Culturificio
pubblicato 2 settimane fa in Recensioni

“Malbianco” di Mario Desiati

“Malbianco” di Mario Desiati

C’è una pianta che infesta e uno scrittore che fiorisce in Malbianco (Einaudi 2025), ultima opera di Mario Desiati. Il romanzo, scritto con una prosa magistrale, è ricco di immagini che attingono al campo semantico della botanica. Piante, fiori, alberi e un intero bosco fanno da sfondo alla vicenda di Marco Petrovici, alter ego dell’autore, che dopo alcuni anni di vita berlinese torna a casa in Puglia per scavare a fondo nella sua storia familiare: una storia da capogiro, come quello che mette in moto tutta la ricerca. È infatti uno svenimento, uno dei tanti, che porta Marco a tornare a casa, per il senso di mancanza che prova verso i suoi genitori, ma anche perché sente il bisogno di prendersi cura di sé. Lo psicanalista, uno dei due che frequenta, gli dà una chiara indicazione: per risolvere i suoi traumi e uscire da quel malessere psicofisico che gli causa attacchi di panico ha solo due modi, ovvero studiare e usare l’immaginazione.

Dallo svenimento si dipana la storia, o meglio il racconto, spesso un meta-racconto, perché alla parabola del protagonista se ne intreccia un’altra, quella di uno zio, il fantasma di cui lui porta il nome, Marco Petrovici, il cui diario sarà cruciale per ricostruire la storia della sua famiglia.

Oltre a questo racconto che viene dal passato ce n’è poi uno che volge al futuro, quello che il protagonista rivolge ai suoi due nipoti, figli del fratello. Come vorrebbe metaforicamente simboleggiare il titolo del primo capitolo, “il ramo spezzato”, velato rimando al “Il ramo d’oro” di Frazer, Desiati sottolinea la difficoltà di una ricostruzione genealogica. Nonostante i molti vuoti, emergono tra i vari personaggi di questa storia numerosi punti di contatto, come se qualcosa dell’uno fosse confluito, generazione dopo generazione, nell’altro, quasi come per via di quella magia contagiosa di cui scrive Frazer. Il protagonista ama la poesia, come suo nonno Demetrio, ma è anche un po’ bizzarro, fuori dalle righe, come l’altro grande protagonista di questa storia, Pepin, che in un villaggio della Russia viene apostrofato come “sciumasezzi italieni”, l’italiano pazzo, insomma uno spatriato ante litteram, comequegli altri personaggi descritti nel romanzo che nel 2022 è valso all’autore il premio Strega.

A fare da filo conduttore tra i vari personaggi del presente e del passato è anche e soprattutto una ninna nanna, una melodia che, più che invitare al sonno perenne, risveglia il mondo sepolto degli spiriti che aleggiano intorno alla vita del protagonista. Desiati sembra infatti scrivere anche per loro, o forse grazie a loro, come indica il richiamo a una frase di Kafka: “Jedes Wort, gewendet in der Hand der Geister”, ogni parola viene rivoltata in mano agli spiriti. Sono loro infatti a inquietare l’animo del protagonista, a provocargli quegli svenimenti che gli fanno vivere in modo così acuto il dolore della perdita di un mondo mai conosciuto. Il trauma da elaborare, con uno straordinario capovolgimento, non è dato da un evento del passato, quanto dal vuoto lasciato dall’assenza di una narrazione. Marco Petrovici è infatti in perenne conflitto con la sua famiglia proprio per quel loro senso di omertà, per quel nascondere e ignorare i tanti elementi della loro storia famigliare, che se solo fossero messi in dialogo tra loro darebbero le risposte alle domande che Marco si pone e che gli altri vogliono invece mettere a tacere. Una storia famigliare tanto intricata anche perché si intreccia con quella grande Storia che riguarda l’Europa del Novecento, con i suoi disastrosi eventi e le molte ombre che ancora si protendono sul protagonista. 

Non solo il mondo vegetale, gli spiriti, gli animali carichi di simbologia che Desiati ci invita a scoprire nella libreria in appendice al romanzo, come l’asino di Martina Franca, ma anche Storia, musica e letteratura arricchiscono la prosa di Desiati. La musica ha un ruolo terapeutico, persino quella techno, che aiuta il protagonista a praticare il “deflusso”, termine che rimanda agli studi sul tarantismo di Ernesto de Martino.

La letteratura colora la mente del protagonista, che intreccia i dialoghi familiari con le parole che gli vengono dalle sue letture, ed è così che il romanzo appare anche come un meraviglioso ipertesto di tanta altra letteratura, soprattutto italiana e di lingua tedesca, con un itinerario letterario che richiama quello del protagonista, ma anche dell’autore.

Forse è proprio la ricchezza culturale di Desiati che, combinata alla sua spiccata sensibilità e al lirismo della sua prosa, fanno di questo romanzo un giovane classico contemporaneo. La narrativa di Desiati ha perso in parte quel piglio provocatorio che mostrava in testi di profana bellezza come Candore (Einaudi, 2021), romanzo in cui il protagonista si metteva sulle tracce di eroine della pornografia, per volgere la sua ricerca verso uno spazio più intimo e riservato, in cui c’è spazio persino per il sacro, come dimostrano i molti richiami alla Bibbia o alla tradizione sacra. E difatti la critica ha accolto Malbianco come il romanzo della maturità. Desiati sembra voler fare il punto anche della sua carriera di scrittore. Sembra cercare anche lui, come Marco Petrovici, quel filo conduttore inteso da quell’altro scrittore austriaco ossessionato dagli antenati, Peter Handke, come invito ad aprirsi e lasciarsi stupire dalla scoperta di un nesso possibile (“Der Zusammenhang ist möglich”, scrive Handke), sempre presente ma a volte indecifrabile.

A Desiati auguriamo di continuare la sua ricerca e di lasciare sempre più tracce scritte del suo passaggio. L’invito ai lettori è invece di accogliere questo libro come il romanzo della ripartenza, quello che nella ricerca delle origini invita a mettersi in moto, a ripartire e tornare, a non farsi bastare la storia raccontata ma a cercarne di nuove perché ce ne sono nascoste nelle vite di tutti, ovunque.

di Veronica Di Lascio