L’arcana morte di Alessandro
Forse, proprio in quel momento, dopo la sua più grande vittoria, prima dei tradimenti iniziali, degli intrighi di corte, dei malumori dei suoi generali, della perdita dei suoi amici e compagni più stretti, Alessandro credette realmente che il suo sogno, la sua visione di un impero che si estendesse dalla Macedonia ai confini dell’estremo Oriente, potesse essere realizzabile. Fu soltanto una chimera: non sapremo mai fino a che punto Alessandro avesse creduto alla fattibilità di tale impresa. Sappiamo soltanto che, fino all’ultimo, cercò con ogni forza e mezzo di realizzare l’impossibile.
Prima di raccontare le circostanze che lo portarono alla morte e le varie teorie che nei secoli hanno cercato di riportare alla luce le probabili cause del suo decesso, bisognerebbe spiegare chi o cosa rappresentò Alessandro per il mondo ellenico (e non solo).
Innanzitutto, fu un audace guerriero e un prode comandante che combatteva sempre in prima linea al fianco dei propri uomini. Caratteristica non da poco che non va sminuita: anche condottieri e conquistatori del calibro di Giulio Cesare e Napoleone, che fortemente cercarono di imitarne le gesta e la grandezza, non combatterono mai nelle prime linee dei propri eserciti. Al contrario il fatto che Alessandro condividesse ogni tipo di ferita inflitta da frecce, lance, spade o mazze, gli consentì di ottenere una stima e una fiducia senza precedenti da parte del proprio esercito.
Oltre che impavido, Alessandro sapeva essere un grande motivatore. In qualche modo, riusciva sempre a spronare le sue truppe a dare di più, a non accontentarsi delle vittorie ottenute. Comunque sia, riusciva sempre a convincerle, anche quando, verso la fine delle sue conquiste, più di una volta, proprio il suo esercito fu sul punto di ammutinarsi. Alessandro sapeva sempre come toccare le giuste corde, ma soprattutto, conoscendo il carattere dei suoi soldati, sapeva come e quando lusingarli, ricompensarli, e concedere loro un periodo di riposo, una tregua.
Prescindendo dalle sue indiscutibili doti di leader, il genio bellico e l’audacia, il suo maggior pregio (ma al contempo difetto) fu nutrire un’inestinguibile ambizione. Qualsiasi altro uomo con un curriculum di vittorie del calibro di Granico, Isso, Tiro, Gaugamela, avrebbe deciso di vivere di rendita per il resto dei suoi giorni.
Per Alessandro va però fatto un discorso diverso, anche se quando pensiamo alla sua figura non ci verrebbe mai in mente di catalogarlo tra i più grandi statisti dell’antichità. Questo giudizio è fondato principalmente sulla rapida disgregazione del suo impero poco tempo dopo la sua morte. Saper conquistare e saper governare sono due cose ben diverse. Che Alessandro avesse in mente di impadronirsi di tutto il mondo conosciuto dai Greci, non è un segreto. Prima che si spegnesse, desiderava conquistare l’Arabia, e poi volgere il suo sguardo a Occidente per impossessarsi del litorale mediterraneo fino allo Stretto di Gibilterra. E forse, solo allora, si sarebbe seduto sul suo trono e avrebbe provato a governare quel vasto, vastissimo impero, che aveva conquistato in un lampo.
Ma come trascorse il suo ultimo periodo di vita? Un uomo che possedeva tutto, che aveva visto e conquistato tutto, senza mai essere sconfitto, si sarebbe potuto ritenere soddisfatto. Alessandro invece passò gli ultimi mesi della sua vita a guardarsi le spalle. Il suo soggiorno a Babilonia fu “forzato”: dopo la campagna in India, l’esercito di Alessandro era stanco. Stanco di rischiare la vita così lontano da casa (le truppe macedoni venivano da dodici anni di guerra), stanco di vedere come il suo Re stesse promuovendo nelle proprie gerarchie le reclute persiane. Quei “barbari” andavano inesorabilmente a integrare le fila dell’esercito, che ben presto di macedone avrebbe avuto solo il nome. Alessandro cominciò a divenire sempre più paranoico, dubitando non solo della fedeltà delle proprie truppe, ma anche di quella dei suoi generali. Probabilmente i vari Tolomeo, Perdicca, Cratero, Antigono, per non parlare di altri, cominciavano a coltivare il proprio sogno di grandezza: diventare a loro volta Re. Forse l’intraprendenza e la brama di gloria di Alessandro li aveva contagiati, o forse anch’essi temevano di essere “licenziati” dal loro Re.
