La Recherche avant la lettre IV
1914-1915
Il 1913 si era concluso splendidamente per Proust: il primo volume della Recherche è stato finalmente pubblicato e la sua voce inizia ad affermarsi tra quelle dei contemporanei. Eppure, per Proust il nuovo anno inizia male. Nonostante i traguardi raggiunti, la risonanza nel milieu letterario e le ristampe (quattro in due mesi), lo scrittore è amareggiato. Indubbiamente, la relazione tumultuosa con Agostinelli incide per gran parte sul suo umore. Ma, oltre alle questioni amorose, c’è anche un lungo – e piuttosto aggressivo – articolo di Henri Ghéon, pubblicato sulla «NRF» il primo gennaio.
Il giorno successivo, Proust manda al critico una lettera di sedici pagine per rispondere alle sue insinuazioni. Infatti, Ghéon ha giocato con il titolo dell’opera, scrivendo:
Voilà une œuvre de loisir […]. Tout le temps est à lui […], il le considère comme du temps perdu. […] Loin de lui le dessein de choisir et de “préférer” dans tout cela ! […] M. Marcel Proust au lieu de se résumer, de se contracter, s’abandonne. […] Il ne prend pas la peine d’être logique et encore moins de “composer”. […] Ce livre a la folie de la sincérité ; il a l’affection et la préciosité de ce qui se veut trop sincère.
Ciò che ferisce di più Proust è l’accusa di fare il contrario delle opere d’arte: abbandonarsi senza controllo a un fluviale inventario di determinate sensazioni.
Il cruccio di Proust è che, da quel momento in poi, gli altri critici si sarebbero lasciati influenzare negativamente dall’articolo di Ghéon per la lettura e l’analisi del romanzo – e non aveva tutti i torti. Infatti, diversi commentatori per strutturare la loro recensione partiranno dalle perplessità su sintassi e ortografia avanzate da Souday e sull’accusa di inconsistenza dell’opera lanciata da Ghéon.
Non mancano però i commenti positivi: su «La Vie Heureuse» Swann viene descritto come «l’un des plus originaux qui aient été publiés depuis longtemps», e c’è chi ammira la finezza dell’opera affermando che «sa richesse et sa souplesse extraordinaires, le charme de ses descriptions, sa puissance poétique font de Du côté de chez Swann un ouvrage d’une qualité rare, telle qu’il faut s’étonner qu’aucun des groupes institués ne se soit honoré en le couronnant».
Il successo e l’entusiasmo per Swann non dilagano solo in Francia, ma anche in area anglosassone, grazie a Edith Wharton e Henry James, in Germania, grazie a Rilke, il quale scrive all’editore Kippenberg «Si une traduction s’offrait, elle serait absolument à prendre: évidemment il y a 500 pages d’une style du plus original», ma anche in Italia, con Lucio d’Ambra che, poco dopo l’uscita di Swann, scrive parole profetiche sulla «Rassegna contemporanea»: «Ricordate questo nome e questo titolo: Marcel Proust e Du cóté de chez Swann. Tra cinquant’anni i nostri figlioli li ritroveranno accanto a Stendhal a le Rouge et le Noir e alla Chartreuse».
Proust è a conoscenza del fermento europeo attorno a Swann grazie alle lettere dei suoi amici che lo tengono aggiornato. Eppure, nessuna di queste lo colpirà come quella, famosissima, di André Gide, datata 11 gennaio. Il colosso della «NRF» si scusa con Proust e ammette che il più grande errore della casa editrice è stato proprio quello di rifiutarlo.
Come si è già visto nella prima puntata, è molto probabile che Gide non fosse interamente responsabile del rifiuto, eppure in questa lettera ammette: «[…] ho la vergogna di esserne in gran parte responsabile» (Proust, Gide, 2012, p. 11).
Che sia strategia, reale pentimento o una ben riuscita unione di entrambi, nella lettera elogio e rimorso si mescolano in un vorticoso giro di parole: Gide ha agito per pregiudizio.
Per me, voi rimanevate colui che frequenta assiduamente le signore X… e Z…, colui che scrive su “Le Figaro”… Vi credevo – devo confessarvelo? – “dalla parte dei Verdurin”. Uno snob, un mondano dilettante, quanto di più molesto potesse esserci per la nostra rivista. E il gesto, che comprendo così bene oggi, di aiutarci a pubblicare questo libro […] non ha fatto, ahimè! Che radicarmi nell’errore (Ibid).
