Culturificio
pubblicato 2 anni fa in Letteratura

La Recherche avant la lettre III

La Recherche avant la lettre III

1913

Dopo i due scottanti rifiuti del 1912, l’orgoglio di Marcel lo spinge sempre più verso una pubblicazione a proprie spese. Così facendo, avrebbe potuto aggiungere, modificare, riscrivere e sistemare il manoscritto quanto e quando avesse voluto, senza doverne dar conto a nessun editore. Eppure, il 1913 si apre con il tentativo da parte di Louis de Robert di convincere Proust a provare con un’altra casa editrice, evitando così l’autopubblicazione, ritenuta «absurde». Louis de Robert lo assicura che sarà lui ad aiutarlo a trovare «facilement» un nuovo editore, e Proust accetta. Con l’invio del dattiloscritto a Humblot, della casa editrice Ollendorff, inizia quindi un nuovo periodo di trattative.

Una volta inviata l’opera, per ingannare l’attesa, Proust si tiene impegnato: propone a Calmette di pubblicarne degli estratti su «Le Figaro» e a Emmanuel Bibesco, fratello di Antoine, chiede di mediare con la «NRF», per un nuovo tentativo di pubblicazione di alcuni estratti scelti. Questa volta Proust apprende del rifiuto non dai diretti interessati ma da un messaggio di Emmanuel Bibesco, che Bibesco gli invia da Lisbona.

A questa lettera Bibesco aveva allegato quella originale della «NRF» con la quale rifiutavano la nuova pubblicazione, ma a Proust era scivolata di mano e non l’avrebbe letta se non qualche giorno più tardi. Da qui nasce un vero qui pro quo: Proust, non avendo ancora letto la lettera, suppone che a quel punto avrebbe dovuto pagare di tasca propria per vedere gli estratti pubblicati e questa sua supposizione lo farà apparire, agli occhi dei redattori della «NRF», ancora più snob di quanto non fosse sembrato l’anno precedente.

Nel frattempo, sul fronte Ollendorff ci sono novità: Louis de Robert comunica a Proust il rifiuto anche di questa casa editrice. A tal proposito, raccontando queste vicende editoriali, de Robert racconta un aneddoto:

Je le priai seulement de m’envoyer une lettre conçue en des termes plus convenables et que je pusse communiquer à mon ami. Deux jours plus tard, je reçus une lettre tapée à la machine et contenant un banal refus. Je l’envoyai à Proust en m’excusant (de Robert, 1925, p. 13).

Ma la lettera di risposta di Proust lascia intendere che i toni di Humblot non fossero così pacati e banali. Lo scrittore, infatti, cita passaggi ed espressioni che ha trovato offensive, come:

Cher ami, je suis peut-être bouché à l’émeri, mais je ne puis comprendre qu’un monsieur puisse employer trente pages à décrire comment il se tourne et se tourne dans son lit avant de trouver le sommeil. J’ai beau me prendre la tête entre les deux mains… (de Robert, 1925, p. 13).

A questo punto, Proust gli risponde così:

J’ai en effet essayé d’envelopper mon premier chapitre (je suppose que c’est de cela qu’il veut parler car j’avoue que je ne me suis pas reconnu) dans mes impressions de demi-réveil dont la signification ne sera complète que plus tard mais que j’ai en effet poussées aussi loin que ma pénétration, hélas médiocre, l’a pu. Il est bien certain que le but dans ce cas est non pas de dire qu’on se retourne dans son lit ce qui en effet demande moins de pages, mais que ce n’est que le moyen de cette analyse. […] Hélas plus d’un lecteur sera aussi sévère que lui. Mais ces gens-là ont-ils jamais lu vraiment Barrès par exemple. J’en doute fort. Et Maeterlinck. J’en doute aussi. Si en cachant le nom de l’auteur on envoyait à M. Humblot la Colline Inspirée de l’un et la Mort de l’autre, je crois qu’il «élaguerait» tant qu’il n’en resterait pas grand-chose, et qu’il aurait beau se «prendre la tête dans ses mains…»

