“Le inseparabili” di Simone de Beauvoir
esegesi di un manoscritto ritrovato
Un’opera fagocitata dal tempo, smarrita tra le mille scartoffie dell’autrice, a lungo considerata minore rispetto alla grande mole di saggi, epistolari e biografie dedicate alla monumentale figura di Beauvoir che si sono moltiplicate a ritmo frenetico negli oltre trent’anni successivi alla morte dell’intellettuale francese, accrescendone la fama nella contemporaneità. Tutto di lei era stato pubblicato, persino le lettere d’amore più segrete; eppure non era ancora tutto.
Simone de Beauvoir un’icona lo era già stata in vita – quell’esistenza che lei stessa aveva scrupolosamente documentato nei quattro poderosi volumi della sua autobiografia –, post-mortem la sua immagine è stata pervasa da un’aura mitica e ha così assunto un potere quasi taumaturgico, tanto che sono incalcolabili i momenti in cui il suo nome viene tuttora citato durante manifestazioni, convegni, talk-show televisivi, e persino sui social network.
Ed ecco che, nei ruggenti anni venti del ventunesimo secolo, viene ad aggiungersi un ultimo tassello alla già mastodontica produzione letteraria di De Beauvoir scrittrice: si tratta di un libretto di neanche duecento pagine pubblicato in contemporanea in Italia e Francia con il titolo Les inséparables, Le inseparabili.
A ottobre 2020, dopo tanto clamore mediatico, è finalmente apparso nelle librerie il manoscritto postumo di Beauvoir, corredato da documenti iconografici e dalla corrispondenza privata dell’autrice. Senza dubbio un prodigioso affaire editoriale, frutto di un accordo siglato tra la francese Éditions de L’Herne e Ponte alle Grazie. La stampa di settore subito festeggia «la novella ritrovata», «l’inedito di Simone de Beauvoir», addirittura «il libro di Beauvoir bocciato da Sartre», sfidando così l’aperto scetticismo dei fedeli lettori dell’intellettuale francese che a questa favola del “manoscritto ritrovato” forse credono poco. I dubbi li scioglie la curatrice, Sylvie Le Bon, erede testamentaria e figlia adottiva di Beauvoir, che giustifica la pubblicazione tardiva affermando che «altri testi saggistici e necessità più importanti hanno avuto la precedenza».
A tal proposito merita un accenno il singolare legame tra Beauvoir e la figlia adottiva che, curiosamente, sembra anticipare contenuti e tematiche dell’opera inedita. Simone de Beauvoir parla infatti di Sylvie Le Bon nel libro a lei dedicato, A conti fatti, ultimo volume della propria autobiografia letteraria.
«Una di queste amicizie ha preso un gran posto nella mia vita» (A conti fatti, Einaudi 2008, p. 58), scrive Beauvoir introducendo così le pagine dedicate a Sylvie Le Bon: narra l’incontro con questa studentessa timida («mi guardava in tralice, rispondeva alle mie domande con voce strozzata») che lentamente diventa una presenza insostituibile «Sylvie, nonostante la sua giovinezza, seppe essermi di grande conforto. La vedevo più spesso, le nostre conversazioni erano divenute più lunghe e più libere» (pp. 58-59). Mentre Beauvoir racconta chiacchiere, incontri e gite fuori porta, la figura di Sylvie si delinea con più chiarezza e si rivela essere molto diversa dalla ragazzina timida e docile che appare all’inizio: è soggetta a pianti di rabbia, a crisi, nasconde un passato turbolento dovuto in parte ai rapporti difficili con i genitori.
È proprio Sylvie, durante una di queste crisi, a confessare a Simone un episodio segreto legato alla sua adolescenza: l’amicizia appassionata con Danièle, sua compagna di scuola, fortemente osteggiata dai genitori che la allontanarono violentemente dall’amica giudicando la relazione troppo morbosa. La ragazza reagisce gettandosi a capofitto nello studio e sfogando la propria frustrazione nell’impegno scolastico che la ripaga con numerosi premi di eccellenza. A questo punto del racconto Simone de Beauvoir interviene affermando:
Più conoscevo Sylvie e più sentivo delle affinità con lei. […] Mi assomigliava su molti punti: con trentatré anni di differenza ritrovavo in lei le mie qualità e i miei difetti. […] Tra noi v’è una tale reciprocità ch’io perdo la nozione della mia età (pp. 63-64).
La rilettura di queste pagine tratte da A conti fatti (1972) si rivela fondamentale alla luce della comparsa del sorprendente libro postumo di Beauvoir in cui la protagonista curiosamente si chiama proprio Sylvie e rappresenta un alter ego di Simone bambina.
