Realismo paradossale
da Penelope verso Elena fino a Heisenberg
Vorrei mostrare come, oggi, le narrazioni debbano deformarsi e vestirsi di paradossale per potere raccontare il circostante. Ogni narrazione, infatti, presuppone Eros e, quindi per natura, ha il potere dell’immaginazione e della bizzarria.
Negli ultimi due decenni del XX secolo fino all’inizio del decennio successivo, la produzione letteraria e la critica hanno alimentato un dibattito tutto italiano, segnato dalla transizione dall’ermeneutica – concettualizzazione di una realtà secondo un determinato pensiero filosofico – verso un «nuovo realismo»: infatti, la questione dei realismi è tornata forte e in tutte le forme di cultura da quando il berlusconismo si è imposto come specifico fenomeno antropologico politico dell’Italia, delle perversioni sociali (mafia e criminalità organizzata) e societarie (cambiamenti nei modi di vita, precarietà e globalizzazione).
La realtà umana è conoscibile, ma attraverso una nuova attitudine. Con un acuto senso, lo descrive Philip Roth, di dove viveva e chi e cosa lo circondava. Cronaca, storia, la fragilità dell’individuo, sono la coabitazione del paradosso e del mostruoso; sono la «curvatura» dell’occhio e della percezione – nella scrittura, la commistione di generi letterari.
Dopotutto, narrativa e poesia sono indagini del mistero della vita. Dalle contaminazioni di Anne Carson a quelle di Pier Vittorio Tondelli – nella tradizione dei Cultural Studies – poesia, narrativa, saggio si mescolano. Le strategie di disorientamento, attraversamento e sconfinamento della realtà (autobiografia, documento, cronaca, storia) sono gli strumenti possibili per ristabilire un certo valore etico intrinseco ai testi scritti e ribaltare le prospettive consuete. Attraverso una nuova selva, la narrazione espande la realtà di ombre e di luci: un immaginario che è come cosa salda. In fondo, nessun giornale praghese ha mai riportato la notizia della trasformazione di un uomo in scarafaggio. Eppure, sappiamo, che non c’è racconto più autobiografico e vero di La metamorfosi. Attraverso il filtro letterario l’incredibile emerge e rappresenta una nuova verità.
Come in un sogno, l’intreccio è superiore a ogni fantasia. Si schiudono simboli e metafore universali attraverso le narrazioni di relazioni biografiche individuali. Sensibilità e fenomeni collettivi della vita di ognuno, deformati come nel sogno, come un uomo che diventa insetto. Una realtà possibile, una interpretazione plausibile del vivente: la probabilità che il nostro occhio veda una rivelazione di qualcosa che non avevamo ancora scorto.
L’ibridazione tra realtà e virtualità del contemporaneo è un elemento indispensabile e ricco. La dimensione fantastica, distopica o onirica – o degli incubi della modernità – non «de-realizza» l’esistente, piuttosto lo apre a nuove prospettive: le storie sono nuove rotte, attraverso le quali l’arte trasforma la realtà delle immagini dei media, la sovverte e ce la porge come strumento di reinvenzione critica dei tempi moderni.
Lo scrittore, per questo, esige uno sguardo doppio, un formicolio sotterraneo doppio come quello del principe Myškin, perché è ancora in qualche modo nel sogno, ma non lo è più. Conosciamo la bellezza come l’istante nel suo avverarsi, ma siamo già a un passo d’addio da essa – il verificarsi dell’esistere. Doppia coscienza e sogno; nella scrittura sono finzione: perché un poeta que chega a fingir que é dor, a dor que deveras sente. Scrivere la double souffrance tra veglia e sonno, perché nel sortilegio del tempo che crea il sogno, lo scrittore mischia le acque dolci e salate, il passato e il futuro, alla foce del presente, la bocca marina dell’ignoto. I sogni, del resto, hanno doppie porte (sunt geminae somni portae), quelle che al risveglio raccontiamo come interpretazioni, come un problema che rimane irrisolto, per la vita. Sul ciglio d’ogni quotidiano abisso c’è lo spettro luminoso delle nostre interpretazioni: la narrazione è la casa salvata sull’orlo del precipizio e quindi inabitabile se non in sogno, ovvero con un gesto di parola e musica. Scriveva Cristina Campo che bisognerebbe raccogliere la vita nella pietà di un verso come i Santi, nel loro palmo, le città turrite.
