La Recherche avant la lettre V
1916
Per Proust l’anno inizia con forti dolori fisici, che però, grazie al suo ottimismo rispetto alla guerra, e grazie alla sua determinazione nel terminare il lavoro, non hanno la meglio. Infatti, in una lettera a Mme Catusse, scrive: «Je ne vais pas trop mal, je travaille. […] Je peux, en le méritant par une semaine sans me lever non plus, aller entendre du Beethoven. N’était la réforme – et aussi un peu les heures – je pourrais aller voir – aller dire adieu car si ma vie est bien plus supportable, mon état aggravé me laisse peu de chances d’années à venir – des arbres fruitiers en fleurs. Le reste du temps je vis couché, je travaille».
Lavorando così, il suo corpo ormai già spossato gli manda un ulteriore segnale con nuovi problemi di vista. Sempre a Mme Catusse racconta di questo nuovo problema di salute: «J’y vois de moins en moins clair depuis un an, sans avoir troivé la possibilité d’aller voir un oculiste»; e così si lamenterà dei forti dolori agli occhi nella maggioranza delle lettere della prima parte del 1916. La situazione, purtroppo, peggiora sempre più, fino al punto da fargli credere di star perdendo la vista.
Quanto alla situazione editoriale, René Blum, nel corso di una visita a Parigi, incontra Proust e si offre come intermediario tra lui e Grasset, per pressarlo e indurlo a rinunciare al suo contratto con l’autore, così da renderlo libero di poter pubblicare con la «NRF».
Proprio dalla «NRF», Gallimard, di certo avvertito da Blum, scrive a Proust. La lettera non è mai stata ritrovata, ma si può supporre che si riiniziasse a parlare della pubblicazione della Recherche, perché nella seconda lettera che l’editore gli invia, scrive: «Dato che mi parla della sua scalogna, e che proprio io ho incominciato a parlarle del suo libro, e dato che intende considerare come una scalogna il fatto che glielo abbiamo rifiutato, mi lasci dire oggi finalmente che la scalogna è tutta nostra, e la cosa maggiormente incresciosa è che ne abbiamo piena responsabilità. Siamo stati stupidamente leggeri. Mi vergogno solo a pensarci» (Proust, Gallimard, 1993, p. 15). Nella stessa lettera l’editore ribadisce che alla «NRF» Proust ha amici e che lo stesso Rivière, prigioniero di guerra, reclamava ancora il libro e chiedeva se fosse già stato pubblicato il secondo volume. A tal proposito, Gallimard scrive:
Così come mi rimprovererò sempre la nostra passata negligenza, mi rimprovererò sempre di non averle fatto sapere che, se mai si fosse presentata l’occasione di ripubblicare o di ricomprare la sua opera, lei avrebbe potuto contare su di me, in tutto e per tutto, senza restrizione alcuna. Se il suo secondo libro è pronto e sempre che non le dispiaccia che io ne sia l’editore, sono pronto a farlo stampare domani, a metterlo in vendita tra un mese. Accetterò tutte le condizioni (Proust, Gallimard, 1993, p. 15).
