La seduzione della morte
Amore e morte in Saramago
[…] Non scherzi con me, stiamo facendo il gioco del gatto e del topo, Quel famoso gioco in cui il gatto finisce sempre per acchiappare il topo, Tranne se il topo riesce ad appendere un sonaglio al collo del gatto, è una buona risposta, certo, ma non è che un futile sogno, una fantasia da cartone animato, anche se il gatto stesse dormendo, il rumore lo sveglierebbe, e allora addio topo, Sono forse io quel topo cui sta dicendo addio, Se stiamo al gioco, uno dei due dovrà esserlo per forza, e in lei non vedo né figura né astuzia da gatto […]
Relazionarsi con la morte non è mai stato semplice, nemmeno per il più credente degli umani. Dover accettare la finitudine dell’esistenza ha costituito da sempre uno dei più grandi dilemmi a livello filosofico-esistenziale e il tema ha rappresentato un punto cardine della riflessione etica e morale.
Ne Le intermittenze della morte Saramago delinea in maniera cristallina le gerarchie del suo pseudo-mondo, attraverso cui si viene a conoscenza del fatto che non esiste una Morte che tutto sa e che tutto governa, ma che, alla fin fine, il mondo che si occupa del trapasso degli esseri viventi è diviso in severe categorie, quasi fossero corporazioni. Viene instaurato un tacito parallelo infatti tra la società mortale, ampliamente descritta nella prima parte attraverso le reazioni allo “sciopero della morte” in base ai diversi lavori collegati al business della stessa (politica, case di riposo, agenzie di pompe funebri e chiesa cattolica), e le varie morti, ognuna adibita al controllo di una categoria vivente (esseri umani, piante, animali).
Ma flirtare con la morte? In effetti, il dialogo sopra citato (perché di dialogo si tratta, dato che si sta parlando di José Saramago) non è che uno straordinario esempio di come la morte (con la emme minuscola, come da indicazioni del romanzo) istituisca un processo seduttivo tra il sublime e l’inquietante nei confronti di un violoncellista, il quale sta scampando al suo destino da troppo tempo.
La morte-personaggio infatti ha il duro compito di far trapassare tutti gli esseri umani a miglior vita secondo le scadenze prestabilite dai suoi superiori (sì, i superiori della morte), attraverso delle letterine viola che invia otto giorni prima agli sfortunati cosicché si possano preparare adeguatamente al giorno decisivo. Tutto procederebbe secondo programmi se non fosse per una lettera che non arriva mai al destinatario e viene sempre rispedita indietro. La morte, dalla scrivania del suo ufficio, decide così di assumere sembianze umane e andare a scovare nel mondo dei vivi chi ha osato ribellarsi alla sua perfetta tempistica.
Un elemento peculiare del romanzo è il rapporto che questo instaura con il lettore nel momento in cui la morte si trasforma in un’ ammaliante trentaseienne e comincia a relazionarsi con una sfera di cui fino ad allora si era occupata, sì, ma in maniera indiretta, quella dei vivi. Tutto ciò si concretizza con dei dialoghi caratterizzati da una magistrale ironia e che viaggiano su un doppio livello interpretativo: quello elementare, che equivale a ciò che la frase significa in quanto tale, e quello metaforico, ciò a cui la frase rispedisce. Ecco un esempio ripreso dal dialogo intrattenuto dalla morte con un’innocente impiegata di biglietteria:
[…] Parlando francamente, trova che io abbia un aspetto che possa mettere paura, Macché, non era quello che volevo dire, Allora, faccia come me, sorrida e pensi a cose piacevoli, La stagione dei concerti durerà ancora un mese, Ecco una buona notizia, forse ci rivedremo la settimana prossima, Io sono sempre qui, ormai son divenuta quasi un arredo del teatro, Stia tranquilla, la troverei anche se non fosse qui, Allora l’aspetto, Non mancherò.
L’unica persona che paradossalmente riesce ad entrare in un vero e proprio gioco dialogico con la morte, che sfocerà poi nel seduttivo, è il violoncellista, che scopriva che tutte le parole che lei aveva pronunciato, per quanto pertinenti nel contesto, sembravano presupporre un doppio senso, qualcosa che non si lasciava captare, qualcosa di tantalizzante. Nonostante lui la ritenga infatti una “mentecatta”, ne viene totalmente rapito, vuoi per la cripticità gestuale o dialogica, vuoi perché vede, dopo tempo immemore, una donna interessarsi a lui. Saramago non si pronuncia mai riguardo a descrizioni fisiche della morte nel momento in cui questa si umanizza: il lettore, così come il violoncellista, viene sedotto da un’entità metafisica, che paradossalmente lo spinge ad un ragionamento sulla vita e la sua importanza.
Questo personaggio funge da rampa di lancio per proporre una visione totalmente diversa da quella stereotipata del decesso: grazie all’amore che il violoncellista sente ardere dentro, infonde all’interno della morte una visione nuova, alternativa alla pedanteria dell’immortalità. Viene riproposto l’eterno confronto tra Eros e Tànatos in cui però l’uno si accorpa e riesce a completarsi solo grazie all’altro; la vita in questo confronto risulta una componente imprescindibile, così come la morte, senza il/la quale non prenderebbe forma l’Eros . Un connubio tra opposti oltre che un inno implicito alla vita terrena, reso in maniera grandiosa dalle ultime righe del romanzo in cui la morte completa la sua metamorfosi bruciando la lettera viola e chiudendo la composizione ad anello del romanzo ( La morte tornò a letto, si abbracciò all’uomo e, senza ben capire quel che le stava succedendo, lei, che non dormiva mai, sentì che il sonno le faceva calare dolcemente le palpebre. Il giorno dopo non morì nessuno).
Per chiarire il concetto, basta ricordare una battuta del dialogo L’isola di Pavese, tratta da Dialoghi con Leucò :
CALIPSO Immortale è chi accetta l’istante. Chi non conosce più un domani. Ma se ti piace la parola, dilla. Tu sei davvero a questo punto?
ODISSEO Io credevo immortale chi non teme la morte.
E se l’atto della morte altro non fosse che il momento in cui i nostri sensi cedono inevitabilmente ad una seduzione più forte di noi? Impronosticabile quanto questo flirt possa procrastinarsi nel tempo. Potrebbe quindi darsi che la vita sia solo un lungo ma finito corteggiare il tempo?
Tutto sta nell’appendere un sonaglio al collo di un gatto.
Articolo a cura di Lorenzo Ciarrocchi