Tommaso Dal Monte
pubblicato 3 anni fa in Letteratura

La balbuzie come sintomo di repressione in It e Pastorale americana

La balbuzie come sintomo di repressione in It e Pastorale americana

La balbuzie è un disturbo della fluenza che esordisce di norma nell’infanzia. A oggi se ne ignorano le cause precise, anche se i medici fanno ricorso a tre modelli per spiegarla: quello organicistico (balbuzie come manifestazione esteriore di una lesione del Sistema Nervoso Centrale nelle aree del linguaggio), quello psicogenetico (balbuzie come espressione di un conflitto emozionale tra il parlare e il non parlare) e quello foniatrico (balbuzie come conseguenza della prevalenza dei movimenti abduttori laringei). Non vi è comunque accordo e la balbuzie rimane un disturbo misterioso.

Proprio quando le domande sono più numerose delle risposte intervengono gli scrittori. I romanzieri, soprattutto, lavorano nelle zone d’ombra e affrontano gli stessi problemi su cui anche la scienza si interroga, elaborando però risposte alternative. Non è raro che la letteratura tematizzi malattie o disturbi che, per la loro incerta eziologia, destano curiosità.

Pensiamo, un caso su tutti, all’Idiota di Dostoevskij, dove la patologia del protagonista, il principe Lev Nikolàevič Myškin, penetra addirittura nel titolo. Tuttavia l’idiotismo di cui il principe soffre – una forma di epilessia diremmo noi – non è trattato in termini scientifici, ma è oggetto di un’incessante interrogazione filosofica da parte dei personaggi e del narratore. Così la malattia di Myškin si rivela una condizione privilegiata per indagare la società russa di metà ’800 che, solo grazie al contatto diretto con l’idiota, può osservarsi da una prospettiva straniata, di problematizzarsi e prendere nuova coscienza di sé. Attraverso questa operazione Dostoevskij tratta la malattia neurologica, a quel tempo ancora misteriosa e stigmatizzata, come uno strumento demistificatore, la caratterizza come un dono per lo stato di maggior coscienza a cui porta, fa di chi la possiede una figura addirittura messianica.

Non deve quindi stupire che anche due grandi romanzieri americani contemporanei, Stephen King e Philip Roth, possano sfruttare la balbuzie come espediente per parlarci di altro. I personaggi balbuzienti che prenderemo in considerazione appartengono ai romanzi più noti dei due scrittori: Bill Denbrough di It (1986) e Merry Levov di Pastorale americana (1998). I due romanzi non presentano soltanto questa affinità tematica, ma condividono anche il contesto della narrazione, sviluppata in buona parte negli Stati Uniti degli anni ’50 e ’60. A fronte delle somiglianze e delle differenze che vedremo, è importante sottolineare fin da subito come la balbuzie agisca in entrambe le opere come sintomo di una repressione a carico tanto dei singoli individui balbuzienti, quanto della categoria che essi rappresentano, ossia quella dei bambini e degli adolescenti nati negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale.

King sottolinea fin dall’inizio del libro che Will Denbrough era «conosciuto fra i ragazzini della scuola elementare di Derry (e anche fra gli insegnanti, che mai avrebbero usato quel soprannome in sua presenza) come Bill Tartaglia». La balbuzie di Bill appare piuttosto grave, ma non ne è individuata alcuna causa specifica: la madre la riconduce a un trauma cranico che Bill ha subìto da bambino, ma il padre non condivide questa idea; né è attribuibile allo shock per la morte del fratellino George, la prima vittima di Pennywise nella serie di omicidi del 1957-1958, perché Bill balbettava anche prima.

Il romanzo è costruito a capitoli alternati e segue gli stessi personaggi, Bill e il suo gruppo di amici, in due piani cronologici differenti: l’estate del 1958, quando da bambini affrontarono It per la prima volta, e il 1985, quando da adulti tornano a Derry, la loro città natale, la stessa in cui vive It, per fronteggiarlo e sconfiggerlo definitivamente. Veniamo così a sapere che da grande Bill non tartaglia più e, come gli altri Perdenti (il nome del gruppo), ha dimenticato la propria infanzia. Tuttavia la balbuzie ritorna non appena Bill riceve la telefonata di Mike Hanlon, l’unico membro della compagnia rimasto a Derry per vigilare su un possibile ritorno di It e convocare gli altri. Capiamo dunque che il fenomeno della balbuzie è intimamente legato all’infanzia di Bill e sembra quindi esulare da un fattore prettamente linguistico correggibile nel corso del tempo.