Proust ne è lusingato ma, nonostante Gallimard sostenga di stampare a qualsiasi condizione, senza restrizioni, il tarlo del dubbio in merito ai contenuti di Sodome et Gomorrhe inizia a farsi strada. Per cui, nel mese di maggio, l’autore scrive a Gallimard:
Il mio libro (più lungo di quanto non me ne fossi reso conto io stesso) si compone di un volume che […] intitolo Sodoma e Gomorra. Questo volume non è certo la fine, né la conclusione del libro, ben altrimenti grave e credo profonda. Ma ha infine una sua importanza (ne ha già avuto un assaggio nella «NRF» con il personaggio del signor Charlus). Ora, senz’alcuna intenzione immorale, non ho certo bisogno di dirglielo, egli viene dipinto con la più completa e la più audace verità pittorica. Da una parte questa libertà pittorica può urtarla. Dall’altra se non urta lei, può urtare i lettori, la stampa (e far arrabbiare anche i «Charlus» che vi si vedranno ritratti senza grazia alcuna), attirarmi dei fulmini che forse la sua casa editrice preferirebbe lasciare a un’altra. Ora una volta abbandonato Grasset, se all’ultimo momento lei rifiutasse di pubblicarmi o mi chiedesse dei cambiamenti che non potrei fare, non potrò più ritornare da lui, e bisognerà cercare un editore, tornare a Fasquelle. […] In una parola caro amico se mi sento più obblighi verso di lei che verso Grasset, mi sento (non creda ch’io lo dica per presunzione) più obblighi verso la mia opera che verso di lei. Le ho trovato un rifugio, voglio cercare di abbandonarlo, d’accordo, ma voglio essere innanzitutto sicuro che il suo non rischierà in seguito di venirle meno, e che il mio manoscritto non sarà poi costretto a vagabondare, condotto da me o da qualcun altro se io non ci sarò più, senza trovare […] un guanciale dove posare il capo. Vorrei in una parola essere certo che lei sarà il mio editore, prima di lasciare quello che ho. E vorrei anche essere sicuro che non lo rimpiangerà. (Proust, Gallimard, 1993, p. 21)
Bisogna, a questo punto, trovare un modo per abbandonare Grasset. Il piano di Proust è quello di puntare sulla sua situazione economica traballante e sul bisogno di una stabilità economica che in quel momento Grasset non poteva garantirgli, giustificando così l’impossibilità di aspettare la fine della guerra per la riapertura della casa editrice. Al contrario, la «NRF» è pronta a stampare e pubblicare immediatamente, e non a sue spese. Queste congetture, in fin dei conti, sono soltanto un pretesto per sciogliere il contratto: Proust aveva comunque intenzione di ricominciare a pubblicare dopo la guerra, magari i tre volumi assieme, anche perché l’offerta di Gallimard di far apparire il libro nel giro di un mese è un miraggio, per Proust, che conosce bene i suoi tempi con tutti i giri di bozze e le aggiunte.
Il cruccio dell’autore è che Grasset prima della guerra aveva già stampato delle bozze del secondo volume, su cui Proust aveva iniziato a lavorare, e teme che a questo punto Grasset possa richiedere un indennizzo per le spese sostenute. Ne parla a Gallimard che, a sua volta, gli risponde inviandogli i potenziali accordi della «NRF» per la pubblicazione dei volumi non ancora apparsi e per l’indennizzo.
Proust, allora, scrive a Blum:
Elle [la «NRF»] serait d’ailleurs disposée au besoin à donner une indemnité à Grasset. Mais est-ce bien nécessaire pour un livre dont j’ai payé l’impression très cher, et sur la vente duquel Grasset a malgré cela touché des droits élevés. Il est vrai que les épreuves du second volume (quelques pages) étaient commencées depuis quelques jours, mais tellement mal faites, avec des erreurs telles que Brun l’associé de Grasset m’avait dit qu’il fallait tout faire recommencer, sans même en parler à Grasset.
Da qui nasce, però, una contraddizione. Se nella lettera a Blum le bozze erano soltanto qualche pagina e fatte così male da doverle stampare di nuovo, nella lettera che manda a Gallimard, invece, le bozze stampate da Grasset diventano bozze riviste già al secondo giro e «una metà del secondo volume», che lui intende mandargli come manoscritto.
Ad ogni modo, Proust è deciso a cambiare editore. Per farlo, però, ha bisogno di trovare Grasset. Impiega quasi un mese per scoprire dove si trova, ma con scarsi risultati: la lettera viene respinta e rimandata al mittente. Per cui Proust chiede a Blum di inviare la lettera a suo nome in modo che, se Grasset avesse voluto continuare a fingere di non essere in rue des Saint-Pères in Svizzera, alla vista del mittente Marcel Proust, molto probabilmente una lettera firmata Blum sarebbe, invece, stata accettata. E così andrà: la lettera di Blum viene spedita e, questa volta, Grasset risponde da una clinica. Il primo agosto, scrive:
Vous savez combien je tiens à ma maison et à tout ce qui en fait à richesse, quelle peine m’ont donnée sa fondation et sa croissance, je puis bien vous dire que ma firme est la chose au monde à quoi je tiens de plus. Aussi vous comprendrez que j’aie été très douloureusement surpris qu’en pleine guerre alors que tout mon personnel est mobilisé, que moi-même après l’avoir été un an, je suis malade et loin de mes affaires, alors que tout le monde, agité par d’autres soucis que ceux des affaires, respecte cette trêve et réserve pour le moment de la reprise les questions restées en suspens… un des auteurs auxquels je tiens le plus me demande brusquement de se détacher de moi. […] Je me rappelle seulement que, comme vous le dites, il s’est réservé la propriété de ses ouvrages, et d’autre part que la composition du second volume est sinon achevée, du moins très avancée. Je me rappelle également que cette composition du second volume (non paru) a déjà été l’objet de tels remaniements que de très gros frais m’ont été imposés de ce fait. Enfin, en ce qui touche au retard apporté à la publication de ce second volume, et pour examiner la question au point de vue du droit pur, il est certain que je me trouve du fait de la guerre dans un cas de force majeure qui me réserve, jusqu’à la reprise des affaires, tout droit d’en effectuer au moins le premier tirage […]. Si malgré ces considérations, Marcel Proust veut une rupture, j’ai, croyez-le, trop de fierté pour retenir un auteur qui n’a plus confiance en moi et je lui faciliterai la reprise complète de sa liberté.
