“Lo chiamavano Jeeg Robot”
il supereroe metropolitano figlio di molteplici generi cinematografici
Affinità elettiva. Questa è la prima parola che potrebbe suscitare la visione della pellicola “Lo chiamavano jeeg robot” di Gabriele Mainetti perché –sul piano tematico s’intende- è un film che esce fuori dagli schemi tradizionali, ambisce a qualcosa di più: è un mix di generi cinematografici che vanno da quelli dei supereroi marveliani e dai manga giapponesi a “Taxi driver”, a Pasolini, a Sollima e perché no a Caligari.
Erba incolta, asfalto dissestato e “casermoni” di cemento saranno lo sfondo della pellicola. La scelta di Roma, in particolare della borgata di Tor bella monaca a discapito dell’atmosfera noir e affollata delle “streets” newyorkesi, non è casuale, non è pura forma. Con questo Mainetti dimostra che il suo film non può non subire una seppur leggera contaminazione dei tempi odierni molti negativi sia politicamente ché socialmente, di ciò ne è prova da una lato la presenza di piccole bande criminali pseudo mafiose e dall’altra la paura per gli attacchi terroristici.
Il cast di attori scelto è ricco di volti nuovi, solo cinque sono attori conosciuti nel mondo del cinema ma a rubare la scena è ancora una volta l’interpretazione di Luca Marinelli nei panni di “Zingaro”. Gli appellativi di umorista, comico, cantate, tragico, delinquente sono i più adatti a descrivere l’interpretazione di Marinelli e contribuiscono a eclissare di gran lunga l’interpretazione di Claudio Santamaria nei panni di Enzo Ceccotti, il Jeeg robot urbano e reale protagonista della pellicola. Quest’ultimo, attore eccellente anche lui, poco si addice al personaggio duro e rozzo affidatogli, l’obbligato accento romanesco e la parvenza rozza del personaggio che interpreta sono caratteristiche che non gli si addicono tali da risultare troppo da copione. Vicino a Marinelli e Santamaria è necessario elogiare anche Ilenia Pastorelli che, al suo esordio cinematografico, irrompe sulla scena nei panni di Alessia, giovane ragazza affetta da disturbi psichici che scambia la realtà quotidiana con quella di Jeeg robot. È lei indubbiamente il centro dell’umorismo della pellicola: i suoi gesti, le sue parole destano riso ma non privo di una grande tristezza dovuta alla scomparsa prematura di sua madre e ai continui maltrattamenti di suo padre Sergio.
Sostanzialmente il film scorre bene e lo spettatore è portato ad essere empatico con ciò che accade in alcune scene e la drammaticità di alcuni scorci biografici narrati dai personaggi stessi. Avendo davanti agli occhi uno sperimentalismo tematico non dobbiamo essere rigidi nel giudicare la surrealtà di certe scene, anche perché il film sin da subito stabilisce un patto finzionale con lo spettatore denudandolo dei suoi rigidi pregiudizi al riguardo: Enzo Ceccoti (Claudio Santamaria) bevendo petrolio (?) nel Tevere acquisisce i superpoteri anziché morire.