Bisogna aggiungere che ormai, allora, Alessandro era un lontano parente del condottiero accolto in maniera trionfale a Babilonia nel decennio precedente.
La perdita del suo compagno di innumerevoli battaglie, il cavallo Bucefalo, e quella del suo miglior amico, Efestione (morto in circostanze sospette), infatti, lo avevano profondamente scosso. Furono probabilmente queste due gravi perdite a spingere Alessandro ad abbandonarsi ai piaceri di Babilonia. Per tutta la sua vita, cercò di resistere ai piaceri della carne (nonostante le innumerevoli mogli), e a rapporti “altri”, come si vociferava. Alessandro seppe mantenere un grande autocontrollo su sé stesso. Tutto ciò mutò una volta rientrato a Babilonia. Nel 323 a.C., la situazione era in stand-by: Alessandro decise di darsi alla pazza gioia. Era noto che già all’epoca si organizzassero banchetti in cui si beveva e gozzovigliava fino allo sfinimento. Ecco, una delle cause della sua morte da non escludere, è l’intento di autodistruzione messo in atto da Alessandro, bevendo senza ritegno. Tra i greci, era usanza aggiungere parecchia acqua al proprio vino: solo i barbari lo bevevano senza allungarlo. Stando allo storico Erodoto, la pratica di bersi un vino schietto poteva portare alla pazzia. Sia stato proprio questo il grande errore di Alessandro? Bere senza darsi un limite? Forse. Sta di fatto che per giorni e giorni fu invitato a una serie di banchetti, senza mai riposarsi, Alessandro vi partecipò a qualsiasi ora: mattina e sera. Ed è qui che volevamo arrivare. Due degli storici che ci raccontano la vita di Alessandro, Diodoro e Arriano, ci raccontano nei particolari il susseguirsi degli ultimi giorni del Re macedone.
Secondo loro, l’inizio della fine sarebbe avvenuto quando, durante l’ennesima festa, Alessandro avrebbe deciso di bersi il contenuto di una grandissima coppa di vino, tutto d’un fiato. Poco dopo essersi scolato la bevanda, avrebbe accusato una fitta lancinante al fianco, sancendo così il processo della sua morte. Da qui, in particolar modo Arriano, ci spiega come nell’arco di dieci giorni la sua condizione si fosse aggravata sempre di più. Arriano ci racconta come, nonostante le sue condizioni andassero sempre più deteriorandosi, Alessandro fosse ancora in grado di partecipare alle riunioni con i suoi ufficiali per le spedizioni successive. Certo, la sua mobilità era limitata, tant’è che girava in lettiga; tuttavia, riusciva a mantenere un contatto con la realtà. Il problema vero e proprio fu la febbre altissima, che aumentava giorno dopo giorno. A nulla servirono i frequenti bagni che faceva per abbassare la temperatura (pratica molto diffusa nell’antichità). Il clima esterno, poi, non era certo d’aiuto. Babilonia, che si trovava a 80 km di distanza dell’odierna Baghdad, registrava temperature che facilmente superavano i 40° all’ombra. Al settimo giorno, la situazione precipitò: Alessandro riusciva a stento a muoversi e a parlare. Come accade tuttora quando la medicina fallisce, alcuni si affidano a un improbabile miracolo, a un intervento divino. Ma a ben poco servirono gli innumerevoli sacrifici offerti nei templi in suo onore. Passò gli ultimi due giorni allettato, impossibilitato a parlare e a muoversi. Gli fecero visita i suoi ufficiali, i suoi soldati, molti tra loro con le lacrime agli occhi, consci che ormai la fine era prossima. La notte tra il dieci e l’undici giugno, Alessandro morì.
Ed è qui che il parere degli storici, ricercatori, studiosi e medici si divide. Esistono varie teorie, alcune assai possibili, altre assolutamente improbabili. Veniamo alla prima ipotesi: Alessandro fu avvelenato. Ipotesi non da escludere, anche se paradossalmente viene considerata la più improbabile. Alessandro era sfuggito a ben due congiure, due attentati alla sua vita. Già in passato avevano tentato di avvelenarlo. Si presuppone che avesse adottato una qualche contromisura per evitare il ripetersi di simili eventi. Inoltre, considerando il livello di paranoia di Alessandro, soprattutto durante l’ultimo periodo, era assai improbabile coglierlo alla sprovvista. Senza contare che la maggior parte dei veleni dell’epoca aveva un effetto immediato.