Insistendo sul pregiudizio sociale e non su criticità testuali o mancata lungimiranza intellettuale – come era avvenuto per esempio con Sainte-Beuve e Stendhal –, Gide non sta commettendo una gaffe, come diversi studiosi hanno sospettato. Al contrario, autodenunciando apertis verbis il proprio pregiudizio, Gide salva l’opera nella sua interezza: il romanzo ora diventa motivo di elogio indiscutibile.
Per attirare l’attenzione di Proust, Gide sente il bisogno di comunicare «de puissance à puissance» (Masson, 2020, p. 85) e prendersi la colpa del rifiuto, in questo caso, equivaleva a dire che certe scelte, alla «NRF», erano di sua esclusiva competenza. È lui che deve presentarsi come il solo colpevole, o al massimo come colui che ne ha avuto «gran parte» della responsabilità, come l’unico in grado di poter riparare il danno. Rivendicando la responsabilità del rifiuto, Gide sembra affermare implicitamente che un errore della «NRF» è un suo errore perché lui è la «NRF» – il che lo mette in una posizione di estrema superiorità.
Questa lettera, inoltre, viene scritta in un periodo particolare per la «NRF» e, come afferma Assouline: «Il faut aussi l’interpréter comme une démonstration d’autorité, nécessaire à un moment où une lutte pour le pouvoir oppose Gide à Gallimard» (Assouline, 1988, p. xx).
Strano è che, nella lettera, Gide non si prodighi in analisi o commenti sull’opera. Parlerà, invece, di un doppio «coup de foudre»: il primo per il libro e il secondo per il suo autore. Al lettore odierno può sembrare scontato avere un colpo di fulmine per Marcel Proust, ma bisogna ricordare che all’epoca Proust non era ancora il gigante che è oggi, anzi, era ben lontano dall’essere considerato un autore affermato. La reazione di Gide a quest’errore è del tutto eccessiva, quasi irrazionale. Questa lettera di scuse e pentimento, se a un lettore odierno può sembrare logica e naturale nei confronti di Marcel Proust, non è spiegabile nel 1914, ed è ancora più inspiegabile se si considera il carteggio generale di Gide, nel quale questa lettera risplende nel suo carattere unico. Infatti, come nota Assouline: «Rarement un aveu de culpabilité aura été aussi entier et univoque, surtout sous la plume d’un écrivain comme Gide qui, parfois soucieux de s’adapter aux circonstances, a su faire montre d’un caractère sinueux» (Proust, Gide, 1988, p. xx). Ed è così che Gide lavora sulla sua strategia: mettersi in una posizione di vantaggio nei confronti del piccolo e promettente autore.
È impensabile non immaginare Proust godere di questa prostrazione di Gide. Infatti, Céleste ricorda: «E fu a questo punto che Monsieur Proust cominciò, da parte sua, a ridere di cuore. Posso dirlo per conoscenza di causa, perché ne sono stata testimone. L’assedio durò due anni, quasi giorno per giorno: dal febbraio 1914, quando il comitato di Gallimard espresse con una lettera il proprio pentimento, al febbraio 1916, quando Gide stesso, come si vedrà più avanti, percorse la strada di Canossa e venne a battersi il petto in boulevard Haussmann. Credo che sia stato quello uno dei periodi in cui Monsieur Proust si è maggiormente divertito» (Albaret, 2004, p. 265).
E nonostante questo, rispondendo a Gide, Proust non lascia trapelare questo sentimento. Al contrario, gli risponde che
Senza i ripetuti rifiuti della “NRF”, non avrei ricevuto la vostra lettera. […] Non è possibile che dopo aver letto il mio libro voi non mi conosciate abbastanza per essere certo che la gioia di ricevere la vostra lettera supera infinitamente quella che avrei provato a essere pubblicato dalla «NRF» (Proust, Gide, 2012, p. 14).