Il manoscritto ritrovato, Le inseparabili (1954), narra gli stessi avvenimenti che l’autrice francese ripercorre nel primo volume della sua autobiografia, Memorie di una ragazza perbene (1958), focalizzandosi però interamente sulla vicenda di Zaza, l’amatissima amica di Beauvoir prematuramente scomparsa, che nel romanzo adotta il nome fittizio di Andrée.
A una lettura più attenta e consapevole la storia di Sylvie/Andrée replica perfettamente il binomio Sylvie/Danièle. Pubblicando questo manoscritto a oltre trent’anni dalla morte della propria beniamina-protettrice è possibile che Sylvie Le Bon abbia voluto, in qualche modo, far rivivere anche la propria storia?
Non conosciamo con precisione il tempo esatto che Beauvoir impiegò per la scrittura di uno dei suoi capolavori, Mémoire d’une jeune fille rangée (1958), opera in ogni caso successiva rispetto alla datazione della prima pagina autografa di Les Inséparables (1954). La storia di Zaza nel primo capitolo dell’autobiografia dell’autrice francese occupa uno spazio considerevole, ma non dominante: la vicenda di Elisabeth Mabille passa in secondo piano rispetto alla preponderante formazione intellettuale di Beauvoir; tuttavia ciascuna delle quattro sezioni in cui è suddiviso il romanzo termina con un riferimento all’amica perduta. Nel “manoscritto ritrovato” è invece Zaza stessa a essere posta al centro della vicenda narrata. È dunque ipotizzabile che il testo di Les Inséparables rappresenti una bozza preparatoria, forse una parte non emendata, del celeberrimo Mémoire d’une jeune fille rangée.
Non è insolito che uno scrittore elabori più stesure durante la composizione di un romanzo, a tal proposito si possono citare casi celebri, quali Marcel Proust o Franz Kafka, che hanno dato credito a una lunga storia filologica. È dunque plausibile che l’incipit della novella Les Inséparables in realtà non costituisca altro che una bozza preliminare di Beauvoir, in seguito ritrovata e accomodata da Sylvie Le Bon.
Del resto, le somiglianze tra le parti iniziali del manoscritto e Memorie di una ragazza perbene appaiono evidenti: il primo incontro con Andrée/Zaza è narrato con le medesime espressioni in entrambi i romanzi, e allo stesso modo ritornano frasi, circostanze, descrizioni.
Il giorno in cui entrai in quarta-prima – ero ormai sui dieci anni – il posto accanto al mio era occupato da una bambina nuova: una brunetta dai capelli corti. Aspettando la signorina, e alla fine della lezione, parlammo. Si chiamava Elisabeth Mabille e aveva la mia età (Memorie di una ragazza perbene, Einaudi 2014 pp. 92-93).
Leggendo in parallelo le due versioni della storia e ponendole a confronto si può osservare che, mentre in Memorie di una ragazza perbene la narrazione si concentra esclusivamente su Simone – voce narrante e protagonista indiscussa – sul suo percorso di crescita e formazione fino all’incontro storico con Jean-Paul Sartre, nel manoscritto ritrovato la storia si focalizza sulla figura di Andrée/Zaza vista attraverso gli occhi di Sylvie.
Il focus della vicenda è sbilanciato con una curiosa inflessione verso l’altro e una peculiare attenzione ai pensieri altrui, che di certo non è comune nei romanzi di Beauvoir. La differenza sostanziale, poi, è data dalla parte centrale del romanzo in cui Sylvie confessa, inaspettatamente, i propri sentimenti all’amica:
Lei non lo ha mai saputo: ma dal giorno in cui l’ho incontrata, è stata tutto per me.
La rivelazione non ha conseguenze sulla trama, visto che Andrée è infatuata di Bernard, tuttavia appare sospetta ai lettori fedeli della De Beauvoir, non certo un’autrice incline a simili coup de théâtre. Nelle pagine di Memorie di una ragazza perbene il sentimento di Simone nei confronti di Zaza non è mai espresso a parole, ma solo velatamente accennato attraverso i pensieri della voce narrante:
Lei andava e veniva, lontana da me, e tutta la felicità, la mia stessa esistenza erano nelle sue mani (Memorie di una ragazza perbene, p. 97).
Le tematiche di Le inseparabili, per il resto, rispecchiano i tòpoi cari all’autrice francese: i dubbi sull’esistenza di Dio, la denuncia di una società borghese ipocrita e bigotta, la necessità di una nuova presa di coscienza sociale e dell’autonomia femminile al di fuori del matrimonio. La parabola di Andrée/Zaza, proprio come in Memorie di una ragazza perbene, anche nel racconto si chiude tragicamente: pagina dopo pagina il lettore assiste al lento deperimento della giovane, al suo sfiorire, fino all’inevitabile.