Progressivamente tutti i personaggi recuperano i propri ricordi e il viaggio spaziale di ritorno a Derry diviene anche un viaggio temporale di riappropriazione mnemonica dell’estate del 1958. Tra le cose che affiorano alla coscienza di Bill vi è anche uno scioglilingua ‒ «stanno stretti sotto i letti sette spettri a denti stretti» ‒ che ripeteva incessantemente convinto che, se lo avesse recitato senza esitazioni, non solo avrebbe curato il proprio disturbo, ma avrebbe anche riportato la felicità nella sua famiglia, distrutta dalla morte di George. Bill riesce a pronunciare tutto il ritornello soltanto nel momento decisivo del primo scontro con It, nel 1958: in una battaglia metafisica, Bill, scandendo con voce ferma le parole, infligge un colpo (quasi) mortale al mostro, che si ritira da Derry per molti anni.

Recitare lo scioglilingua ha effetto perché It rappresenta il mondo adulto che cerca di schiacciare quello dei bambini. In tutto il romanzo viene avallata questa equivalenza: It si nutre soprattutto di bambini, gli adulti non lo vedono, nessun organo istituzionale di Derry fa concretamente qualcosa per fermarlo, assume le sembianze dei genitori di Bev e Eddie, due membri del gruppo. Come se non bastasse, lo stesso Eddie arriva a rivelare ciò che il romanzo sostiene in modo implicito, cioè che «i veri mostri sono gli adulti». Se dunque It rappresenta simbolicamente il mondo adulto, il fatto che esso sia sconfitto nel momento in cui Bill vince la balbuzie, ci porta a dedurre che la balbuzie fosse direttamente causata dal mondo adulto. Sembra insomma che la balbuzie sia l’espressione di uno stato caratterizzante l’infanzia e strettamente connesso al malessere per uno scontro in cui i grandi non hanno alcuna intenzione di aiutare i piccoli. Il conflitto che oppone adulti e bambini è dovuto all’avvicendamento generazionale, che conduce ad un’inevitabile sostituzione. Infatti «It non voleva né cambiamenti né sorprese. Non voleva novità, mai»: cioè vorrebbe bloccare il flusso del tempo e dei suoi mutamenti, compreso quello intergenerazionale. Il momento fatidico giunge però nel 1985 quando i Perdenti, ancora simbolicamente bambini in quanto nessuno ha avuto figli, uccidono Pennywise. La sconfitta definitiva di It coincide anche con la scomparsa della balbuzie di Bill: «“Non balbetto più”. “Mai più?” “Mai più. Credo che quel difetto appartenesse a un tempo che è finito per sempre”». Il «tempo finito per sempre» è quello dell’infanzia, che equivale a quello della balbuzie: Bill e gli altri sopravvissuti hanno ucciso It e sono diventati a loro volta adulti. In questo senso il finale del romanzo è estremamente rassicurante: l’ordine viene ristabilito e i bambini diventano adulti.

Al ritorno all’ordine di It fa eco l’affermazione del caos in Pastorale americana.  