La seconda ipotesi ci dice che Alessandro avesse contratto una forma di malaria perniciosa mentre si muoveva tra le paludi dell’Asia durante le sue campagne. Ma se così fosse, come mai nessuno dei suoi compagni ne fu affetto? E, nel caso, come mai la malattia impiegò anni per ucciderlo? Forse questa ipotesi si appoggia soprattutto sulla febbre altissima di Alessandro e sul fatto che di sicuro la malaria già circolava. Una terza ipotesi, formulata dal dottor J. S. Marr del Department of Health di Richmond, Virginia (USA), cita Plutarco, raccontando un’epidemia che circolava durante le campagne di Alessandro, una malaria veicolata dagli uccelli, cioè un virus aviario – inizialmente trasmesso dalle zanzare –, in grado di causare nell’uomo una febbre altissima, responsabile prima della perdita della vista e della parola, poi di uno stato di coma precedente alla morte finale. Questa teoria è assai più convincente delle altre, ma non del tutto: anche qui, come mai non ci sono altri casi riportati? Possibile che Alessandro sia stato l’unico contaminato da questo virus?
Recentemente è emersa una nuova teoria che forse si avvicina di più a quella che fu la probabile causa del decesso del condottiero macedone. L’ipotesi più plausibile, stando a C. N. Sbarounis dell’Hippokration Hospital di Salonicco, è quella di una pancreatite acuta. Se rileggiamo i testi precedentemente ricordati, sappiamo che Alessandro ha sentito una fitta dolorosa dopo aver bevuto tutto quel vino schietto nella “coppa di Eracle”. Un sintomo analogo è riscontrato e descritto in pazienti affetti da pancreatite acuta. Stando all’analisi di Sbarounis:
Già stimolato all’eccesso nell’attività enzimatica a quel punto il pancreas si liquefa e il succo pancreatico anziché riversarsi nel duodeno si spande nella cavità peritoneale e la aggredisce. Ecco il dolore lancinante come un ferro di lancia che penetra nella carne. La percezione del dolore alla schiena è spiegabile con il fatto che il pancreas ha collocazione retroperitoneale e quindi il dolore viene percepito più verso la schiena che verso la parete anteriore dell’addome. La conseguenza quasi immediata è quella di una peritonite acuta, ma poi, con il passare dei giorni, gli enzimi del pancreas attaccano anche l’intestino perforandolo, sicché il suo contenuto si versa nella cavità addominale provocando una infezione devastante da cui la febbre altissima che non gli dà mai tregua. Alla fine la perdita della parola, il coma e la morte.
Non potremo mai esserne certi, ma di tutte le varie ipotesi, questa è di gran lunga quella più credibile, soprattutto se decidiamo di affidarci alle fonti storiche e al dettagliato resoconto dell’aggravarsi della sua condizione prima della fine. Per citare uno studioso inglese, W. W. Tarn, che ha espresso il suo parere sull’evento: «Alla fine morì di una malattia che avrebbe potuto risparmiarlo se lui avesse saputo mai risparmiare se stesso».
In conclusione, morire al culmine della gloria, ha di fatto creato il mito, tramandato una leggenda. La sua immagine di invincibilità non ha subito quei ridimensionamenti che sarebbero seguiti a eventuali successivi fallimenti. Come dice lo storico Arriano, «Forse fu per lui la miglior fortuna morire in pieno apogeo della sua fama e con la stima generale di tutti i suoi uomini, prima che su di lui cadesse qualche disgrazia umana».
Alessandro che nella sua vita cercò, come meglio poté, di emulare le gesta del suo antenato Achille, l’eroe omerico per antonomasia, preferì anch’egli una vita breve ma ricca di fama e di gloria eterna a una lunga vita oscura e anonima.
Fonti:
AA.VV., Alessandro il Conquistatore, RBA Italia, Milano 2018.
MANFREDI, Valerio Massimo, La tomba di Alessandro. L’enigma, Mondadori, Milano 2009 (poi Oscar Mondadori, 2017).
Flavio Arriano, Anabasi di Alessandro, BUR, Milano 1994.