Pia Rimini: l’attualità di una scrittrice dimenticata
Ella sentì passare sopra di sé l’eco di quella furia che l’aveva percorsa, penetrata e le suggeva goccia a goccia la vita, per buttarla poi sfatta e dolorante, con il cuore vuoto e con la carne sterile e sanguinante, in un letto d’ospedale. E lo chiamavano amore.
Da sempre subisco il fascino dei libri scomparsi dagli scaffali delle librerie, dei dorsi ingialliti accatastati sulle bancarelle, delle tracce d’umido a piè di pagina, delle infiorescenze distribuite a casaccio. Talvolta degli autori di questi libri non si trova alcuna traccia, se non in qualche tautologica citazione bibliografica. E se quelli che hanno conosciuto una fama occasionale sono predestinati a essere inghiottiti nel pozzo fondo dell’oblio, identica sorte spesso capita anche a scrittori di successo, celebrati e osannati in vita. Nei loro confronti, come verso i loro lettori coevi, ho sempre provato un senso di commozione, così come provo riconoscenza per quegli editori coraggiosi che ripropongono, oggi, testi perduti di autori dimenticati. Fra questi va segnalato, per acume e intraprendenza, readerfroblind, casa editrice romana nata nel 2021 che ha interamente dedicato la collana «le polveri» alla riscoperta di classici ormai sconosciuti.
Ho apprezzato parecchio la recente pubblicazione de L’amore muto di Pia Rimini, una raccolta di diciotto racconti scritti nel 1929, riscoperta che permette ai lettori di conoscere di nuovo la scrittrice triestina, alla quale recentemente hanno dedicato ampio spazio diversi spazi di dibattito culturale.
Ma chi era Pia Rimini e per quale motivo è stata trascurata dagli editori? Come ha evidenziato Giulia Caminito nella bella prefazione, Pia Rimini era una donna coraggiosa, a cui i benpensanti non perdonarono mai il successo precoce, l’impegno a favore delle donne, il piglio battagliero.
Nata a Trieste nel 1900, segnata giovanissima da una gravidanza senza matrimonio che si concluse con un bimbo nato morto, Pia Rimini si distinse ben presto per le sue qualità letterarie e le capacità di conferenziera, ottenendo negli anni Trenta un’ampia popolarità, con le raccolte di novelle e i romanzi Il giunco (1930) e Il diluvio (1933). A torto ritenuta vicina al fascismo, per le numerose recensioni positive dei suoi libri comparse sulla stampa di regime, subì una sorte tragica e beffarda: anche se convertita al cattolicesimo, per via del suo cognome, nel giugno 1944 fu deportata ad Auschwitz. Da quel momento di lei non si seppe più nulla e, secondo alcuni testimoni, morì durante il trasferimento in treno.
L’elemento distintivo che accomuna i racconti de L’amore muto è il brulicante orrore quotidiano che attraversa le vite di donne prostrate dall’assenza di amore, in un contesto sociale di menzogne e di squallidi inganni perpetrati da uomini senza scrupoli. Il bisogno di dare avvertito dalle protagoniste si muove a senso unico: è solo un continuo offrire e soffrire. Il loro infruttuoso tentativo di essere amate le conduce il più delle volte a compiere scelte sbagliate, che amplificano il dolore, spingendole sempre più in basso. Le donne di Rimini sono rassegnate a sopportare i soprusi maschili in cambio di false promesse d’amore e di matrimonio, in una sorta di complicità fatalistica e rinunciataria.
Cicciotta, Bionda, Gramigna, Grassa, Mora, Puledra, donne povere e sottomesse, sono le protagoniste di storie dall’esito invariabilmente scontato: inseguono un sogno d’amore e ne escono sempre sconfitte; sedotte e abbandonate, il più delle volte perdono anche il frutto della loro carne. Le pagine del libro trasudano di una lingua potente e di uno stile sinestetico e crudo al tempo stesso: «le donne mandano un odore caldo che la pelle par sappia d’uva pesta e di raspo. Gli uomini sono accesi e badano ad aizzare le ragazze. L’aria è greve, sa di fumo, di sudore, di stalla, di letame, di fiato e di femmine accaldate».
L’obiettivo della denuncia della scrittrice triestina è la società benpensante che tollera, con sguardo distratto, le ingiustizie e le vessazioni subite dalle donne, a patto naturalmente che appartengano a classi sociali subalterne e non alla loro.
Di diverso tenore sono invece altri racconti, come l’ironico Vedovanze, che vede protagonisti due vedovi che si risposano, ma finiscono per essere gelosi dei ritratti dei coniugi morti, improvvidamente sistemati nella stanza da pranzo, l’uno di fronte all’altro.
Allo stesso registro attiene Il funerale di un benefattore, incentrato sulla sfarzosa e paradossale cerimonia funebre di un importante capitano d’industria, presidente di numerose istituzioni benefiche, nonché padre naturale di numerosi figli «seminati per il mondo come il grano».
Discorso a parte merita L’amore muto, il racconto che dà il titolo alla raccolta. Si tratta forse della storia più tagliente e disperata, dove la protagonista – Solazzi Letizia, nomen omen! – seguendo il consiglio malevolo di una «vecchia aggiustatutto», sposa un bel giovane armato di intenzioni serie che, alla prova dei fatti, si limita però a qualche bacio casto in fronte la sera, e a qualche stretta di mano la mattina. Dopo il tragico, prevedibile, epilogo, la vecchia al funerale, strizzando l’occhio alla giovane, la rassicurerà cinicamente: «Non ti disperare, figliuola, ci ho io della roba per te. E, questa volta, parola di sora Domenica, ti do uno che ci ha tutto quello che ti occorre».
Se, da un lato, il mondo descritto da Pia Rimini è lontano anni luce dal nostro, dall’altro conserva intatta la sua straordinaria attualità, in una società come quella odierna, ancora afflitta dalla piaga delle discriminazioni di genere e dal flagello dei femminicidi.