Proust si trova costretto ad affermare l’ovvio: il suo scopo non era descrivere i tormenti di un uomo che non riesce a prender sonno: quelle erano solo impressioni da semisveglio il cui significato si sarebbe esplicitato solo in seguito nel romanzo. Evidentemente, il criterio di Humblot lo avrebbe portato a depennare grandi opere se solo le avesse lette senza il nome dei loro autori. Quando c’è da difendere la sua opera, insomma, Proust non si tira indietro. Questo nuovo rifiuto non lo getta nella disperazione come i precedenti ma lo fa reagire. Qualche giorno dopo, sempre a de Robert, scrive un’apologia dell’opera, in una lettera dai toni risoluti:

Voici ce que je compte de faire et qui sera peut-être déjà fait quand vous recevrez ce mot. Renouer après trois mois avec la Nouvelle Revue Française est impossible. […] Non ; ce que je vais faire est ceci. […] Je vais demander à René Blum qui connaît beaucoup l’éditeur Grasset de lui demander s’il veut éditer le livre à mes frais, en l’intéressant légèrement à la vente, et moi payant la publicité.

Proust pensa di contattare René Blum perché qualche giorno prima Antoine Bibesco gli ha scritto per dirgli che lo stesso Blum avrebbe voluto alcuni estratti del romanzo da pubblicare sul «Gil Blas». Proust è così deciso che la sera stessa prova a telefonare direttamente a Blum. Non trovandolo, però, decide di scrivergli una lettera: «Vous le comprenez facilement je travaille depuis longtemps à cette œuvre, j’y ai mis le meilleur de ma pensée; elle réclame maintenant un tombeau qui soit achevé avant que le mien soit rempli et en m’aidant à accomplir son vœu vous faites pour moi quelque chose de précieux», e prosegue affermando che intende pagare tutto il necessario, profumatamente, affinché il manoscritto possa vedere la luce in veste di libro. Proust è così deciso che aggiunge: «Ce que je veux c’est que dans huit jours vous puissiez me dire, c’est une affaire conclue, votre livre paraîtra à telle date», e arriva addirittura a spiegare i dettagli di come vorrebbe questa pubblicazione: «Ce roman comprendra deux volumes, de 650 pages chacun. Pour faire une concession aux habitudes, je donne un titre différent aux deux volumes et je ne les ferai paraître qu’à dix mois d’intervalle».

Davanti a quest’offerta, Blum non perde tempo e avverte l’amico editore Grasset, il quale, di fronte a condizioni economiche così vantaggiose per la nascente casa editrice, accetta di buon grado. Incredibilmente, tutto succede velocemente e senza ostacoli: il 19 febbraio è arrivato il rifiuto di Ollendorf, il 20 Proust chiede a Blum di fare da intermediario con Grasset, il 22 Blum accetta di intercedere e il 24 Grasset accetta di pubblicare l’opera di Proust.

Nello stesso giorno, Proust fa inviare a Grasset il dattiloscritto del primo volume accompagnata da una lettera e dagli estratti che «Le Figaro» aveva pubblicato. Il suo timore è che il primo volume venda male e, per lettera, spiega il motivo per cui vuole pagare a proprie spese: non vuole che la futura uscita sia per Grasset uncattivo affare. Ma Proust va oltre, e insiste sulla questione economica: «en cas de succès toujours possible je désire que vous ayez un tant sur la vente (vous fixerez vous-même le chiffre qui pourrait grossir si les éditions se multipliaient, mais en me laissant cependant toujours la propriété de mon ouvrage)». Ad ogni modo, per rendere le previsioni ancora più favorevoli, Proust si dice convinto che il secondo volume venderà meglio del primo, «car il est infiniment plus narratif et peut-être aussi parce qu’il est fort indécent. Mais je regretterais que ce fût la cause de son succès. Le premier n’est qu’une interminable préparation», e conclude senza specificare che di questo secondo volume, mentre scrive, esistono solo alcuni di appunti.

Durante la preparazione della stampa del primo volume – che Proust voleva intitolare Le Temps perdu, Première Partie – si verificano una serie di ritardi: la pubblicazione non potrà avere luogoa maggio, come sperava Proust. Lo scrittore propone come nuova data d’uscita l’inizio di ottobre, mantenendo sempre alto l’ottimismo anche per il secondo volume, che, invece, spera di veder pubblicato nel giugno del 1914.