Il romanzo di Roth ripercorre la vita di Seymour Levov, soprannominato lo Svedese, un ebreo americano di seconda generazione. Lo Svedese rappresenta lo stereotipo dell’americano perfetto: sportivo, ex marine, industriale di successo, sposato con Miss New Jersey. La sua vita apparentemente perfetta viene distrutta da un attentato dinamitardo organizzato nel 1968 dalla figlia sedicenne, Merry, che porta alla morte di una persona. Anche Merry, come Bill Denbrough, è balbuziente. La causa del suo disturbo sembra individuata, dallo psichiatra che la ha in cura, in una scelta volontaria volta a sviare le attenzioni e le pressioni di «una famiglia di perfezionisti sempre insoddisfatti». Insomma una forma di chiusura consapevole, utile a non dover fare i conti con gli standard inarrivabili implicitamente imposti dai genitori. Dopo l’attentato, l’adolescente si dà alla latitanza e frequenta gruppi della sinistra anarchica e rivoluzionaria, specializzandosi nella costruzione di bombe. Proprio allestendo gli ordigni «per la prima volta, la balbuzie cominciò a sparire. Quando lavorava con la dinamite non tartagliava mai». Con l’adesione alle proteste degli anni ’60 Merry attacca tutti i valori a cui i genitori credono; come osserva lo Svedese: «Non c’era molta differenza, e lei [Merry] lo sapeva, tra odiare l’America e odiare loro». Il momento distruttivo è per Merry liberatorio, sia dal punto di vista valoriale che linguistico: la balbuzie, che era stata la risposta al clima di oppressione familiare, svanisce nel momento in cui la figlia si distanzia in modo traumatico dalla visione del mondo e dal confronto diretto con i genitori.

Mentre in It il superamento della balbuzie conferiva a Bill la membership della categoria “adulti”, in Pastorale americana non si giunge ad alcuna restaurazione dell’ordine perché Merry diviene l’adepta di una religione suicida e muore in solitudine, senza sostituirsi ai genitori. Lo Svedese prende coscienza che l’America in cui vive non è più guidata da un telos e che i giovani «sono impazziti. Qualcosa li ha fatti impazzire. Qualcosa li ha messi contro tutti. Qualcosa li sta portando al disastro»: domina ormai il caos. Questa differenza di fondo dipende dai generi a cui appartengono le due opere: It è un horror declinato come romanzo di formazione e quindi riconduce sempre il turbamento iniziale a un ordine rafforzato. Pastorale americana invece è un romanzo non di genere e come tale tende a problematizzare e a lasciare il lettore privo di certezze. Tuttavia i due libri pongono un interrogativo comune: cos’è accaduto alla generazione americana nata negli anni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto mondiale? Bill Denbrough è nato nel 1947, Merry Levov nel 1952. Vivono nello stesso contesto e affrontano gli stessi stimoli e pressioni sociali, benché la parabola di Merry arrivi fino ai movimenti rivoluzionari degli anni ’60 mentre quella di Bill si arresta prima. In Pastorale americana il padre dello Svedese si fa portavoce di uno stile di vita improntato al lavoro, al sacrificio, al successo visto come frutto di abnegazione (il mito americanissimo del self-made man); lo stesso Svedese si pone in continuità con i valori paterni e percepisce i benefici economici e sociali della borghesia a cui appartiene come guadagnati e sempre da riguadagnare, giorno dopo giorno.

Allo stesso modo in It vi è una coazione al lavoro e all’impegno esemplificata dalla «sedia del vagabondo», una rudimentale macchina di tortura «di ferro, con manette in cui imprigionare le braccia e le gambe» su cui venivano fatti sedere i girovaghi negli anni ’20 e ’30. La sedia viene mostrata come memento a Mike, per volere del padre, dal capo della polizia di Derry: è necessario impegnarsi, sostenere con il lavoro ciò che le generazioni precedenti avevano guadagnato con fatica, evitare sempre di trovarsi nella posizione del vagabondo. Si delinea così un clima repressivo a carico dei bambini di una generazione privilegiata rispetto a quella dei genitori, ma che di questo privilegio doveva incessantemente mostrarsi all’altezza. In questo senso Bill e Merry sono i rappresentanti di un’intera generazione e la loro comune balbuzie diventa la manifestazione esteriore di un clima di coscrizioni e obblighi morali di adesione a un mos maiorum sempre più inattuale. Tuttavia i segni di cedimento ci sono: la bomba di Merry interrompe l’illusione di una continuità auspicata dalla famiglia, mentre la «sedia del vagabondo», riposta nel sottotetto del commissariato, sfonda il soffitto e uccide l’attuale capo della polizia del 1985.

A questi eventi violenti, si accompagna in entrambi i romanzi il superamento della balbuzie da parte dei due personaggi, segno della fine della loro infanzia, ma i cui esiti sono ben diversi.

di Tommaso Dal Monte