Culturificio
pubblicato 4 anni fa in Letteratura

Perché ancora Antigone

Perché ancora Antigone

Bisognava capire di non giocare con l’acqua, la bell’acqua fuggente e fredda, perché poi coi piedi si bagnano le scale; con la terra perché sporca i vestiti. Bisognava capire che non si deve mangiare tutto in una volta, non dare tutto quanto si ha in tasca a chi s’incontra […] non correre nel vento fin che si cade per terra e di non bere quando si è accaldati, e di non fare il bagno quando è troppo presto o troppo tardi, mai quando se ne ha voglia. E che bisogna tenersi ben dritta e dire “buon giorno signora”. E pettinarsi! Capire! Sempre capire. Io non voglio capire.

In questo estratto dalla rilettura del dramma di Anouhil (1910-1987), il confronto fra Antigone e Creonte non riguarda più la legge morale e quella cittadina e non si tratta nemmeno di una questione di genere: a fronteggiarsi sono due età dell’uomo, la giovinezza e la vecchiaia. Ed è subito chiaro come anche da bambina la natura di Antigone non sarebbe stata propensa alla ponderazione o alla prudenza, prediligendo dal principio un impeto del tutto irrazionale, passionale.

Ogni versione del mito proposta nel corso dei secoli ha scelto un’interpretazione dettata dal contesto storico-geografico che di volta in volta faceva da sfondo a ciascun autore e drammaturgo, con alcune costanti, tra cui proprio ciò che rende Antigone più peculiare: il suo coraggio, la sua ostinazione e, perché no, quel gusto un po’ pericoloso e un po’ saggio di andare controcorrente.

D’altronde, se è vero che ogni nome racchiude un’identità e attraverso l’etimologia è possibile ricostruire una storia, non sarà superfluo ricordare che Antigone vuol dire letteralmente “nata in contrasto”.  Il riferimento resta in primo luogo alla sua stirpe, quella dei discendenti di Edipo, ovvero di colui che non potendosi sottrarre all’inesorabilità del destino, uccise suo padre e sposò inconsapevolmente sua madre. Da questa unione infausta vennero alla luce i quattro figli segnati dalla colpa: Eteocle, Polinice, Antigone e Ismene.

È lo stesso Sofocle nell’Antigone ad ammettere tramite il coro che: «quando una casa è sconvolta dall’assalto degli dei, la sciagura è assoluta e investe, una dopo l’altra, tutte le generazioni».  

Eppure, la vera origine del dramma della giovane tebana affonda le sue radici in una terra più intima, una predisposizione da cui germogliano l’inoppugnabile volontà di ribellione e la caparbietà ostinata con cui fronteggia il sovrano di Tebe, Creonte, fedele a sé stessa e ai suoi ideali fino alla morte.

Il primissimo indizio relativo ad Antigone risale al geografo Pausania il Periegeta, che raccontava nella sua Descriptio Greciae di una località nei pressi di Tebe denominata proprio Syrma Antigones, “la traccia di Antigone”. Questo è probabilmente il segno di un’antica memoria legata a quel luogo, testimone leggendaria dell’atto di violazione di una legge, a opera di una donna, condannata a morte per aver voluto assicurare una degna sepoltura a suo fratello.

Tralasciando le versioni del mito andate perdute, la prima veste attraverso cui conosciamo interamente la storia di Antigone è quella sofoclea, risalente al V sec. a.C.

Più precisamente nel 442 a.C., quando il dramma di Sofocle viene portato in scena per la prima volta, ottenendo un successo immediato: lo scontro titanico di Antigone che si impone su Creonte fino alla morte, conferisce al drammaturgo greco il titolo di stratego al termine dell’agone tragico dell’anno successivo.

Gli spettatori possono saggiare il coraggio dell’eroina che sfida con fierezza imperturbabile il sovrano: «Non ho pensato che i tuoi decreti avessero il potere di far sì che un mortale potesse trasgredire leggi non scritte degli dèi, leggi immutabili che non sono di ieri né di oggi, ma esistono da sempre, e nessuno sa da quando. Per timore di un uomo io non potevo subire il castigo degli dei».

Nell’antichità classica vigeva il principio secondo cui un morto rimasto insepolto non poteva avere accesso ai Campi Elisi ed era quindi costretto a vagare sulla terra per l’eternità, senza mai pace. Questo è ciò che spinge Antigone ad imporsi contro l’editto di Creonte, accusandolo di aver stabilito per Polinice un provvedimento che sconfina in un ambito ancestrale e divino, oltre le sue competenze di re.

La tragedia era per Sofocle lo strumento attraverso cui ribadire il diritto inviolabile alla sepoltura dei propri cari in un momento particolare in cui Atene, a causa delle numerosissime vittime delle guerre, tentava di porre un freno alle forme di devozione privata.