La collaborazione con Grasset è viva, interessata e partecipata da parte dell’autore. Basti pensare che Proust interviene su ogni aspetto della pubblicazione, dal prezzo di vendita di ogni volume («Je souhaite des volumes courants, à 3 francs 50, ne s’adressant pas exclusivement à une clientèle, mais à des intellectuels qui n’achèteront pas un livre de 10 francs») alle dimensioni del volume (aveva immaginato il primo delle stesse dimensioni di un’opera di Zola, per cui invia a Grasset l’edizione di Travail, di cui ha già contato il numero di righe per ogni pagina e il numero di caratteri stampati per ogni riga). Continua, inoltre, la riflessione sul titolo. In questo periodo, la soluzione che gli è più congeniale è quella di dare come titolo generale a tutta l’opera Les Intermittences du Passé e poi intitolare il primo volume Le Temps Perdu e il secondo Le temps Retrouvé. Quest’ultimo – che a differenza degli altri resterà invariato – indica la sua intenzione di mantenere parallele l’apertura e la chiusura dell’opera, per sottolinearne l’unità strutturale: si tratta di una ricerca che si risolve tramite la rivelazione della meta, verso la quale il narratore si sta dirigendo dall’inizio del suo metaforico pellegrinaggio.

È proprio preparando tutti i dettagli e le rifiniture delle pubblicazioni, correggendo e aggiungendo, che Proust inizia a prevedere la necessità di dividere ulteriormente l’opera in tre volumi.

L’11 marzo Proust riceve da Grasset il contratto, che rimanda in segno di approvazione e a cui aggiunge un primo versamento di 1730 franchi. Due giorni dopo, editore e autore firmano il contratto. Secondo questo accordo lo scrittore guadagna 1,50 franchi su ogni volume, il che lascia i restanti 2 franchi all’editore. A Proust rimangono, inoltre, i diritti d’autore.

Il 18 marzo Grasset invia al suo scrittore un campione dei caratteri di stampa. Proust decide di promuovere il romanzo in uscita per incuriosire il potenziale pubblico. Ma sia la «Revue de Paris» sia la «NRF» avevano declinato l’offerta di pubblicazione degli estratti, così come Chevassu ne aveva rifiutati altri per «Le Figaro». Non sapendo più a chi rivolgersi, Proust ritorna da Calmette, il quale accetta di pubblicare sempre su «Le Figaro» un frammento intitolato Vacances de Pâques, che esce il 25 marzo, proprio due giorni dopo la Pasqua.

La meta tanto aspirata, il risultato di quattro anni di lavoro ininterrotto, sembra farsi sempre più vicina. Sono bastati solo quindici giorni da quando ha conosciuto Grasset per firmare il contratto. Altri quindici giorni e il tipografo invia a Proust le prime bozze, stampate in colonne solo sul fronte, senza impaginazione e con ampi margini per correzioni e aggiunte. Solo dopo aver apportato le varie correzioni indicate sulle tavole, il tipografo potrà procedere infine all’impaginazione.

La prima bozza arrivata a Proust è datata 31 marzo, dunque dagli inizi di aprile lo scrittore inizia a rivedere le bozze del primo volume. In una lettera a Vaudoyer, racconta l’avventura con questo primo giro:

Je suis en train de corriger mes premières épreuves. Il m’en arrive chaque jour, je n’en ai encore renvoyé aucune. […] Mes corrections jusqu’ici (j’espère que cela ne continuera pas) ne sont pas des corrections. Il ne reste pas une ligne sur 20 du texte primitif (remplacé d’ailleurs par un autre). C’est rayé, corrigé dans toutes les parties blanches que je peux trouver, et je colle des papiers en haut, en bas, à droite, à gauche, etc. Or vous savez que j’ai fait un prix avec Grasset. Mais ceci n’augmente-t-il pas les dépenses pour lui ? Et ne dois-je pas lui dire spontanément que je lui offre une somme supplémentaire. Combien?

