Le interpretazioni di un titolo
Francesco Orlando su "Mimesis" di Erich Auerbach
Con questo brevissimo articolo vorrei raccontare, attraverso una sua intervista, che cosa ha pensato Francesco Orlando di Erich Auerbach e della sua opera più importante: Mimesis (1946).
Questo libro fu scritto senza la tranquillità necessaria, in un clima duro*, durante il suo esilio turco, nonostante l’assenza di una grande biblioteca da poter consultare (per citare i testi, Auerbach spessò ricorse alla memoria): nel 1936, dopo i provvedimenti antisemiti del regime hitleriano, dovette infatti trasferirsi da Marburgo a Istanbul. Il suo capolavoro ha come sottotitolo Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur, ovvero La realtà rappresentata nella letteratura occidentale, e non impropriamente, com’è stato tradotto, Il realismo nella letteratura occidentale – accadrà qualcosa di analogo, quasi trent’anni dopo, con Todorov: Introduction à la littérature fantastique (1970) sarà semplicemente La letteratura fantastica (1977).
Il realismo del sottotitolo italiano è già un’interpretazione e il lettore occidentale potrebbe giustapporvi tutti i significati che a questo ismo si sono susseguiti soprattutto dall’Ottocento in poi. Auerbach tuttavia non si riferiva solamente al naturalismo, al verismo, ai vari effetti di realtà e alle strategie narrative caratteristiche di un determinato modo di approcciarsi al reale. La parola mimesis andrà quindi intesa nel senso di “rappresentazione letteraria” o “imitazione”. Auerbach studia infatti testi che vanno da Omero a Virginia Woolf e Proust e incomincia quasi sempre la sua analisi riportando una più o meno estesa citazione per poi commentarla. È abbastanza frequente che un critico letterario si serva di un brano isolato per trarre conclusioni ascrivibili a tutta l’opera.
Più che sulla forma di un testo, sempre sensibile alla dimensione storica, Auerbach si concentra soprattutto su come la forma accoglie i contenuti, ovvero sulla “modalità di rappresentazione degli elementi di realtà che costituiscono i referenti del testo letterario”.
L’intervista che in un certo senso parafraserò risale al 26 giugno del 2009 ed è a cura di Alessandra Diazzi e Federico Pianzola. La trascrizione dell’intervista (su Enthymema, rivista dell’Università di Milano) e il video (consigliato, se non si vuole perdere la prossemica) sono disponibili online (qui)
Orlando spiega che i critici francesi, a differenza degli italiani, faticarono di più a studiare Mimesis senza lasciarsi influenzare dalla rivoluzione della nouvelle critique e più generalmente dalle tendenze critiche che dagli anni Cinquanta e Sessanta in poi hanno invaso l’università (la stessa università criticata da Roland Barthes già agli albori della querelle tra i nuovi critici e i professori, tacciati di passatismo per i loro metodi giudicati obsoleti). Orlando si sofferma poi sulla lingua attraverso cui ha studiato Mimesis:
io avevo letto una sola volta Mimesis, interamente in italiano, nella traduzione Einaudi del 1956, la quale mi è sembrata pessima. Qualche anno dopo ho comprato il testo in tedesco, lingua che nel frattempo avevo imparata, ho riletto infinite volte capitoli singoli o parti di capitoli ma non avevo fatto la lettura integrale di tutta l’opera in tedesco. Quando si è trattato di prepararmi per il convegno di Pisa tenutosi il 16 marzo 2007, nei mesi precedenti ho compiuto una lettura in tedesco attentissima con schedatura di tutto, mettendoci tre mesi. Illuminazione! Era sempre stato per me il libro più importante, lo è diventato due volte di più.
A proposito della parola centrale di questo studio, lamentandosi della traduzione italiana, sostiene che
Auerbach avrebbe anche potuto fare a meno della parola realismo, scavalcarla e sostituirla con una parola più generica; non solo «rappresentazione della realtà», forse avrebbe potuto addirittura dire «codice», perché ho dimostrato che la parola è usata in almeno ventuno significati differenti nel libro, alcuni dei quali sono incompatibili fra di loro.