Proust ora sa di essersi finalmente guadagnato l’approvazione di questo gruppo di uomini di lettere, da lui tanto stimato. La prova la riceve il 6 febbraio: una lettera di Jacques Rivière, ventisettenne appena diventato segretario della direzione della rivista, in sostituzione di Copeau. Purtroppo, la lettera di Rivière non è mai stata ritrovata, ma si suppone che esprimesse le sue impressioni dopo la lettura di Swann. Proust, dal suo canto, ne è deliziato e gli risponde così : «Enfin je trouve un lecteur qui devine que mon livre est un ouvrage dogmatique et une construction !». Rivière coglie due delle qualità essenziali dell’opera di Proust e, non a caso, sarà uno dei proustiani più entusiasti, non solo come critico e interprete,) ma anche come propagatore dell’opera.
Oltre a godere dei successi di Swann, però, Proust sa che è arrivato il momento di mettersi all’opera per far uscire il secondo volume in tempo, cavalcando l’onda della popolarità. In una lettera a Mme Straus, Proust le confida: «Je voudrais qu’il reparût avant qu’on l’ait tout à fait oublié. Mais j’ai tellement d’ennuis que je n’ai pas le courage de revoir les épreuves de cette deuxième partie». È verso la fine di gennaio che si presuppone Proust abbia iniziato a far dattilografare il secondo volume. A testimonianza di ciò, c’è una lettera scritta a Lauris in cui afferma:
Je relis au fur et à mesure qu’on m’en donne les copies à la machine les anciennes feuilles de mon second volume et je n’ai même pas le courage de corriger les fautes d’ort[h]ographe.
Allo scoraggiamento, tuttavia, si accompagna una piccola vendetta: anche Fasquelle si è pentito del suo rifiuto e scrive a Proust proponendosi di pubblicare il secondo e terzo volume del romanzo. Proust non dà seguito alla proposta, però ne approfitta per raccogliere i suoi vecchi articoli e i suoi «pastiches» e propone questa raccolta a Fasquelle, ricordandogli il progetto ideato tempo prima. Purtroppo le sue condizioni di salute gli impediscono, ancora una volta, di portare avanti questo progetto indefinitamente.
Proprio in questo periodo ci sono due eventi che sconvolgono la vita di Proust: il primo è la morte di Calmette, il 16 marzo, ucciso da cinque proiettili della pistola di Henriette Caillaux, moglie del ministro delle Finanze, contro il quale il direttore del «Figaro» stava portando avanti una spietata campagna. L’evento sconvolge a tal punto lo scrittore da fargli rimandare l’entrata in una «maison de santé». Il secondo avvenimento sconvolgente è d’importanza capitale per Proust ma soprattutto per la sua opera: Gide annuncia la decisione unanime del consiglio della «NRF» di pubblicare a spese della casa editrice i due volumi ancora inediti di A la recherche du temps perdu e di «fare l’impossibile perché il primo volume si aggiunga ai successivi nella sua collana» (Proust, Gide, 2012, p. 13). Niente avrebbe potuto far più contento Proust. Alla proposta, infatti, risponde così: «È l’onore per me più ambito, lo sapete, e vi prego di ringraziare i vostri amici per avermelo accordato. Ma non bisogna che il desiderio di dire sì mi faccia agire scorrettamente nei confronti di Grasset. Ci penserò, vi scriverò tra qualche giorno» (Proust, Gide, 2012, p 18).
Prima di sondare Grasset con la proposta di interrompere il loro contratto, Proust lo invia al suo amico avvocato Émile Straus chiedendogli se a livello giuridico, stando a quanto scrittore e editore avevano firmato, fosse libero di pubblicare il secondo volume con un’altra casa editrice.
Non si sa bene se Grasset avesse iniziato a fiutare quest’interesse delle case editrici per l’opera di Proust o se effettivamente fosse venuto a conoscenza delle proposte di Fasquelle e della «NRF». Ciò che si sa per certo è che il 26 marzo Grasset scrive al suo autore che sarebbe stato «heureux de pouvoir publier bientôt [le] second volume», proponendogli di lanciarlo per fine maggio o inizio giugno. Ora, Grasset – soprattutto dopo aver lavorato con Proust al primo volume – sa bene di proporre una scadenza impossibile da rispettare. Sa già che per stampare e correggere i cinque giri di bozze di Du côté de chez Swann, il cui manoscritto era già stato dattilografato, c’erano voluti otto mesi. Com’è possibile che abbia proposto la pianificazione dell’uscita del secondo volume di lì a tre mesi? Grasset non era impazzito, sapeva bene che non sarebbe uscito alcun volume a maggio dello stesso anno. La sua strategia sta nel pressare Proust affinché quest’ultimo non abbia il tempo di concludere nessun tipo di accordo con altri editori.