Proust, anziché limitarsi a correggere, continua a scrivere. Non si sa cosa Vaudoyer abbia risposto a Proust, però una settimana più tardi lo scrittore manda una lettera a Grasset in cui confessa:

Nous avons fait un traité mais… je vais avoir à vous reverser de l’argent. En effet, j’ai tellement remanié les épreuves que vous m’avez envoyées que je serais un malhonnête homme en comptant un si énorme nombre de corrections comprises dans nos conventions. En réalité le texte n’est pas extrêmement changé, car tout ce que j’ai ajouté, je l’ai généralement rebiffé ensuite. Mais il en résulte sinon un changement de dimensions (tout compte fait c’est plutôt un peu abrégé) du moins un inextricable gâchis qui va donner à vos ouvriers une peine dont je suis désolé et confus, et pour laquelle il n’est que justice que vous me comptiez un supplément que vous fixerez vous-même et que je verserai avec plaisir. […] Je ne sais si vous avez lu dernièrement dans Le Figaro un extrait de «notre» livre. Je ne vous l’ai pas envoyé pensant que vous n’en aviez déjà que trop lu dans ce formidable manuscrit.

Proust aggiunge il commento sugli estratti pubblicati su «Le Figaro» da Calmette perché il suo editore non si è mai espresso in merito al romanzo, per cui qui sta facendo un tentativo per scoprire cosa ne pensi Grasset. In realtà, l’editore non esprimerà mai apertamente giudizi sull’opera, salvo una volta, quando si lascia andare esprimendo un parere sulla prosa di Proust, regalando una copia di Du côté de chez Swann a un suo amico, poco dopo che il volume era stato pubblicato. Il commento è sprezzante: «C’est illisible, nous l’avons publié à compte d’auteur».

Dopo aver lavorato con determinazione alla correzione delle bozze, Proust rinvia a Grasset le prime 45, scrivendogli: «Je me résigne à vous envoyer ces désolantes épreuves qui me rendent confus». A Maurice Duplay, Proust confida lo smarrimento che prova correggendo: «Je suis brisé par la correction de mes épreuves dont je ne peux pas venir à bout, je change tout, l’imprimeur ne s’y reconnait pas, mon éditeur me relance de jour en jour, et pendant ce temps ma santé fléchit entièrement j’ai tellement maigri que tu ne me reconnaitrais pas».

È proprio in questo periodo, inoltre, che Proust annuncia a Grasset di voler modificare ulteriormente i titoli: «Le livre s’appellera : Du côté de chez Swann pour le premier volume. Pour le second probablement : Le côté des Guermantes. Le titre général des deux volumes: A la Recherche du Temps perdu» e, nella stessa lettera, aggiunge: «Par conséquence il n’y a plus d’Intermittences du Cœur. Ce changement vient de ce que dans l’intervalle j’ai vu annoncé un livre de M. Binet Valmer intitulé le Cœur en désordre. Or cela doit être une allusion au même état morbide qui caractérise les cœurs intermittents. Je réserverai à un simple chapitre du deuxième volume le titre: Les Intermittences du Cœur».

Più va avanti il lavoro di correzione di bozze e più Proust inizia a preoccuparsi della lunghezza del volume, e l’editore assieme a lui. Infatti, quest’ultimo scrive che la sua preoccupazione non era una questione di «goût» ma «la crainte que nous arrivions à la fin d’un volume de dimensions formidables sans que la matière du premier tome soit achevée». Per cui Proust propone a Grasset e al tipografo di ridurre il numero di pagine eliminando delle andate a capo, preferendo, del resto, vedere i dialoghi perdersi nella continuità del testo.

Finita l’intera revisione delle bozze, diventate delle vere «fisarmoniche» – a causa delle striscioline di carta, alcune delle quali lunghe fino a due metri, su cui venivano annotate le correzioni, conosciute anche come «paperoles» –, Proust può mostrare finalmente un giro di bozze del volume. La prima persona a vederlo è Louis de Robert e, nella lettera che lo accompagna, Proust spiega perché non gli ha inviato le precedenti chiedendogli anche un favore:

