L’uomo fedele (2018) di Louis Garrel
omaggio alla Nouvelle Vague
Un triangolo amoroso, la quotidianità, la leggerezza, Parigi e l’umorismo sono i colori che utilizza Louis Garrel per dipingere l’opera chiamata L’Uomo fedele (L’Homme fidèle, 2018).
Il film, girato in pellicola, omaggia la migliore tradizione del cinema francese e tutte le sue sfumature con una chiara atmosfera giocosa, ma allo stesso tempo riflessiva. Una visione del presente con gli occhi del passato. L’inizio parte tutto dalla fine. Poche frasi per capire che la storia d’amore tra Abel (Louis Garrel) e Marianne (Laetitia Casta), per lo spettatore, è finita ancor prima di iniziare. L’impassibilità del protagonista, dopo la confessione del tradimento da parte di Marianne con il loro amico Paul e dalla gravidanza che ne è conseguita, è solo il primo indizio che palesa il carattere di Abel, trascinato dalle decisioni delle donne che lo circondano.
La cornice dettata dallo stile marivaudage rende le sequenze leggere e raffinate, permettendo al regista di non cadere nella banale drammaticità, ma anzi, di raggiungere anche note comiche e umoristiche. Scritto a quattro mani con Jean-Claude Carrière, il film rimanda alla Nouvelle Vague e ad alcuni personaggi emblematici come Antoine Doinel e, innegabilmente, François Truffaut. Dalla confessione del tradimento al funerale di Paul, con un salto temporale della durata di nove anni, riprende la storia d’amore tra i due protagonisti, nella quale sono inseriti due personaggi fondamentali: la sorella di Paul, Eve (Lily-Rose Depp) e il figlio di Marianne, Joseph. Eve è innamorata follemente di Abel da quando era ragazzina – alcuni flashback ricostruiscono gli aneddoti e le vicende che riguardano le sue infantili gesta d’amore – ed è disposta a qualsiasi cosa per averlo. Joseph, metaforicamente, è una sorta di regista teatrale che dirige le azioni di Marianne e Abel attraverso le sue influenze psicologiche e i suoi fantasiosi racconti.
La narrazione non segue mai una linea retta, ma stupisce e sorprende lo spettatore con scelte che non rispettano l’equilibrio tradizionale del racconto e che puntano a disorientare, passando dal genere comico e romantico fino a quello giallo e drammatico. Abel non riesce a tenere le redini del proprio destino, ed è costantemente influenzato dal parere della donna che ama. Sarà proprio Marianne, infatti – palesando sempre più la sua figura autoritaria ed esperta – a consigliare al protagonista di tentare la “fortuna” amorosa con Eve. Un uomo fedele, appunto, che si lascia guidare, sedurre e trasportare dal potere decisionale femminile. D’altronde, anche dal punto di vista professionale, tale contrasto viene ben sottolineato dal regista: Abel, essendo un giornalista, è costretto, in più scene della pellicola, ad ascoltare le lamentele e i pareri delle persone che intervista; al contrario, Marianne, è abituata a formulare strategie comunicative in ambito politico. Una coerenza metaforica, filmica e letterale che rappresenta i punti fermi su cui ruotano le vicende parigine dei due protagonisti. Un lungometraggio romantico, cinefilo e volutamente “francese”, che racconta con le sue narrazioni e le sue scelte stilistiche una storia d’amore contemporanea, forzatamente paradossale; girata e diretta, artisticamente, con uno sguardo fisso e malinconico verso lo straordinario cinema del passato.