La stanza tutta per sé non è una stanza fisica: “Donne in viaggio” di Lucie Azema
Tutte queste viaggiatrici hanno creduto e credono nella possibilità di un altrove, tutte tendono a una libertà intransigente, e tutte rifiutano di essere destinate ai doveri legati al loro genere. Hanno dovuto rompere non solo le catene che avevano attorno, ma anche quelle che avevano dentro. Così facendo, hanno provato non solo a essere libere di viaggiare, ma anche libere per viaggiare.
Diversamente dal solito, vorrei iniziare questa recensione con una breve nota personale. Nel mio piccolo ho avuto – e ho ancora, in parte – il privilegio di viaggiare. Non solo per trascorrere le vacanze, ma anche per motivi di studio e lavoro. Non sono un’esploratrice (anche se mi piacerebbe), ma una persona cresciuta in un contesto sociale che riesce finalmente a riconoscere il valore formativo e ludico del viaggio, anche per le donne. Nessuno ha mai scoraggiato i miei viaggi soltanto perché – come si sarebbe detto fino a poco tempo fa – non sta bene che una ragazza se ne vada in giro da sola, a partire da quando a diciannove anni me ne sono andata via per due settimane per la prima volta. Non ho mai, e sottolineo mai, avuto paura del mio essere una donna giovane, sola e lontana da casa. Però a volte ho sentito il peso del mio essere una femmina in una dimensione pensata per i maschi. Sì, anche nel contesto attuale. L’ho sentito ogni volta che ho titubato prima di accettare una serata con la gente che incontravo in ostello, ogni volta che me ne andavo via per un fine settimana di viaggio quando abitavo in Cina, e dovevo spiegare a mia madre, dall’altra parte del mondo, che poteva stare tranquilla perché nessuno mi avrebbe torto un capello. Ogni volta che ho preso un aereo o un treno con le mestruazioni senza essere riuscita a cambiarmi prima perché la coda ai bagni era troppo lunga. Ogni volta che un uomo ha iniziato a chiedermi chi sei, da dove vieni, perché sei da sola, ti va di bere qualcosa, ma i tuoi non si preoccupano, ma che ragazza coraggiosa. Lo sento (tanto) ogni volta che devo sopportare il mansplaining su come sia la Cina. Sai, ci sono stato in trasferta di lavoro per dieci giorni, io so com’è laggiù. Lo sento quando penso che uno stile di vita del genere per un padre è, se non proprio normale, almeno accettabile e perfino affascinante: un uomo avventuroso, sempre in giro, che torna carico di regali e gioca con i figli fino alla prossima spedizione. Per una madre, invece, sarebbe un’onta: il segno di una madre egoista, cattiva, snaturata (parola che mi fa molta tenerezza, a dire il vero). Ma apriamo il libro.
Donne in viaggio, storie e itinerari di emancipazione è un libro della giornalista francese Lucie Azema, tradotto da Nunzia de Palma e pubblicato da Edizioni Tlon, in libreria dal 29 giugno. Devo ammettere che, quando ho ricevuto il comunicato stampa relativo all’uscita di questo libro, non l’ho letto troppo approfonditamente. Ho appreso che si parlava di viaggi e di femminismo, e questo mi è bastato per decidere di procedere con la richiesta di una copia. Quando il pacchetto è arrivato a casa, ho capito dalla quarta di copertina che il mio istinto aveva fatto centro:
A tutte le viaggiatrici, esploratrici. Scopritrici, che non si farebbero così tante domande se fossero uomini. Questo libro è stato scritto per non portarselo mai dietro dopo averlo letto.
Non so per quale motivo, ma mi aspettavo una galleria di storie di viaggiatrici e avventuriere. Scorrendo l’indice, mi sono resa conto che non era così; la trattazione non è tanto di natura aneddotica o biografica, ma più che altro saggistica. Azema analizza lucidamente e senza fronzoli il tema del viaggio da una prospettiva femminista, affrontando diversi aspetti, tra cui lo stereotipo del viaggiatore, il turismo sessuale, il razzismo, le limitazioni imposte dall’abbigliamento, la maternità. Quello che fa Azema è mostrarci, attraverso una pluralità di episodi e riflessioni, che la dimensione del viaggio (e, di conseguenza, le sue narrazioni letterarie e artistiche) è stata storicamente pensata e fruita dall’uomo bianco e per l’uomo bianco.
Una simile disamina non può che partire dalla sfumatura sociale e politica del viaggio: pensiamo alle tratte percorse dai mercanti di schiavi e i loro prigionieri, o alla colonizzazione. Esperienze segnate dall’egemonia, dalla preponderanza di un tipo umano sugli altri. Tra questi altri possiamo annoverare appunto le persone non-bianche, ma anche le donne. Per esempio, Azema accenna a un argomento di straordinaria complessità, caro agli studiosi che si sono occupati del cosiddetto orientalismo (Said in primis): la femminilizzazione (e talvolta la sessualizzazione) del territorio conquistato, in particolare dell’Oriente. La terra straniera è un corpo di donna da ammansire, dominare, sottomettere. Erano queste le metafore evocate da grandi uomini come Flaubert e Gauguin, figli del loro tempo. Forse oggi storceremmo il naso di fronte a questi paragoni, ma le dinamiche di egemonia restano saldamente alla base della letteratura di avventura.
Tali riflessioni potrebbero aprire un vaso di Pandora; il libro di Azema non scava fino in fondo ai temi trattati, ma offre una panoramica iniziale sul problema del rapporto tra donne e viaggio. Fa dialogare e interseca fonti di rilievo, tra cui non possono mancare Virginia Woolf e Simone de Beauvoir. Spero, sinceramente, che a partire da questo volume si possa sviluppare un dibattito più ampio e una ricca letteratura sul tema. Lo spero pur sapendo che un’analisi del genere rischia di essere accusata di manicheismo, sotto le gigantesche bandiere del politically correct e della cancel coulture. Mi diverte pensare che un qualche uomo bianco di mezza età avrà scrollato questo libro dando ad Azema della femminista isterica; mi diverte molto di più pensare a come continuerebbe a negare che il viaggio sia una sfera di egemonia patriarcale, per poi scoraggiare sua figlia dall’andare in viaggio da sola, perché dopotutto come donna devi stare più attenta.
Azema, da abile narratrice e viaggiatrice navigata, arricchisce il testo con le proprie esperienze. Di quando in quando, soprattutto nella seconda parte, si concede pagine più letterarie e di grande bellezza. Il che rende questo libro non solo formativo e illuminante, ma anche molto godibile. Non mancano gli elementi biografici; da figure note, come Karen Blixen e Nellie Bly, ad altre che difficilmente avrete sentito nominare, come Ada Blackjack e Sarah Maquis. Tante donne di diversa provenienza spazio-temporale, unite da un destino di esplorazione e, in varia misura, ribellione. Le loro esperienze, insieme alle ricerche sociologiche citate, tracciano una bella panoramica di come il viaggio sia un territorio di emancipazione, sicuramente più difilato rispetto ad ambiti più dibattuti (i diritti civili e riproduttivi delle donne, il suffragio universale, la rivoluzione sessuale…), ma pur sempre fondativo di quel profondo desiderio di libertà e autodeterminazione che è stato il motore di tutti i miglioramenti nella storia della condizione femminile.
Il viaggio e la sua solitudine fanno sì che le donne si riapproprino non solo del fuori, ma anche del dentro, perché esso genera un andirivieni dall’uno verso l’altro, e lega questi due spazi fino a confonderli e formarne uno solo: il territorio intimo della viaggiatrice.