Questa volta, Proust non fa rispondere a Blum. Nonostante il suo stato fisico, ci tiene a scrivere di persona una lunghissima lettera e, nonostante avesse ottenuto quello che desiderava, il tono è deluso:
Je suis très faible mais je vais tâcher de rassembler mes idées. […] Ce que René Blum vous a demandé de ma part n’est pas quelque chose de nouveau, c’est quelque chose que je vous ai déjà demandé il y a deux ans et demi. Vous m’avez dit alors que cela vous serait désagréable et j’y ai aussitôt renoncé et en ai formellement prévenu la «NRF». Mais vous me l’avez dit affectueusement.
È proprio sul tasto della gentilezza che Proust fa leva. Se utilizzando un tono infastidito Grasset pensa di poter suscitare rimorso nello scrittore, al contrario provoca in lui l’effetto opposto.
Ma ciò che infastidisce di più Proust è la critica sottile e l’insinuazione di egoismo e indifferenza nei confronti dei poveri francesi in guerra. Risponde a tal proposito:
Or cette même proposition d’être édité à la Nouvelle Revue Française que vous écartiez affectueusement en 1914, est maintenant selon vous […] le fait affligeant d’un égoïste, seul de tous les Français à penser à lui […], profitant de la Guerre pour faire grief à un malade de n’avoir pu […] publier son livre. Pour ce grief, cher Monsieur, il est purement imaginaire […]. Je vous assure que j’ai l’esprit plus large et plus élevé.
È proprio sull’argomento della guerra che Proust si aspettava più comprensione che giudizio. Infatti, continua: «Seulement je crois que la guerre a rendu certaines existences difficiles, au moins la mienne et que par la force des choses, elle a rompu bien des contrats plus graves que le nôtre (lequel n’existe pas)». Arrivando, infine, a esplicitare la risposta che si sarebbe aspettato da lui:
Je m’attendais à une réponse diamétralement opposée à celle si blessante que Blum m’a transmise, que je m’attendais à l’affectueuse réponse de 1914 avec cette différence que vous ajouteriez : “Mais naturellement, il y a la Guerre, et c’est trop compréhensible».
Per quanto riguarda le bozze, invece, afferma:
Je ne suis pas (sauf erreur) débiteur des épreuves du second volume pour cette raison : nous avions convenu de faire un livre de 700 et quelques pages. En route nous l’avons arrêté à la page 525. Les premières épreuves de 150 pages […] étaient déjà tirées. Or cela se trouvait payé d’avance, puisque j’avais payé pour le premier volume.
C’è da notare, però, che quando Proust inizia a pubblicare gli estratti sulla «NRF» chiede a Grasset di stampare bozze anche per queste porzioni di testo che, a suo dire, arrivano a 18 pagine.
Ma qui è Proust a sbagliare, forse perché i suoi ricordi sono annebbiati dal dolore per la morte di Agostinelli. Grasset, in realtà, aveva stampato le bozze per quasi tutto il secondo volume e, addirittura, anche la prima parte del volume successivo ma, quando queste bozze arrivano a Proust, quest’ultimo si trova in uno stato di disperazione tale che – come lui stesso ammette nelle lettere – non ha neppure il coraggio di vedere.