Di certo la scomparsa di Élisabeth Lacoin, detta Zaza, ebbe un ruolo fondamentale nella formazione di Simone de Beauvoir: in seguito nell’autrice si consolidò la convinzione che a uccidere prematuramente Zaza non fosse stata l’encefalite – come da referto medico – ma l’obbedienza cieca alle logiche familiari e la rinuncia totale ai propri sentimenti. Oppressa dalla sua purezza, proprio come dalle rose bianche poste a sigillo della bara che, nella conclusione del racconto, ribadiscono l’idea che la giovane sia morta «soffocata da quel biancore». Andrée è schiacciata dalle aspettative e dalle imposizioni della famiglia che da lei si aspetta un buon matrimonio e una vita agiata nel ruolo prefigurato di moglie e madre amorevole; il suo destino rappresenta in questo senso un monito per Sylvie che invece decide di intraprendere una strada diversa, indipendente e intellettuale. Il che, tra l’altro, ribadisce una curiosa somiglianza con la vicenda di Sylvie Le Bon e l’amica Danièle: la prima si rifugia negli studi per sfuggire a una famiglia autoritaria, mentre la seconda cede alle pressioni e si adegua al ruolo imposto dalla società.
Ci chiamavano le due inseparabili, e lei mi preferiva a tutte le nostre compagne»: così Simone de Beauvoir racconta il principio del legame tra Sylvie e Andrée, richiamando il termine utilizzato nelle lettere all’amica da lei siglate sempre con la dicitura «la sua inseparabile, Simone.
La stessa definizione è ripresa anche nel romanzo Memorie di una ragazza perbene in cui, nel descrivere la nascita della profonda amicizia con Zaza, l’autrice ribadisce quanto fosse ben vista da genitori e insegnanti: «Ormai ci chiamavano le due inseparabili».
L’edizione italiana Le inseparabili pubblicata da Ponte alle Grazie è ben curata e impreziosita da un ricco corredo di documenti e immagini storiche: a sigillo del racconto ritroviamo le fotografie inedite di Simone e Zaza bambine e poi adolescenti, che sorridono in bianco e nero da un tempo ormai remoto. Infine il denso scambio epistolare tra le due amiche, e una stampa della prima pagina del manoscritto Les Inséparables risalente al 1954, quindi a ben quattro anni prima della pubblicazione di Memorie di una ragazza perbene.
Numerosi appunti preparatori mostrano quante volte la scrittrice avesse tentato invano di narrare la storia dell’amica e la sua tragica scomparsa avvenuta il 25 novembre 1929, un mese prima del compimento del ventiduesimo anno d’età. Il fantasma di Élisabeth ritorna in alcuni racconti di gioventù dell’autrice e persino in un passaggio, in seguito soppresso, del romanzo I Mandarini, vincitore del premio Goncourt nel ’54.
Tuttavia l’omaggio più vero e commosso alla memoria di Zaza Simone de Beauvoir l’ha composto attraverso le pagine intramontabili di Memorie di una ragazza perbene, sua autentica consacrazione letteraria, che in quel finale maestoso ribadiscono tutta l’urgenza capace di muovere la scrittura:
Insieme avevamo lottato contro il destino melmoso che ci aspettava al varco, e per molto tempo ho pensato che avevo pagato la mia libertà con la sua morte (Memorie di una ragazza perbene, p. 368).
La morte prematura di Élisabeth Lacoin ossessionò l’autrice per tutta la vita, ed è più che legittimo pensare che l’intellettuale francese trovò nella parola scritta una forma di risarcimento, una specie di sortilegio in grado di lenire il dolore della perdita. La narrativa di De Beauvoir, le sue rivendicazioni, le lotte a favore dell’autonomia femminile dal proprio destino biologico che cosa sono, in fondo, se non un tentativo inesausto di resuscitare Zaza? In ogni rivendicazione femminista di Beauvoir, in ogni dissertazione filosofica contenuta nelle pagine di Il secondo sesso (1949) possiamo ritrovare un riflesso della pallida figura di Zaza che indomita «lottava per la sua felicità» e ancora chiede giustizia.
Élisabeth, la sua inseparabile, che Simone de Beauvoir restituisce alla vita terrena attraverso l’unica religione da lei professata: la parola scritta.
Dovrei dedicarle questa storia: ma so che lei non è più da nessuna parte e questo nostro dialogo è solo un artificio letterario (Le inseparabili, 2020).