padre perde la ragione, viene adottata, ancora minorenne, dalla numerosa famiglia Liston, che giocherà un ruolo non trascurabile nella sua vita.
Fin qui le somiglianze, mentre le differenze riguardano soprattutto l’impianto narrativo. Armonico, visionario, fiabesco il romanzo del Nobel Kazuo Ishiguro, intricato, corale, e misterioso quello della giovane rivelazione della letteratura americana, Liz Moore.
Senza addentrarci nella trama, mi preme chiarire che probabilmente resterà deluso chi si aspetta dal romanzo dello scrittore anglo-giapponese una storia tecnofobica proiettata nel futuro, come nel precedente Non lasciarmi (2005). Klara e il Sole si qualifica come una soave fiaba contemporanea, dove tutto ruota attorno al rapporto fra tecnologia e sentimenti. Del resto lo stesso autore non ha fatto mistero che il libro nasca da una favola che sua figlia Naomi (in libreria con Vie di Fuga, sempre per Einaudi) ha bocciato in quanto poco adatta ai bambini.
L’intera esistenza della fragile Klara, indissolubilmente legata all’alimentazione del sole, quasi a preconizzare un nostro incerto futuro segnato da un’endemica penuria energetica, è un atto di amore verso gli altri. È stata programmata così e non può sottrarsi a questo destino. Quando la madre di Josie, la ragazzina della quale si prende cura, la provoca dicendole che «A volte deve essere bello non avere sentimento, Ti invidio», lei replica: «Io credo di avere tanti sentimenti. Più cose osservo, e più acquisisco accesso a nuovi sentimenti».
La sua è una felicità semplice, immediata, non sente altro desiderio che essere l’AA di Josie. Ma il nucleo centrale della storia è l’ambiguo tentativo di un artista-scienziato, Mr. Capaldi, di replicare l’involucro del corpo di Josie, in modo che, qualora morisse, possa essere sostituita da Klara. Un’ipotesi che si scontra con la mentalità romantica di chi si ostina a credere che ci sia in ciascuno di noi «qualcosa di unico e non trasferibile». Secondo Capaldi, invece, «non c’è niente là dentro. Niente dentro Josie che le Klare di questo mondo non possano proseguire. La seconda Josie non sarà una copia. Sarà esattamente identica e tu avrai il diritto di amarla come ami Josie, né più né meno». Dello stesso parere non è Klara che, sapendo di non potere proseguire Josie, cattura e indirizza il nutrimento del sole sulla giovane malata. Attraverso una prosa nitida e sobria l’autore ci offre una storia delicata e coinvolgente che apre nuovi e inediti interrogativi sul rapporto fra uomo e Intelligenza Artificiale.
Con tutt’altro stile, più indulgente nella descrizione minuziosa di ambienti e situazioni, e con una maggiore tensione narrativa, Liz Moore costruisce, muovendosi agevolmente fra prolessi e analessi, un complesso intreccio narrativo che oscilla tra Boston e San Francisco, tra anni Ottanta e Duemila, con un’incursione nel Kansas degli anni Venti-Trenta. La conclusione è tutta nel futuro prossimo quando finalmente si manifesta vera (ir)realtà del mondo invisibile.
La vicenda prende le mosse dalla complessa adolescenza di Ada Sibelius, divisa fra la vocazione scientifica trasmessale dal padre e la voglia di normalità che cresce giorno dopo giorno assieme a lei. La devastante perdita della ragione del padre, ricoverato per una forma acuta di Alzheimer, segna l’impatto traumatico della ragazzina con il mondo esterno, con la realtà completamente sconosciuta di una famiglia comune e di una scuola ordinaria. Sino ad allora Ada ha vissuto confinata fra le pareti domestiche e quelle del laboratorio. Da quel momento, con la scoperta di inattese e scottanti verità sul passato del padre, si allontanerà sempre più da lui, intraprendendo una strada di emancipazione e autonomia. Unico legame fra i due rimarrà ELIXIR, un software progettato dal padre come una sorta di capsula del tempo:
«Certe volte la macchina gli sembrava sua figlia, una sorella di Ada. Altre volte una manifestazione di se stesso…».
Giocando sul contrasto fra la nostalgia dell’obsoleta tecnologia informatica degli anni Ottanta e le vertigini della odierna realtà virtuale, Liz Moore, con una scrittura lineare, punteggiata qua e là di vivide locuzioni figurate, ci regala una memorabile storia ricca di tenerezza ed empatia, svelandoci, nel prologo, il vero segreto metaletterario del libro.
Ripensando, alla luce della lettura di questi due romanzi agli interrogativi posti dalla mostra Robot. The Human Project, è forte la tentazione di ipotizzare che, grazie all’intelligenza artificiale, robot e androidi somiglino sempre più all’uomo e forse per questo ci facciano sempre più paura, perché sentiamo che ormai si avvicina il momento in cui potranno sostituirci e non solo per assolvere i compiti più gravosi e ripetitivi. Ma saremo pronti? Forse anche la letteratura può aiutarci!
Scheda sulla mostra Robot. The Human Project
In questi mesi il MUDEC (aperta fino al 1° agosto) di Milano ha ospitato la mostra Robot. The Human Project. Attraverso un percorso affascinante, l’esposizione ha illustrato l’incessante aspirazione dell’uomo a creare automi dotati delle abilità più disparate, i risultati concreti finora raggiunti, i confini in costante divenire della robotica moderna e infine le questioni etiche e sociali sollevate dal continuo superamento di queste frontiere. Un progetto espositivo ricco di suggestioni e al tempo stesso interattivo, con un triplice respiro: tecnico-scientifico, antropologico e artistico, reso possibile grazie alla presenza di storici automi, tra cui il primo mai inventato al mondo e il primo robot della storia. I visitatori hanno avuto l’occasione di interagire in prima persona con i robot presenti in mostra, in un vero e proprio percorso esperienziale, comprendente attività ludiche ma anche spunti per riflessioni più serie. Fin dall’antichità gli esseri umani hanno riflettuto sulla creazione di alter ego artificiali: macchine in grado di coniugare tratti umani con potenzialità ritenute superumane. Un’aspirazione che parte dalla Grecia classica ma che solo negli ultimi decenni si è tradotta in risultati concreti. L’evoluzione scientifica e tecnologica infatti ha prodotto risultati straordinari, con la creazione di automi sempre più complessi in grado di alleggerire e in alcuni casi sostituire il lavoro umano, negli ambiti più disparati, dall’industria fino alla sanità e alla guerra. Lo straordinario progresso tecnologico in questi campi, le prospettive aperte e le loro eventuali implicazioni, hanno portato con sé anche numerosi interrogativi etici, sociali e scientifici sui quali è necessario aprire un’ampia riflessione.
Una ricca sezione della mostra è stata dedicata alla fantascienza, alla letteratura e alla cultura pop che hanno contribuito in modo determinante, talora interagendo inconsapevolmente con gli scienziati stessi, a plasmare l’immaginario dei robot, degli androidi e dell’Intelligenza Artificiale.