Pandora: donna di Terra
Con l’espressione “aprire lo scrigno di Pandora” si allude metaforicamente allo scatenarsi di una serie di eventi negativi che, una volta svelati, non trovano soluzione. Pandora è il mezzo per il quale si scaglia sugli uomni un male sconfinato ed irreversibile e, per quanto nota (o forse proprio per questo), inizialmente Esiodo, che costituisce la fonte maggiormente autorevole, non la chiama nemmeno per nome: Theogonia 590-593
Da lei discese la razza umana delle donne:
da lei discese la razza e la tribù di donne foriere di morte che
vivono tra i mortali e procurano loro grandi guai,
nessun aiuto nella terribile povertà, ma solo nella ricchezza
Eppure questa figura suscita una curiosità tale che ricompare, questa volta con tanto di nome e spiegazione del mito (sempre Esiodo), in ” Le opere e i giorni” 42-105. Ciò che rende il racconto particolare è che, pur essendo principalmente Zeus, sovrano dell’Etere, ad ordinare al dio del fuoco la creazione dalla terra di una vergine che fosse il ritratto della castità e possedesse la bellezza di un’immortale, Esiodo informa i destinatari dell’opera che ciascuna divinità apportò il proprio contributo. Atena concesse in dono alla ragazza una meravigliosa cintura e la sapienza; le Grazie, invece, insieme a Pito, l’adornarono con monili d’oro e gioielli di ogni sorta. Le Ore ne intrecciarono le chiome con fiori freschi, ma soprattutto Argifonte (il messaggero degli dei, Ermes) le infuse nel cuore menzogne, curiosità e astuzia. Infine le fu posto nome “Pandora” – Πανδώρα- poiché gli dei la mandavano in dono agli uomini. Il nome è infatti composto da πᾶν -pan- tutto, e δῶρον – doron- dono. Tuttavia, a scapito del nome che pare preludio di un’esistenza meravigliosa, la prima donna fu anche, secondo gli antichi, la causa prima delle peggiori sciagure che il genere umano conobbe. Infatti, la fanciulla fu inviata tra gli uomini insieme ad un vaso meravigliosamente decorato, con l’ordine che non fosse aperto per nessuna ragione. Epimeteo, fratello del ben noto Prometeo, nonostante quest’ultimo gli avesse sconsigliato di accettare doni provenienti dall’Olimpo, la accolse. Pandora, tuttavia, che nel cuore celava la curiosità, comegià accennato, dono del dio Ermes, disobbedì, aprì il vaso e causò la fuga dei mali tra gli uomini; soltanto Elpis, la Speranza, rimase sul fondo dell’orcio, poiché non fece in tempo ad allontanarsi prima che esso fosse richiuso. In seguito alla sua apertura, dunque, il mondo divenne un luogo desolato e inospitale finché Pandora lo aprì nuovamente e permise anche alla speranza di uscire. La venuta sulla terra di questa donna mitica viene a coincidere, allora, con la scomparsa della felicità per gli uomini: appena sollevato il coperchio, tutti i mali e le sventure si abbattono sul mondo con una forza inaudita e l’esistenza che gli esseri umani conducono come immortali, diviene una piaga la cui conclusione può essere unicamente la morte.
Questo mito è ormai molto noto e, senza dubbio, richiama alla mente di molti l’episodio della creazione dell’uomo e della donna, narrato nel libro della Genesi. È proprio su questo aspetto, l’antropogonia, che questo mito permette di riflettere; in particolare per quanto riguarda l’operazione che vede la sapiente mano di un demiurgo intenta a creare dall’argilla e dal fango un uomo, che è caratteristica di molte tradizioni di area mediterranea e medio-orientale. Nel mito biblico Adam è plasmato dalla polvere e in quella mesopotamica è presente Enki che crea gli uomini dalla terra. Esiodo, infatti, risente dell’influenza di una tradizione medio-orientale che, seppur con presupposti differenti, raggiunge il medesimo punto: la giustificazione a posteriori della condizione umana, la quale coincide, in ultima istanza, con una teodicea. Confrontando il mito tramandato da Esiodo nella succitata Theogonia con Enuma ilu awilum, un racconto antropogonico mesopotamico, si può notare che, innanzitutto, è un dio supremo a prescrivere ad una coppia di divinità di prestarsi quali demiurghi al suo servizio. Nel primo caso è Zeus che ordina ad Efesto e Atena di dare vita alla prima donna, nel secondo è Enlil a richiedere la creazione degli uomini da parte di Enki e Nintu mediante l’argilla e le formule magiche. Tuttavia la coppia di demiurghi è sempre coadiuvata da una lunga serie di divinità che, ad esempio, in “le opere e i giorni” è rappresentata da Afrodite ed Ermes, e che trova riscontro in racconti mesopotamici ben più antichi (si pensi all’Ud Reata, testo sumerico del II millennio a.C). Ma, per quanto lo sfondo mitico comune ci permetta di dire, persiste un problema, che forse non lo è totalmente, ed è il fatto che le fonti scritte ed autorevoli sul mito siano esigue e che quindi si debbano ricercare altre versioni nell’iconografia. Una delle più importanti è, certamente, un Kratér attico a figure rosse conservato all’Ashmolean Museum, Oxford e risalente ad un periodo di tempo compreso tra 475 a.C e 425 a.C. Esso esprime una versione differente della creazione della prima donna: la fanciulla, già vestita, col capo velato e incoronato, è rappresentata dalla vita in su, mentre emerge dalla terra. Efesto tende verso di lei la mano sinistra e regge nella destra un martello da scultore. Sul capo della vergine vola un Eros alato. Alla sua sinistra si riconoscono, per i simboli che sono loro propri, Ermes e Dioniso. Il kratér sembra accomunare due differenti versioni dell’antropogonia: l’emersione degli uomini dal suolo e la funzione demiurgica di Efesto. Inoltre, ciò che colpisce, è che sulla scena sono presenti solo elementi maschili – oltre alla fanciulla- e, dunque, l’elemento femminile, che è necessario al concepimento, è da ricercarsi altrove: nella terra, la Madre Terra. Se durante la creazione maschile l’azione demiurgica è opposta all’emersione dal suolo, qui vi è, al contrario, una convergenza dei due aspetti: Efesto può, infatti, essere considerato nell’atto di invitare Pandora ad emergere oppure di crearla con i propri strumenti.