“La femminilità, una trappola”. La preveggenza di Simone de Beauvoir
Il futuro non ci appartiene. Per questa ragione nessuno di noi ha il diritto di condannarlo in nome del presente. In ogni epoca c’è stato chi si è lamentato del futuro soltanto perché prometteva di essere diverso dal passato.
Ci vuole coraggio per guardare il futuro dritto negli occhi: quell’abisso imperscrutabile carico di incertezza atterrisce, acceca, per certi versi inquieta, poiché preannuncia un tempo che non ci appartiene, un tempo che potrà benissimo esistere con o senza di noi.
Solo lo sguardo di una delle menti più brillanti del Novecento, la filosofa francese Simone de Beauvoir, poteva fissarsi nell’oscurità profonda di quell’abisso e cogliervi una luce. Intellettuale acuta, scrittrice prolifica, spesso la figura di Beauvoir è erroneamente relegata a quell’etichetta riduttiva di “filosofa femminista” affibbiatagli dopo la pubblicazione de Il secondo sesso (1949). Ma Beauvoir non ha mai concepito il femminismo come la vocazione di una vita, né tantomeno si è mai definita femminista. In un’intervista, a proposito della pubblicazione de Le Deuxième Sexe avvenuta in tarda età, disse alla giornalista Madleine Chapsal:
Non mi rendevo conto che la femminilità fosse una situazione (…) Ho cominciato a riflettere e mi sono accorta con una specie di sorpresa che la prima cosa che avrei dovuto dire era: sono una donna.
Laureata in filosofia alla Sorbona con una tesi su Leibniz, Simone de Beauvoir ha trascorso gran parte della sua esistenza «tra i libri o a tavolino, tutto cervello» avendo la possibilità di interrogarsi a più riprese sulla società, il ruolo femminile e quello maschile, l’identità personale e la storia. Con il compagno di una vita, Jean Paul Sartre, Simone formò la coppia cardine dell’esistenzialismo francese. Tutte le opere di Beauvoir sono improntate a una forte riflessione filosofica; la sua è una visione acuta e sensibile, in grado di indagare ben oltre il proprio tempo.
Lo dimostra meravigliosamente l’ultima raccolta di scritti pubblicata da L’Orma editore, La femminilità, una trappola, che raccoglie una serie di testi di Beauvoir finora inediti in italiano. Articoli, saggi, riflessioni che coprono un vasto arco temporale, dal 1927 al 1983. Indipendentemente dall’anno di pubblicazione, ciascuno di questi testi getta una luce chiarificatrice sul presente della nostra società. Agli occhi del lettore contemporaneo Simone de Beauvoir appare come una specie di enigmatica sibilla capace di indagare il mondo a venire tramite la propria sfera di cristallo.
Le sue opinioni sferzanti potrebbero essere applicate, senza distinzione di sorta, all’attualità e sicuramente risulterebbero più brillanti di certi pareri espressi oggi sui giornali o nei salotti dei talk-show televisivi. Le sue parole si leggono con sconfinata ammirazione e con una punta di rimpianto nel constatare che la grande Simone «aveva già capito tutto», intuendo molte problematiche che sarebbero emerse in un futuro remoto, per lei irraggiungibile.
Che si tratti del primo articolo pubblicato su una rivista politica (che tra l’altro sbagliò il suo nome mettendo la firma di “Suzanne de Beauvoir”); di una riflessione sulla condizione delle ragazze madri; di una disanima sulla figura della donna nella pubblicità o di una precognizione su famiglia e natalità, Simone de Beauvoir colpisce sempre nel segno cogliendo tensioni che, a oltre quarant’anni di distanza, non si sono ancora risolte né appianate.
Beauvoir pone interrogativi che squarciano il velo del tempo, attraversano gli anni e il fluire dei secoli, con dichiarazioni di illuminante sagacia: «Invece di restare attaccati con le unghie e con i denti a qualcosa che sta morendo, o di ripudiarlo, non sarebbe meglio contribuire a inventare il futuro?».