Per comprendere ciò che la parola “realismo” rappresenta, Orlando suggerisce di sostituirla con “codice”, inteso come il “modo” che un testo ha di rappresentare il mondo entro e non oltre certi confini, insomma una “chiave di lettura”. Uno scrittore quindi rappresenterà un mondo e non il mondo, ed è una differenza sostanziale.
Per spiegare il suo uso della parola “codice”, è interessante che Orlando prenda come esempio il Processo di Kafka (già analizzato nei meravigliosi Oggetti desueti nelle immagini della letteratura). Prima di leggere la storia di Josef K., avremo una certa idea di ciò che vi troveremo, indipendente dall’opera stessa che ancora non si conosce: dopo, saremo influenzati dalla chiave di scrittura di cui Kafka ha voluto servirsi (così voglio definirla, “chiave di scrittura”, anche se questa definizione non è di Orlando) :
Quando sarete arrivati a pagina trecento e avrete magari finito il libro, avrete conquistato un condizionamento per cui se poi rileggete il romanzo la fusione di «soffitta», «sgabuzzino», «sottoscala», «polvere» e così via e dall’altra «giudice», «avvocato», «tribunale», «processo» ecc. diventa la chiave per leggere il libro
Ecco infine come Orlando, parlando d’altro, allo stesso modo di Auerbach, passa dal singolo brano alla totalità dell’opera, coniando una bellissima definizione di ciò che dovrebbero sapere (condividere è un altro discorso) ogni lettore e ogni critico prima di studiare un’opera:
Nell’inventare la propria materia lo scrittore in qualche modo la modifica, il che è lontanissimo dalla fesseria dell’opera d’arte che parla sempre e soltanto di se stessa. L’opera d’arte parla del mondo, però in ogni opera d’arte c’è un mondo diverso; c’è qualcuno che aveva detto queste cose in modo splendido, almeno una volta, almeno in una pagina straordinaria; questo qualcuno si chiamava Marcel Proust, citatissimo da tutti, da chi sta dalla mia parte come da chi sta dalla parte opposta perché effettivamente la Ricerca di Proust è un arsenale da cui si può ricavare un po’ tutto quello che si vuole ma per me è molto importante l’idea dell’opera d’arte come paio d’occhiali. Quando leggiamo un romanzo è come se inforcassimo un paio d’occhiali che ci fanno vedere il mondo in un certo modo, con certe proporzioni, con un certo colore, con certe caratteristiche, con certi rapporti.
Ecco alcuni titoli qualora vogliate saperne di più. Per scrivere questo brevissimo articolo ho consultato soprattutto La scrittura e il mondo, uno strumento di lavoro ottimo per avere una visione d’insieme sulla critica letteraria del secolo scorso.
E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, con un saggio introduttivo di A. Roncaglia, 2 voll. Einaudi, Torino 1992 (16esima edizione).
E. Auerbach, La littérature en perspective, a cura di P.Tortonese, Presses Sorbonne Nouvelle, Paris, 2009.
Mimesis di Auerbach. Per un bilancio critico 60 anni dopo, Scuola Normale Superiore di Pisa, 16 marzo 2007, con un intervento del prof. Francesco Orlando intitolato Mimesi e convenzione. Unità o pluralità del realismo.
Erich Auerbach. Due giornate di studio, Scuola Superiore Santa Chiara, Siena, 29-30 aprile 2008, con un intervento del prof. Francesco Orlando dal titolo Unità o pluralità del realismo. Una lettura di «Mimesi». Oppure: F. Orlando, Codici letterari e referenti di realtà in Auerbach, in R. Castellana (a cura di), La rappresentazione della realtà. Studi su Erich Auerbach, Atti del convegno di Siena (29-30 aprile 2008), Artemide, Siena, pp. 17-62.
S. Brugnolo-D. Colussi, S. Zatti, E. Zinato, La scrittura e il mondo. Teorie letterarie del Novecento, Carocci, Roma 2016.
Infine, un sito interessante per avvicinarsi alla figura di Orlando è questo.
* Scrive Dionisotti, riferendosi però a un periodo di poco successivo: «Proprio perché ci siamo trovati a vivere e studiare in condizioni eccezionalmente difficili e avverse, abbiamo dovuto assumere piena responsabilità dei nostri compiti» (C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura, Einaudi, 1999, p.181).