Federica Ceccarelli
pubblicato 2 giorni fa in Recensioni

“Memoria rossa” di Tania Branigan e la Cina dallo psicologo

“Memoria rossa” di Tania Branigan e la Cina dallo psicologo

Era come se credessimo che un mondo stravolto potesse semplicemente essere raddrizzato, senza chiederci cosa significasse continuare a viverci a distanza di un anno, di un decennio, di mezzo secolo. Quando una vita andava in frantumi poteva semplicemente essere ricostruita, mattoncino dopo mattoncino: come se fosse una casa di Lego per omini di plastica, spolverata e alla fine integra, pronta per ricominciare.

La scienza ci dice che ogni volta che torniamo su un ricordo ci mettiamo progressivamente più al centro della storia, ristrutturando inconsciamente gli eventi intorno a noi. La Rivoluzione Culturale sembrava avere l’effetto opposto: le persone si spostavano ai margini della scena. Nelle memorie l’istigatore era sempre qualcun altro. L’autore aveva detto e fatto il meno possibile. Come se non fosse proprio presente.

La Rivoluzione Culturale è uno di quei capitoli della storia che sembrano racconti di un altro mondo, animati da operai che sventolano il Libretto Rosso o i poster di propaganda con slogan maoisti. Raramente ne comprendiamo la portata distruttiva e profondamente sconvolgente. La Rivoluzione Culturale è stata un periodo storico estremamente affascinante, ma anche il passato (vicino) di milioni e milioni di persone; un esperimento sociale irripetibile, ma anche un trauma che ha lacerato le vite di tantissime famiglie. Alla complessità e alle ripercussioni di questo periodo è dedicato Memoria rossa. La Cina dopo la Rivoluzione Culturale (edizione originale del 2023) della giornalista britannica Tania Branigan, testo di saggistica narrativa pubblicato da Iperborea nella collana I Corvi e tradotto dall’inglese da Silvia Rota Sperti.

A differenza dei numerosi volumi storici che si possono consultare sul tema, il libro di Branigan adotta un approccio individuale, che mette in primo piano l’autrice e le persone da lei incontrate, sopravvissute a vario titolo alla Rivoluzione Culturale: ci sono le vittime e i loro familiari, ma anche i carnefici. In molti casi, poi, le due cose coincidono. Ne è un esempio un uomo che da ragazzo denunciò la madre a causa delle sue critiche al partito, segnandone la condanna a morte e condannando sé stesso al dispiacere eterno. Persecutori e perseguitati si sovrappongono anche nel racconto di alcune donne che ricordano l’omicidio di una delle loro insegnanti, massacrata di botte a seguito della denuncia di una di loro. Branigan non lesina sulla vividezza delle testimonianze, mettendo il lettore davanti a forme di crudeltà raccapriccianti, come quella di un gruppetto di giovani studentesse che picchiano a morte una professoressa.

Il mondo della cultura, peraltro, fu uno dei principali bersagli delle guardie rosse, intenzionate a spazzare via i retaggi della tradizione. Dato che sul Culturificio scriviamo soprattutto di letteratura, ci sembra opportuno menzionare i grandi scrittori ricordati da Tania Branigan: Ba Jin, caduto in disgrazia e riabilitato solo dopo la fine della Rivoluzione Culturale, e Lao She, suicida in un lago a Pechino in seguito alle angherie subite. Sono molto belle anche le pagine dedicate ai “giovani istruiti”, schiere di ragazzi e ragazze inviati in villaggi di campagna ad apprendere lo spirito rivoluzionario dai contadini. L’autrice dissotterra episodi terribili, il cui ricordo assume un grande valore storico, ma soprattutto collettivo e umano.

I temi e le vicende ripercorsi in Memoria Rossa sono numerosi, ma il grande punto di domanda del libro riguarda il senso di responsabilità e di consapevolezza del passato: nessuno sembra ritenersi colpevole di quanto accaduto in un periodo di totalitarismo e follia collettiva, ritenuto ufficialmente un errore temporaneo. Branigan sottopone la storia cinese degli ultimi sessant’anni a una durissima seduta di psicanalisi, rivelando come gli eccessi della Rivoluzione Culturale non siano mai stati davvero affrontati né risolti, in una dinamica di rimozione e amnesia collettiva, che va collegata anche alle radici culturali e al pensiero confuciano. Questo originale approccio psicoanalitico assume toni quasi letterari, con frequenti incursioni nella vita personale dell’autrice e nelle sue impressioni durante il periodo di ricerca in Cina. La voce da osservatrice esterna di Branigan entra spesso in maniera diretta nel racconto, mescolando i ricordi delle persone intervistate alle proprie emozioni e sensazioni (tratto comune a molti testi di saggistica narrativa. Questo enfatizza la dimensione umana della narrazione, ma tende anche a personalizzarla più del necessario). Parallelamente, l’autrice cerca di ricostruire l’ossatura storica del suo testo, citando accademici esperti della materia, riportando le principali vicende e ripercorrendo le storie dei grandi personaggi della storia cinese recente come Lin Biao e Bo Xilai. Ci sono anche alcuni accenni alla questione di genere in Cina, un argomento che in Italia resta pressoché sconosciuto al di fuori del contesto accademico. Insomma, Memoria Rossa adotta uno stile ibrido, in cui si mescolano e si intersecano numerosi approcci, tematiche e prospettive. Questa molteplicità rende la lettura incalzante e stimolante, ma a tratti penalizza il ritmo della narrazione e la sua struttura complessiva, soprattutto per quanto riguarda l’approfondimento storico. Ciò non è necessariamente un difetto; anzi, può forse costituire uno stimolo per ulteriori approfondimenti. Dopotutto, pare che l’intento di Branigan non sia tanto quello di delineare il ritratto più fedele e completo possibile degli ultimi decenni di storia cinese, quanto quello di invitare i lettori a riflettere sull’importanza della memoria, sia individuale sia collettiva, e della responsabilità. Come inequivocabilmente segnalato alla fine del libro, questa esigenza non riguarda solo la Rivoluzione Culturale, ma anche l’Occidente nella sua attuale deriva autoritaria.

A tutti da bambini è stato detto che studiare la storia serve a comprendere meglio il presente. Nel tempo, probabilmente, molti di noi hanno perso fiducia in questa ramanzina un po’ stucchevole da compitino scolastico, nel benaltrismo quotidianamente smentito dal mondo che ci circonda. Il libro di Branigan sembra voler ridare dignità a questa visione critica della memoria, tema principale del testo, come è possibile dedurre dal titolo. Può sembrare scontato che un testo di saggistica sia dedicato a questo: quanti sono gli infiniti scaffali delle librerie a ospitare libri il cui scopo principale sembra essere quello di rammentare, ripercorrere e rievocare il passato? Eppure, in mezzo a questo marasma di saggi e romanzi storici, giornate dedicate alla commemorazione di questa o quella tragedia, promesse che determinate vicende non debbano più ripetersi e altre varianti della retorica del ricordo, la (nostra) memoria sembra più minacciata che mai. Azzardare paragoni a sproposito è sempre rischioso, oltre che inopportuno. Ciononostante, Memoria rossa ci pone davanti all’urgenza di riflettere sul significato del ricordo, sui pericoli della sua rimozione o manipolazione, sull’importanza e la necessità di una riflessione critica sul passato per la comprensione del presente.