Fin dai primi articoli pubblicati si coglie già il piglio sentenzioso e l’autorevolezza della de Beauvoir matura. Con una dialettica moraleggiante e smascheratrice di ogni pregiudizio, Simone analizza e decostruisce dinamiche sociali, relazionali e di coppia, in favore di una società fondata sulla parità di genere e l’equità. Nel memorabile saggio È ora che la donna cambi il volto dell’amore (1950)pubblicato sulla rivista americana «Flair» anticipa una nuova forma di uguaglianza attraverso cui sarà possibile resuscitare la coppia:
Le donne stanno diventando sempre più indipendenti e al tempo stesso responsabili, attive artefici della costruzione del mondo. Ma questa trasformazione fa ancora paura. Finora la nostra società non ha conosciuto altra forma d’amore che quella fondata sull’ingiustizia (…) È così difficile concepire una forma d’amore che non concepisca una sottomissione al partner, ma una forma di uguaglianza?
È lecito che queste parole destassero clamore negli anni ’50-60 del Novecento, quando ancora il prototipo di donna-madre-moglie era incontrovertibile, ma non è ammissibile che ancora oggi – nell’evoluto XXI secolo – questa dichiarazione si debba ripetere come un mantra e l’eco di quel «Ma questa trasformazione fa ancora paura» acquisisca una potenza deflagrante, in grado di erompere dalle pagine e incollarsi alla realtà quotidiana come un dato di fatto.
A quanto pare è ancora necessario ribadire che «le donne non dovrebbero farsi comandare a bacchetta, neanche con un anello al dito»; le cronache dei frequenti femminicidi e la cultura misogina che traspare dalle prime pagine di molte testate nazionali lo dimostrano.
Questi scritti inediti di Simone de Beauvoir vibrano di un’urgenza di dire che non si è ancora spenta, e molto hanno da insegnare al nostro presente, valicando un arco temporale effimero che purtroppo non ha innescato la rivoluzione di pensiero sperata.
«Certo, una legge non può contribuire a cambiare la mentalità di un Paese dall’oggi al domani. Ma può contribuire a quel cambiamento» scrive Beauvoir a proposito di Le donne, la pubblicità e l’odio.
Lo sentite l’eco dirompente di questa frase che si riverbera su altre ragioni, eventi, fatti di stringente attualità? A tratti si leggono queste pagine con commozione, con il desiderio struggente di resuscitare Simone de Beauvoir, riportarla in vita, perché oggi avremmo bisogno più che mai della sua lucidità, della sua tersa razionalità. Ma ciò non possibile, e ci resta impigliato nella mente il bagliore folgorante di un pensiero audace che ancora non si è spento, e tuttora freme tra i tizzoni fumanti delle braci del passato.
Simone de Beauvoir prefigura la nostra stessa inquietudine. A L’Orma editore va dato il merito di aver raccolto in La femminilità, una trappola scritti di grande spessore, che ancora non hanno esaurito il loro potenziale semantico ed evocativo.
Nella preziosa testimonianza riportata sotto il titolo Cosa può la letteratura? (1964)si restituisce l’intervento integrale di Beauvoir presso la Maison de la Mutualité di Parigi a proposito del futuro della cosiddetta “letteratura impegnata” minacciata dalle istanze d’avanguardia prefigurate dall’avvento del Nouveau Roman. Nel corso del dibattito Simone sottolinea con forza il valore sociale della letteratura:
La letteratura è l’unica forma capace di restituirmi l’incomunicabile, il sapore di un’altra vita. (…) Abbiamo bisogno di sapere, di constatare che queste esperienze sono le stesse dei nostri simili. Il linguaggio ci reintegra nella società umana. Un dolore che trova le parole per raccontarsi smette di essere esclusione radicale, si fa meno insostenibile. (…)
Ogni uomo si compone di tutti gli altri uomini e si comprende solo attraverso di loro, e a sua volta li comprende solo grazie a quel che gli consegnano, al sé che gli permettono di rischiarare.
Non poteva che comporre l’elogio letterario più lirico, glorioso e sfaccettato, la de Beauvoir scrittrice, che nelle parole aveva messo la sua stessa vita, l’intera eredità del proprio pensiero. La letteratura è sociale, la letteratura è politica, ed è in grado di farsi portavoce di autentiche rivoluzioni ideologiche; Simone lo sapeva bene, e nessuno meglio di lei era in grado di esprimerlo.
Lei che, a oltre trentacinque anni dalla sua morte, continua a parlare al nostro presente con una capacità di analisi profonda e superlativa. Davvero aveva il dono della preveggenza, come l’antica Sibilla Cumana; lo testimoniano tutti i suoi scritti, precursori di una lucidità spietata. Ecco, una lucidità spietata; non c’è altro modo di definire la visione profetica e chiarificatrice di Simone de Beauvoir.