Le mie notti sono piene di Virgilio
il miracolo del labor
Il 2 settembre del 31 a.C. si decide la storia in quel di Azio: Occidente sfida Oriente, Ottaviano vince Antonio. Si torna a casa, il principato scaccia la repubblica, l’auctoritas tallona la libertas, il foro annuncia, È fumata bianca, ”Habemus Imperator”: nome Ottaviano, professione princeps, buoni propositi riformare Roma, codice d’onore non permettere mai che la pax sia svilita.
Data l’amministrazione si diano le regole: richiamare ed esaltare i prisci mores che resero Roma una dea nel mondo antico, sommare la virtus, lo spirito di sacrificio, la duritia, la parsimonia, aggiungere il rispetto per gli dei e l’amore per la famiglia, mescolare con il labor.
Con Virgilio alla regìa coordina Mecenate: ministro della cultura, abile diplomatico, cultore di letteratura e convinto epicureo, fondatore di quel circolo che da lui prese il nome, uno spazio dialogico in cui poeti e letterati furono chiamati a recitare sul palcoscenico il loro ruolo all’interno della politica riformatrice augustea e sollecitati a votare il loro consenso verso il princeps.
Per ulteriori chiarimenti recarsi in libreria, reparto classici, cercare Virgilio, prendere le Georgiche, attendere alla cassa, pagare, tornare a casa, leggere:
Tua, Maecenas, haud mollia iussa.
Virgilio, Georg. 3, 41
L’espressione litotica haud mollia iussa, ”per i comandi non leggeri”, si traduce con l’ordine urgente di adesione al programma politico-culturale impartito da Mecenate al suo cortigiano, che rispetta formalmente il linguaggio canonico della literary request.
Il desiderio di Mecenate si fa ordine: Virgilio si sbrighi, la politica non attende.
Il poeta gli dedica quattro libri, (gli alessandrini ringraziano: misura perfetta per un poema) in cui la componente propagandistica si innesta sullo sfondo di una poesia intensamente partecipata e autenticamente dipinta dalla mano agile del suo artista.
Virgilio lavora al suo poema didascalico, le Georgiche (dal greco, ”poesie contadine”), mentre Augusto redige il programma di potenziamento dei piccoli e medi proprietari, arricchendo il suo messaggio di significati ideologici: l’agricola italico è rappresentante della romanità, è sintesi di laboriosità, parsimonia e religiosità. Le guerre sono finite, le campagne spopolate, le terre gestite dal ceto equestre, Augusto è preoccupato, Virgilio condivide le preoccupazioni, scrive due libri sull’agricoltura, altri due sull’allevamento, le sue origini lo aiutano (figlio di proprietari terrieri), conosce i valori, le abitudini, i problemi (per chi fosse rimasto in libreria: cercare Virgilio, trovare Bucoliche), ma non conosce il tecnicismo spocchioso delle regole lavorative, la scientificità eloquente e saccente dei manuali agricoli, l’assemblaggio di precetti canzonatori per i contadini. Virgilio conosce l’uomo, studia la romanità e con le Georgiche si curva sul piccolo mondo quotidiano del labor campestre inneggiando la figura dell’agricola, uomo indefesso, lavoratore che sostiene tenacemente la famiglia e la patria senza trascurare il mondo dei semplici divertimenti.
Labor omnia vicit improbus, et duris urgens in rebus egestas
Virgilio, Georg. 1, 145-146
”Ogni difficoltà è vinta dall’aspro lavoro, e dal bisogno che incalza nelle dure vicende” sono le parole che l’autore utilizza per lodare la santità del labor di cui ne ricostruisce l’origine teodicea: con un atto di giustizia gli dei consegnano all’uomo il lavoro, garantiscono tranquillità al contadino, proteggono la sua vita, premiano le fatiche, rendono fecondi i campi. Il lavoro non è una punizione, non un torto alla pigrizia, non un affronto all’abulia umana, un’ingiuria all’apatia del vivere inoperante. Il lavoro è dono, premio, vincita miliardaria, sproporzionata, impareggiabile.
Virgilio discute del lavoro nei campi, classifica gli alberi, compone le laudes italiae, esamina gli animali, descrive la peste di Norico, sale di grado e raggiunge lo zenit: è il momento della descrizione della vita sociale delle api.
Solae communes natos, consortia tecta
urbis habent magnisque agitant sub legibus aevum,
et patriam solae et certos novere penates,
venturaeque hiemis memores aestate laborem
experiuntur et in medium quaesita reponunt.
Virgilio, Georg. 4, 153-157
”Solo loro hanno in comune i figli, un’unica casa per tutte, e vivono seguendo leggi rigorose, solo loro riconoscono sempre la patria, il focolare, e sapendo che tornerà l’inverno in estate si sottopongono a fatica per riporre in comune ciò che si procurano”: la società delle api diventa esempio di cives in miniatura, perfetta perché fondata su un sistema di valori ad appannaggio della tradizione romana. C’è disponibilità dei singoli a sacrificarsi per i tanti, c’è concordia nella vita comunitaria, severità nel rispetto delle regole, approvazione e riconoscenza per la patria, la lotta per la stabilità e per la pace, la fatica risanata dal profumo e dai colori, dalla bellezza idillica e dall’amor florum. C’è disponibilità dei singoli a compiere il miracolo del lavoro: produrre il miele profumato.
Cari romani, Virgilio ha parlato. Per devozione agli dèi agrestes, per un avvenire migliore, per allontanare l’avidità, repellere la bramosia, dimenticare le croci della guerra, si torna alla campagna, si torna al lavoro, si torna a compiere miracoli per la terra, si torna alla vita.
Virgilio ha parlato e continua a parlare anche per noi: ”Le mie notti sono piene di Virgilio” (J.L. Borges) è la prova di come il tema del labor virgiliano continui a riecheggiare persuasivo e ammaliante per secoli e secoli a venire. Lascio a voi l’esegesi di questa sententia e auguro a chi ha un lavoro la fatica del giorno e il riposo della notte e a chi è ancora in cerca una buona fortuna.
Articolo a cura di Carmen Della Porta