E la sua tattica funziona. Non si conoscono i consigli che Straus ha dato a Proust, ma si sa che la clausola vi del contratto stipulato l’11 marzo 1913 afferma: «Il est entendu que l’auteur reste entièrement propriétaire de son œuvre et qu’un nouvel accord entre l’auteur et l’éditeur sera nécessaire pour l’établissement des éditions ultérieures». L’implicito qui, però, sta nel fatto che il contratto è stato firmato facendo riferimento all’interezza del romanzo: pubblicare il secondo volume avrebbe significato abrogare il contratto. Questa clausola impedirà, per il momento, a Proust di pubblicare con la «NRF».
Oltre il mero discorso giuridico, ciò che vincola Proust a Grasset è un altro fattore, che spiega a Gide in una lettera:
Allora è accaduto quello che temevo maggiormente, perché io sono disarmato contro la gentilezza. [Grasset] Mi ha scritto che potevo fare ciò che ritenevo opportuno, che mi scioglieva da ogni contratto, che mi voleva soltanto per mia libera scelta e non per costrizione. Stando così le cose, non potevo che abdicare alla libertà che mi restituiva, e così gli ho comunicato che sarei uscito presso di lui, riservandomi di fare altre edizioni altrove (Proust, Gide, 2012, p. 27).
Il 15 aprile esce un articolo di Blanche su Swann, dopo numerose pressioni da parte di Proust, il quale riesce comunque a trovare un problema: l’articolo appare durante le vacanze di Pasqua e ciò ne impedisce la corretta diffusione. Per compensare, Proust-editore inizia a farlo citare nei giornali, arrivando a redigere lui stesso dei piccoli articoli per i quali paga di tasca sua le inserzioni. Tale attività pubblicitaria porta inevitabilmente a numerosi scambi con la casa editrice di Grasset, e da qui inizia in modo più sereno la ripresa del lavoro editoriale al secondo volume.
Nel frattempo, i rapporti con la «NRF» non si acquietano, anzi. Gide, astuto, chiede a Proust di inviargli dei frammenti della prossima uscita da pubblicare sulla rivista. Ovviamente, Proust non esita e accetta. Si crea, però, un disguido quando Rivière, preso dall’entusiasmo, invece di chiedere gli estratti, propone direttamente – e per la seconda volta – di pubblicare l’intero romanzo con la «NRF». Proust rimane commosso da così tanta passione per la sua opera, e risponde:
Je crains que la publication de tout mon deuxième volume (qui sera au moins aussi long que le premier, sinon plus) même en faisant des coupures, n’encombre terriblement votre revue. […] Je comptais vous donner quelques paysages marins (contrastants avec les paysages terriens du premier volume) de Balbec et ma déception à Balbec qui ressemble si peu à ce que je croyais (plus la nuit d’arrivée avec ses tristesses, et les consolations de ma grand’mère). C’est une partie du chapitre qui dans le deuxième volume s’appellera « Noms de Pays : Le Pays » et qui fait pendant au chapitre du premier volume appelé : « Nom de Pays : Le Nom ».
Scrittore e direttore si mettono d’accordo in poco tempo e senza problemi e, a partire dal mese di giugno, la «Nouvelle Revue Française» pubblicherà i frammenti citati dall’autore, portando lo stile di Proust agli occhi di un pubblico d’élite. Questi estratti appariranno in volume solo nel 1919 in A l’ombre des jeunes filles en fleurs.
Nel mese di luglio prosegue la pubblicazione degli estratti che, invece, appariranno nel secondo volume, dal titolo Le Côté des Guermantes.