Verso la fine della lettera Proust prova a trovare un parallelo tra lui e Grasset:
Je comprends très bien que vous teniez à votre firme, vous avez bien raison ! Mais alors comprenez aussi que je tienne à mon œuvre. […] Je n’ai rien d’une étoile, mais enfin dans votre Firme, dans votre firmament, mon œuvre n’est qu’un grain de sable indiscernable. Pour moi, elle est tout». E conclude con un accenno leggermente compassionevole , sulla malattia e la morte: «Je ne sais si je vivrai assez pour la voir enfin parue […]. Vous savez bien qu’heureusement vous n’êtes pas malade comme moi et que les beaux jours qui depuis longtemps sont finis pour moi reviendront pour vous bientôt et longs et nombreux.
A questa lettera Grasset risponderà il 29 agosto, annunciando la sua decisione di rinunciare alla pubblicazione del secondo volume di A la recherche du temps perdu. Finalmente, Proust è libero di portare la sua opera in una casa editrice che ammira e che lo ammira davvero.
Gli ultimi quattro mesi del 1916 sanciscono l’entrata effettiva di Proust nell’officina della «NRF». Tra il 6 e il 13 settembre, Proust fa chiamare Gallimard e lo fa accompagnare a casa sua per stabilire, finalmente, un contratto ufficiale. In una lettera del 15 settembre, infatti, Proust conferma l’incontro avvenuto e scrive:
Dall’altra sera mi sento veramente suo amico; quella visita ha dato vita a quanto era già pronto in me di simpatia, di slanci; ha precisato i miei sentimenti. Ho avuto come la rivelazione di un apparentamento antico. Il fatto è che, rivedendola, mi è riapparso tutto un periodo della mia esistenza, al quale sono legati molti cari ricordi, ma ascoltandola mi sembrava fosse una voce familiare quella che udivo. Sento che adesso mi rivolgerò facilmente a lei (Proust, Gallimard, 1993, p. 36).
Questo sentimento d’amicizia nascente sembra essere ricambiato anche da Gallimard che il 20 settembre scrive a Gustave Tronche – amministratore commerciale della «NRF» dal 1912:
Spero comunque che sarà contento di sapere che ormai è tutto deciso, Marcel Proust ci darà i suoi romanzi e potremo riprendere il primo volume. La cosa è sistemata, tra lui e Grasset, e tra lui e me. Ho passato quasi una notte con lui l’altra sera. L’ho trovato esattamente qual è nella sua opera; la sua conversazione è come il suo stile, vivace, piena di risvolti, d’incidenza, affascinante, piena di tenerezza (Proust, Gallimard, 1993, p. 37).
Nella lettera successiva, datata il 6 settembre, Gaston arriva addirittura a sostituire il «Caro amico» con «Mio caro Marcel».
I restanti tre mesi del 1916 passano rapidi con un’immersione nei preparativi di stampa delle bozze del futuro romanzo. L’euforia dello scrittore, però, è messa a dura prova: la vista peggiora di giorno in giorno, l’asma lo costringe al letto più del normale, la guerra dura da ventinove mesi, e tutto sembra in stallo. Eppure, Proust utilizza questo tempo per scrivere La Prisonnière, La Fugitive (che verrà pubblicato con il titolo di Albertine disparue) e, in men che non si dica, le bozze del secondo volume possono andare in stampa.
E così, lavorando con una casa editrice come la «NRF», dove i suoi sforzi sono più seguiti e le sue richieste soddisfatte, lo stato di salute di Proust sembra trarne giovamento. Il 1916 si chiude tutto sommato in positivo e si chiude anche il viaggio, a tratti sfiancante ma divertente e sempre movimentato, dell’autore in cerca di una casa editrice. Il sollievo di essere arrivato a destinazione lascia finalmente al nostro scrittore un certo sentimento di fiducia per il futuro, ora che la sua opera figlia ha trovato un rifugio sicuro che la protegga.
Bibliografia:
- Marcel Proust, Correspondance, a cura di Philip Kolb, Plon, Parigivol.xv, (1987);
- Marcel Proust, Gaston Gallimard, Lettere 1912-1922, Mursia, 1993.
di Elisabetta Tommarelli
(fonte della fotografia di Marcel Proust)