Si j’ai tardé à vous communiquer mes épreuves en voici l’unique raison (car vous êtes la seule personne qui aurez la communication intégrale de mon livre avant sa publication). Les premières ont été par moi corrigées de telle façon (pour vous l’indiquer par un fait matériel Grasset me demande un supplément de 595 francs rien que pour les frais de corrections excessives des 45 premiers placards, les seuls que je lui aie encore rendus) qu’il m’eût été impossible de vous les faire lire dans cet état. […] Et si vous aviez la bonté de me signaler les parties qui vous semblent faire longueur, que je devrais supprimer (ou peut-être mettre en «notes» n’est-ce pas possible?) en les marquant avec un crayon bleu ou rouge, ou noir, vous me rendriez un grand service. Peut-être je vous désobéirai car je serai si heureux d’avoir vu cela à travers vous.

Louis de Robert manda indietro le bozze dopo averle annotate e commentate fittamente. Tra i consigli relativi ai probabili tagli da fare, de Robert suggerisce di scartare l’elenco delle «chambres d’autrefois» all’inizio del capitolo «Combray». Ma per Proust quella porzione di testo è intoccabile – così come il resto –, perché quell’elenco è un elemento di grande valore per la struttura dell’intera opera: «Quand vous aurez fini le chapitre Combray, vous verrez qu’elle est fort importante et que les visages des chambres dans l’obscurité commencés là et aussitôt interrompus se terminent à la fin du chapitre».

A questo punto de Robert, in merito alla questione della lunghezza, risponde:

Ne coupez rien ce serait un crime. Tout doit être conservé, tout est rare, subtil, profond, juste, vrai, précieux, incomparable. Mais ne versez pas une liqueur si rare dans un si grand verre». È proprio de Robert a suggerire, dunque, di dividere il primo volume in due parti: «Un livre de 700 pages sera parcouru des yeux et on dédaignera ainsi tant de beautés, tant d’aperçus originaux, tant d’observations d’une justesse et d’une vérité surprenantes!

Quanto all’idea di creare delle note, de Robert afferma: «Non, non, ne mettez pas ce que vous appelez vos “longueurs” en note. Cela prendrait un air de livre d’érudition. Ne changez rien à votre forme» e conclude facendo una previsione quanto mai azzeccata: «Je suis sûr que cette œuvre va vous classer comme un de nos premiers écrivains. Je m’en réjouis profondément».

Prima della stagione estiva, Proust invia a Grasset il denaro necessario a ripagare le correzioni eccessive delle prime bozze e gli scrive di aver quasi terminato il secondo giro. Gli spiega anche che non ha ancora rimandato le prime perché aspettava di sapere «à combien de pages nous allions». Grasset lo informa che allo stato di cose di quel momento si sarebbero superate le 700 pagine e, di conseguenza, Proust annuncia la decisione di voler dividere il volume:

Je vais donc être obligé de reporter au commencement du deuxième volume ce que je croyais la fin de celui-ci (une bonne dizaine de placards). Mais vous êtes vous-même trop un artiste, pour ne pas comprendre qu’une fin n’est pas une simple terminaison et que je ne peux pas couper cela aussi facilement qu’une motte de beurre. Cela demande réflexion et arrangement. […] Dans quelques jours je vous renverrai les premières et les secondes épreuves.

In questo periodo, però, la salute di Proust peggiora in modo notevole, tanto da fargli scrivere a Robert de Flers: «Je suis très malheureux en ce moment mon petit Robert, et je ne sais si j’aurai même le courage de recopier les deux derniers volumes qui sont cependant tout faits. […] Il faut m’occuper de ce livre, on veut le présenter au Prix Goncourt».

E così, nonostante la malattia, nonostante le prime pene d’amore con Agostinelli, Proust fa l’ultimo sforzo e all’inizio di novembre la prima edizione del libro vede la luce. Grasset invia le prime copie, non ancora in vendita, all’autore pregandolo di farle arrivare alla giuria del premio La Vie Heureuse e a quella del Goncourt. Purtroppo per il Goncourt era già troppo tardi, ma questa mossa aiuta il libro a far parlare di sé. Infatti, pochi giorni dopo, Proust riceve una visita di Elie-Joseph Bois, inviato dal direttore di «Le Temps» a fare alcune domande all’autore del nuovo romanzo.

