“Metà fuoco, metà acqua” di Wang Shuo: i cattivi ragazzi della letteratura cinese
Non la amo, non amo nessuno. La parola amore mi suona ridicola, ce l’ho spesso sulle labbra ma è perché mi viene naturale come dire scorreggia.
Vedo risaie, peschiere, canali di irrigazione e paesaggi di campagna con graziosi villaggi dalle mura intonacate nascosti nel verde; vedo città industriali scorrere in rapida successione, sovrappopolate, rumorose e avvolte da dense cortine di fumo; vedo famose catene di monti innalzarsi e declinare; vedo il percorso sinuoso di fiumi maestosi lunghi migliaia di chilometri, e ovunque centinaia di migliaia di ragazze spensierate.
Wang Shuo (1958) è senza dubbio la rockstar della letteratura cinese contemporanea. Lo stile pungente e le tematiche provocatorie lo hanno reso una celebrità, un personaggio quasi iconico, noto e amato dal grande pubblico. Pur essendo assai famoso in patria (dove è anche sceneggiatore e regista), è rimasto per lo più assente in Italia. Grazie allo splendido lavoro di Orientalia Editrice il suo romanzo breve Metà fuoco, metà acqua del 1986 è finalmente disponibile nella traduzione e cura di Rosa Lombardi.
Di Wang Shuo si potrebbe parlare per giorni; volendo semplificare, è noto per essere il massimo esponente della “letteratura dei teppisti”, nata in contrapposizione all’impegno sociale e l’aura moralista della produzione culturale cinese degli anni Ottanta e Novanta. I suoi personaggi sono ragazzi sbandati che vagano per le strade di Pechino, vivendo sul filo dell’illegalità, comportandosi spesso in modo deplorevole e occupando una posizione di marginalità rispetto alla grande crescita della società cinese postsocialista di quel periodo. La critica di vecchio stampo ha spesso attaccato Wang Shuo per i contenuti controversi e il linguaggio sboccato, visti come un sintomo di decadenza morale. In un paese dove la letteratura ha tradizionalmente mantenuto un forte legame con il potere e ha sempre anelato all’ufficialità e al riconoscimento dall’alto, Wang Shuo si pone come un outsider, lontano dai circoli letterari e dal fulgore dell’élite culturale cinese. La sua dirompenza in questo senso ha incontrato le preferenze di un pubblico che stava cambiando, in un’epoca di grandi trasformazioni sociali e culturali della storia della RPC.
Metà fuoco, metà acqua è un testo breve ed estremamente godibile, di quelli che si fa fatica a posare dopo aver letto la prima pagina. Il protagonista Zhang Ming è un tipico antieroe: un giovane che vive di espedienti, donnaiolo senza scrupoli, ironico e sagace, incurante del proprio e altrui futuro. La sua visione del mondo è riassunta nelle parole che pronuncia nelle prime pagine del romanzo:
Non mi piace sapere esattamente come vanno a finire le cose, seguire le regole e raggiungere degli obiettivi poco alla volta, non c’è gusto. Più cose prevedi, meno eccitante è. Se so quale passo fare, cosa mi aspetta ad ogni passo e quali conseguenze ci saranno, non mi interessa più vivere.
Un nichilista maledetto che seduce la studentessa Wu Di, ragazza per bene e dal futuro promettente, la quale rinuncia al suo percorso di studi pur di seguirlo e stare con lui. Sebbene si renda conto di provare affetto nei confronti di Wu Di, Zhang Ming resta fedele alla sua vita di teppista, trascinando la ragazza in un vortice di autodistruzione. Anni dopo, Zhang Ming si troverà a riflettere sul proprio trascorso di delinquenza e sulle sue drammatiche conseguenze, realizzando che per uno come lui non esistono vere e proprie possibilità di redenzione.
Wang Shuo è un maestro nel costruire il suo protagonista, rendendolo interessante e repellente allo stesso tempo: Zhang Ming non è un bandito affascinante o un cattivo ragazzo dall’aura irresistibile; fin dall’inizio del racconto, il suo atteggiamento egoista e sprezzante nei confronti di Wu Di suscita disgusto e irritazione. Ciò nonostante, Zhang Ming rimane in qualche modo integro, saldo nel suo opporsi al moralismo e nel rigettare qualunque compromesso con la società, e per questo condannato a una condizione di marginalità e solitudine. Nella seconda parte del testo, Zhang Ming si innamora di una ragazza, Hu Yi, che somiglia molto alla ragazza perduta. Memore delle esperienze precedenti, cerca di aiutarla a fuggire verso una vita più sicura, trovando in questa vena di altruismo una magra forma di riscatto dal proprio passato.
Nella sua ricca postfazione (altra nota di merito di questo volume), Rosa Lombardi osserva che le figure femminili sembrano sfuggire alla visione nichilista di Wang Shuo; la prostituta Ya Hong, Wu Di e Hu Yi conservano tutte un’aura di purezza che ne accresce la vulnerabilità. Al di là di una possibile lettura di genere di questa dinamica, le figure di donna sembrano introdurre il tragico nella vita degli scapestrati delinquenti di Pechino. La storia tra Zhang Ming e Wu Di rappresenta la virgola che separa il fuoco e l’acqua nel titolo, un elemento di disturbo, l’imprevisto che rovinerà la vita del protagonista e lo condannerà al rimorso perpetuo.
In conclusione, la narrazione rappresentata da Wang Shuo non brilla certo per doti morali; la sua lettura ironica e pungente della realtà porta i lettori a immergersi in un mondo che credono di disprezzare, e in cui possono tuttavia trovare un’umanità diversa, ma non per questo meno autentica, di quella proposta dai valori tradizionali. Probabilmente è per questo che Metà fuoco, metà acqua, con i suoi (quasi) quarant’anni, è ancora un testo affascinante, che merita di essere tradotto e letto. Dopotutto, Wang Shuo scrive di vicende forse non vere, ma senza dubbio verosimili, e lo fa con uno stile che ricalca il parlato ruvido della vita reale. Riesce così a evocare una vasta gamma di situazioni ed emozioni senza frapporre filtri, padroneggiando uno stile che fa di immediatezza e veridicità il proprio punto di forza. La città stessa viene presentata sotto una luce originale che ne illumina l’immensa complessità, fatta di hotel di lusso e convegni universitari, ma anche di risse, commissariati e bordelli.