Oltre il dramma sofocleo e al di fuori del Peloponneso, le riprese del mito di Antigone sono state numerosissime.

La sua storia, infatti, tocca alcuni elementi che possono considerarsi fondanti e dunque sempre attuali per la comprensione dell’uomo di ogni epoca: primo fra tutti proprio il bisogno di commemorare i propri defunti, di seppellirli, di pregarli.

George Steiner, nel suo studio sull’Antigone, racconta di un episodio emblematico risalente al 1943, data in cui i tedeschi invasero il villaggio di Kalavrita, nel Peloponneso: mentre uccidevano tutti gli uomini del villaggio, le donne scapparono dalla scuola in cui si erano rifugiate per compiangere i loro corpi e seppellirli.

Quanto riportato da Steiner dimostra come anche in tempi più recenti questo impulso porti a vincere la paura della morte stessa: una necessità atavica, che dagli esordi della civiltà ha mosso gli uomini a trovare rituali e preghiere mediante cui onorare i propri defunti.

La società moderna, a partire dalla Rivoluzione fino a oggi, si basa sulla polarità irrisolta tra dimensione domestica e statale: l’opposizione fra le leggi dello Stato, che tentano di razionalizzare e ordinare il reale e le istanze del singolo, multiformi e incasellabili, rimane insanabile, rendendo questo contrasto, personificato in Antigone e Creonte, il secondo elemento sempre attuale del dramma.

Hegel aveva osservato nelle lezioni di Estetica che la tragedia di Sofocle era «la tragedia sublime per eccellenza e, sotto ogni punto di vista, l’opera d’arte più perfetta che lo spirito umano abbia mai prodotto». Il motivo di questo entusiasmo trova luce nella piena corrispondenza tra il contrasto hegeliano che oppone la sfera pubblica alla sfera privata e quello rappresentato da Antigone, paladina di principi personali e trascendenti, e Creonte, difensore degli interessi immanenti e collettivi.

Goethe aveva riconosciutocomeAntigone avesse «la più sororale delle anime». L’eroina può considerarsi tale proprio in quanto sorella di Polinice, garante dei suoi diritti anche dopo la morte.  

A partire dal vuoto sempre più vertiginoso dell’individuo romantico, la tanto vagheggiata idea di completezza troverà una risposta proprio nel legame fraterno: venuto meno il fardello della sessualità, le due entità scisse possono ritrovarsi in un’unione totalmente disinteressata, nutrita della sola e pura comprensione reciproca.

Solo così due esseri distinti riescono per amore a diventare uno solo, senza perdere la propria identità, in eterno:

CREONTE:

Comunque resterà insepolto, sappilo.

ANTIGONE:

Io lo seppellirò, malgrado i veti.

CREONTE:

E poi con lui seppellirai te stessa.

ANTIGONE:

Giacere accanto è bello, se due s’amano.

Questo è ancora un altro elemento che ha una forte influenza sulla storia più recente.

Martin Raschke, romanziere e saggista tedesco, racconta nel suo diario di un episodio avvenuto durante l’occupazione nazista di Riga, il 17 settembre del 1941. Una giovane donna era stata sorpresa a gettare della terra sul corpo del fratello appena giustiziato e, una volta interrogata sul perché della sua azione, aveva risposto «Era mio fratello. Per me questo è sufficiente».

Più in generale, Claude Levi-Strauss (1908-2009), antropologo e psicologo francese, attribuiva alla tragedia antica il merito di ricalcare, nella sua impostazione drammatica, il sistema binario in cui si riflettono anche la grammatica e la logica dell’uomo: la struttura del cervello e del corpo umano è un meccanismo perfettamente sincronizzato e armonizzato di due parti.

Per questo motivo essa trova la sua realizzazione più efficace e completa proprio nel dualismo portato in scena dallo spettacolo tragico.

Tutti gli uomini e le donne di ogni tempo si rispecchiano nello sdoppiamento rappresentato dall’inconciliabilità delle posizioni di Antigone e Creonte e nello stesso tempo ritrovano la loro più profonda unità nella fine tragica di entrambi.

Tutte le volte che si ripropongono conflitti simili, declinati nello scontro tra cittadino privato e istituzione statale, nel confronto tra le vedute di un giovane e di un anziano, oppure nella dialettica uomo-donna, ci troviamo di fronte ad Antigone; ogni volta che si ripresenta un problema etico legato alla questione della sepoltura o che un amore sororale conduce alla morte pur di assecondare l’istinto di proteggere il proprio fratello, siamo ancora di fronte ad Antigone.

di Noemi Sbardella