In quest’intervista Proust spiega la sua concezione del tempo, i suoi personaggi, il suo stile. Ne seguiranno altre, come quella con André Arnyvelde, pseudonimo di André Lévy, per «Le Miroir». Proust lavora senza sosta per far apparire il titolo tra i giornali più in voga, sia con estratti sia con interviste. «Gil Blas» pubblicherà alcuni estratti, così come «Le Temps» e «Les Annales».

Finalmente, il 14 novembre Du côté de chez Swann viene pubblicato in maniera integrale sotto forma di primo volume su tre. A questo punto, Cocteau pubblica un «buste» di Proust sull’«Excelsior» e Lucien Daudet scrive un lungo articolo su Swann per «Le Figaro».

Il successo è evidente: il volume è in vendita da sole tre settimane e Grasset già propone a Proust un contratto per le traduzioni e gli annuncia l’imminenza di una nuova ristampa. La prima tiratura – che contava 1750 copie – si esaurisce in poco tempo.

Quando tutto sembra andare per il meglio, Grasset telefona d’urgenza a Proust per comunicargli che Souday, il critico letterario di «Le Temps», ha stroncato Swann. In un primo momento, Proust vorrebbe chiedere spazio al giornale per controbattere alle critiche mosse, ma poi capisce che inimicarsi un critico così rinomato non gioverebbe alla sua reputazione; per cui decide di rispondere comunque a Souday, ma in privato, con una lettera: «Mon livre peut ne révéler aucun talent; il présume du moins, il implique assez de culture pour qu’il n’y ait pas vraisemblance morale à ce que je commette des fautes aussi grossières que celles que vous signalez».

Se un quotidiano così rispettabile e rispettato come «Le Temps» ha trattato a più riprese la nuova uscita di Proust, l’attenzione del pubblico letterario, quello a cui mirava Proust, si è destata. Infatti, è proprio in questo periodo – soprattutto grazie alla recensione di Souday – che avviene un piccolo miracolo: Gabriel Astruc, leggendo la recensione negativa su «Le Temps», rimane incuriosito da Swann e decide di acquistare il libro. Appena inizia a leggerlo «il se trouve séduit, charmé, envoûté». Se non fosse che, leggendo, non può fare a meno di notare innumerevoli errori di stampa, a causa del suo lavoro giovanile come correttore di bozze presso la casa editrice Ollendorf. Automaticamente, con una matita, comincia a segnalare tutti i refusi. Quando, per puro caso, Proust viene a sapere che Astruc sta leggendo il suo libro e sta, allo stesso tempo, appuntandosi tutti gli errori, gli scrive: «Si vous aviez la bonté d’échanger contre ce seul exemplaire qui me reste de la première édition celui où vous avez pris la peine de souligner les fautes, cela m’aiderait infiniment pour le tirage imminent de la quatrième». Da questo momento inizia una collaborazione fatta di molte lettere tra Proust e Astruc, il quale presterà allo scrittore ben due volte la sua copia con le correzioni. Il risultato di questa relazione porta alla ristampa nel mese di dicembre, priva di almeno un migliaio di refusi.

Il lavoro di ufficio stampa che Proust effettua da sé per il suo libro dà i suoi frutti. Nell’ultimo mese dell’anno sta alle calcagna di alcuni tra i più importanti giornalisti. Con qualcuno riuscirà ad avere la meglio, con altri – come con Beaunier di «La Revue des Deux Mondes» che, nonostante le insistenze di Marcel, non pubblicherà mai un articolo sulla sua opera – invece andrà male. Ciò che conta è che nel milieu letterario si inizia a leggere Proust.

E così si conclude il 1913, un anno di svolta per il nostro autore, che finalmente riesce a vedere la sua opera pubblicata. La chiusura oltremodo positiva di quest’anno, però, non riuscirà a preparare editore e autore all’evento catastrofico che seguirà nell’anno successivo: la prima guerra mondiale.

Bibliografia

  • Louis de Robert, Comment débuta Marcel Proust, Gallimard, Parigi, 1925;
  • Marcel Proust, Correspondance, a cura di Philip Kolb, Plon, Parigi, vol. XII (1984).

di Elisabetta Tommarelli


(fonte della fotografia di Marcel Proust)