La Legge è servita!
quando bisognerebbe ascoltare prima di (s)parlare
Cos’è la giustizia? Chi la amministra? E sulla base di quali leggi? Che origine hanno queste leggi? Il concetto di giustizia coincide con quello di verità? Sono queste alcune delle più importanti tematiche che cerca di esaminare e sondare il nuovo, accattivante e sensazionale legal thriller di Darien Levani: Tavolo numero sette (Edizioni Spartaco, 2019)
Avevo già apprezzato la penna di Darien Levani quando scrisse il meraviglioso Toringrad (Edizioni Spartaco, 2016); le sensazioni e le emozioni che provai allora sono rimaste le stesse, e l’“effetto-calamita” ha continuato a sprigionare i suoi poteri, tanto da tenermi “incollato” alla storia che si costruiva pagina dopo pagina. Questa nuova e intrigante vicenda presenta un personaggio accusato di un omicidio, un giudice responsabile del processo che condannò l’accusato, e dei commensali tutti intenti a condannare l’atteggiamento e la decisione presa dal giudice invece di appurare il reale svolgimento dei fatti. Insomma, come se fossimo in un’arena, troviamo da un lato la Legge, con il suo integerrimo giudizio, e dall’altro c’è la doxa, l’opinione del popolo che, digiuno di norme, è proteso al pre-giudizio. Ma in fondo, cos’è giustizia? Ad illuminarci sono le parole del Dottore Angelico che nella sua Opera magna così si esprime:
La giustizia è l‘abito mediante il quale si dà a ciascuno il suo con un volere costante e perenne (Tommaso d’Aquino, La Somma Teologica, II-II, arg. 58, art. 1, a cura di P. T. S. Centi e P. A. Z. Belloni, 2009)
L’atto della giustizia è infatti volontario, cosciente e stabile, tale che, grazie a queste caratteristiche, possa trasformarsi in una virtù. È giusto chi dà a ciascuno il suo secondo quanto gli spetta, non appropriandosi indebitamente e in maniera totalitaria di ciò che è oggetto di spartizione. Di certo, direte voi, non serviva Tommaso per ribadire quello che è un dato di fatto o un’ovvietà. Purtroppo bisogna constatare il contrario: ciò che pare ovvio non lo è affatto, e c’è sempre bisogno di qualcuno che ce lo rammenti. Molte volte parliamo per pre-giudizi, per ignoranza, per tracotanza, per farci notare (anche quando non conosciamo bene l’oggetto di discussione). È proprio questo il caso della nostra storia: i commensali invitati al matrimonio protagonisti della vicenda si ritrovano tutti al tavolo numero sette, ma invece di instaurare piacevoli conversazioni fra di loro (come si userebbe in tali circostanze), la loro preoccupazione principale è inveire contro il capro espiatorio del momento: il giudice Bordin, reo di aver (a loro “giudizio”) scagionato un assassino. Strabiliante è la figura del giudice che, invece di rispondere a tono alle ingiurie mossegli dagli invitati, con una pazienza ammirevole intavola una vera e propria lezione di diritto per principianti, spiegando passo dopo passo i retroscena del processo, a tal punto che, sul più bello, si scopre il colpevole vero dell’omicidio. Ciò conferirà giusta luce e merito al giudizio di Bordin e calerà il sipario sulla natura pretestuosa, falsificante e, a volte, pregiudizievole dei nostri giudizi. Come ben recita il Libro del Siracide:
Se una frusta ti colpisce, ti lascia il segno
sulla pelle,
ma se ti colpisce la lingua, ti spezza le
ossa.
18La spada uccide tante persone,
ma ne uccide più la lingua che la spada.
19Fortunato chi è al riparo dei suoi colpi
e chi non ha provato il suo furore,
chi non ha dovuto portare il giogo della
lingua
e non è mai stato legato con le sue catene.
20Il giogo della lingua cattiva è un giogo di
ferro
e le sue catene sono catene di bronzo.
21Meglio la morte che ascoltare una lingua
simile,
perché la morte con cui ti colpisce è
terribile.» (Bibbia, Libro del Siracide 28,17-21)
Insomma, morale della favola: a far silenzio (in stato di ignoranza), ci si guadagna.