Questa volta, Grasset si affretta a fornire le bozze per il secondo volume, ma l’incidente aereo di Agostinelli, avvenuto il 30 maggio, rallenta il lavoro di correzione dell’autore, il cui umore e stato fisico sono gravati dal lutto. In una lettera del 20 giugno indirizzata a Gide, Proust si confida:
Caro amico,
Vi ringrazio con due sole parole perché ho veramente poche forze. Ma vi ringrazio con tutto il cuore. […] La moglie del mio povero amico ora è qui. Non mi rammarico troppo di essere incapace di scrivere un articolo in questo momento, malgrado l’onore che sarebbe per me parlare dei Sotterranei […]. Non so perché parlo del terzo volume. Non so neppure se il secondo uscirà mai e, da questo punto di vista, mi pento di aver dato dei brani alla «NRF». Dopo la morte del mio povero amico, non ho trovato il coraggio di aprire uno solo dei pacchi di bozze che Grasset mi manda ogni giorno. Si ammucchiano ancora legati, gli uni sugli altri, e non so quando avrò il coraggio di rimettermi al lavoro, o se l’avrò mai. Ho sistemato questi brani per il prossimo numero della «NRF» perché temevo che un pezzo così lungo non fosse adatto. Ma è tutto quello che ho potuto fare! E non so cosa potrò fare in seguito. (Proust, Gide, 2012, pp. 35-36).
Dopo l’attentato all’arciduca a Sarajevo, il 28 giugno 1914, l’idea di un conflitto inizia a farsi largo. Il 2 agosto inizia la guerra. Proust si allontana da Parigi e passa circa un mese a Cabourg. A settembre è di ritorno, la sua salute peggiora sempre di più.
Con lo scoppio della guerra, tutte le previsioni sulla pubblicazione del secondo volume si annullano. In questi quattro anni l’unica letteratura che viene pubblicata e pubblicizzata è quella bellica, e Proust deve rassegnarsi. Grasset stesso è stato coinvolto nelle mobilitazioni militari, per cui si ritrova a chiudere temporaneamente la sua attività.
A Proust non rimane che rimettersi al lavoro e attendere: finisce di correggere le bozze dei Guermantes, scrive l’intero ciclo di Albertine e inizia a elaborare i temi di Sodome et Gomorrhe. La sua opera lo terrà impegnato durante tutti gli anni della guerra fino alla fine delle ostilità, e per gli altri cinque anni che lo separano dalla morte.
E così si conclude il 1914, l’anno della ribalta, delle scuse e delle grandi promesse, ostacolate da eventi di scala maggiore come la prima guerra mondiale, che sospende quasi tutto: vite e libri.
Il 1915 per Proust è segnato da tre preoccupazioni: l’angoscia della guerra, l’ufficio reclutamento che di tanto in tanto lo convoca e, non ultimi, i problemi finanziari. In questo trambusto, con Grasset in guerra, la crisi della carta, il conflitto su scala europea, a livello editoriale il 1915 passa in sordina senza troppe vicende degne di nota.
Proust continua con la scrittura dei suoi brouillons, quando la salute glielo consente. In una lettera a Lionel Hauser, scrive:
Sans doute la vie que je mène n’a rien d’agréable et même en sachant que je ne peux être utile en rien à l’armée, je me serais utile à moi-même en me laissant supprimer. Mais je désire beaucoup terminer l’ouvrage commencé et y déposer des vérités dont je sais que beaucoup se nourrissent et qui sans cela seront détruites avec moi.
In quest’anno Proust lavora affannosamente al suo progetto e, seppur si possano annoverare tra i suoi appuntamenti mondani molte uscite, anche queste sono finalizzate al completamento dell’opera. Esce per studiare i modelli dei suoi personaggi, per immagazzinare le loro parole, i loro gesti, i loro sguardi, per imprimere nella memoria le impressioni visive e musicali.
In fin dei conti, quest’anno governato dalla guerra gli permette di approfondire il suo lavoro e di andare avanti senza distrazioni e interruzioni e lo prepara per l’anno successivo, il fatidico 1916.
Bibliografia:
- Céleste Albaret, Monsieur Proust, SE, Milano, 2004;
- Marcel Proust, André Gide, Lettere a André Gide, a cura di Lucia Corradini, SE, Milano, 2012;
- Marcel Proust, André Gide, Autour de «La Recherche», lettres, prefazione di Pierre Assouline, Complexe, Bruxelles, 1988;
- Marcel Proust, Correspondance, a cura di Philip Kolb, Plon, Paris, vol. xiii,1985;
- Marcel Proust, Correspondance, a cura di Philip Kolb, Plon, Paris, vol.xiv, 1986;
- Pierre Masson, André Gide & Marcel Proust. À la recherche de l’amitié, Presses universitaires de Lyon, 2020.
di Elisabetta Tommarelli
(fonte della fotografia di Marcel Proust)