Every exit is an entrance. La scrittura entra dal lato del sogno ed è terribilmente consolante. Narrazione e sogno non rispondono a nessuno per etica e morale, sono penetrabili in qualsiasi modo e da qualsiasi parte, chiaro. Eppure, sono mascherati e incogniti nella propaganda della veglia, nella stessa casa dove abbiamo dormito. Narrazione e sogno sono una rivelazione momentanea, come in una fotografia, si nasconde e ci evita nella veglia perché è meglio nascondere – nel senso comune.
Dopo aver viaggiato nella direzione del sogno attraverso la narrazione, ci si sveglia in una realtà più reale della veglia. Come un analista Lacaniano, si nuota un lago notturno, si scopre una luna che è un buco per scappare e rivelare la continuità tra la veglia e il sonno. L’incognito, dalla notte al giorno, cambierà la vita del dormiente.
Il peso delle arance che bucano un sacchetto di carta è oggettivo. Il vuoto delle cose prima ancora che noi le utilizziamo, la realtà prima della sua efficacia, avviene nel sonno. Ce l’avevano descritto Virginia Woolf (Thomas S. Eliot era stato il suo araldo) e James Joyce.
Infatti, bisogna rimanere legati al modernismo. Perché il romanzo è il mezzo per raccontare la smorfia del nostro viso quando una luce ci abbaglia. Raccontare la sofferenza di un bambino a costo della felicità di tutta l’umanità. Non si tratta del cinismo postmoderno, che gioca impotente nel caos dell’inverosimile. Ma della scoperta di una luna pirandelliana: una verità più perturbante della tragedia raccontata dalla cronaca.
If I could catch the feeling I would. Il mondo reale canta prima del risveglio. Infatti, Socrate era rimasto in silenzio nel Critone. I could go like a spy without leaving this place. Come in un sogno, lo scrittore guarda il reale attorno e lo racconta. Per indicare la soglia, l’esatto limite, tra qualcosa e niente. Lo scriveva il lirico greco, non l’abbiamo scoperto noi. E poi anche Mrs Dalloway aveva testimoniato che si può sognare, in contemporanea, l’uno dell’altro. Ancora prima, Odisseo e Penelope, lontani anni e miglia, erano entrati l’uno nel sogno dell’altro. Rivelavano un’unica coscienza nel racconto del loro sogno. I sogni sono doppi, alcuni sono veri, alcuni sono falsi. Ma, quali?
La narrazione è tra parola e assenza, tra respiro e apnea. Una decostruzione del reale. Sul confine dove nasce il desiderio – eros – ovvero, nella solitudine. La narrazione è nello spazio aperto tra sogno e veglia, dove immaginiamo senza toccare. Eros è un verbo. Perché desiderare è far morire una parte di sé. Una questione identitaria. Il confine della carne. La narrazione è il desiderio che la tua mancanza sia la mia mancanza. Un problema di espropriazione. Perché la narrazione è una nuova conoscenza di possibilità, quindi di tutto ciò che manca nel mondo reale. Che vi fosse una connessione tra eros e narrazione l’aveva ricordato Anne Carson e ci ricorda che lo aveva già detto anche Dante, per bocca di Paolo e Francesca: il libro e il suo autore erano stati il magnaccia del loro amore.
Bruno Snell scrive che la società greca è la prima formazione nel mondo occidentale di una coscienza del sé e di una personalità che si autocontrolla. Anne Carson ravvisa il passaggio nella nascita dell’alfabeto greco, quando i lirici hanno portato sulla pagina la scienza del dolore di ogni separazione, sia quella tra una sillaba e un’altra, sia quella tra un sé e un altro sé, sia tra l’amante e l’amato. Il ponte tra narrazione, sogno, realtà ed eros è questo: l’immaginazione. Il gesto dell’immaginazione è il romanzesco. Il collasso dell’ordinario è il metodo di comprensione e ha un nome nel romanzesco: realismo paradossale.
Il romanzesco è un angolo cieco dal quale vedere il mondo. Il nuovo realismo sostiene l’esperienza del paradosso per una storia che dura centinaia di pagine, attraverso dispositive e trabocchetti. Dal reale al possibile: istituzionalizza lo stesso trabocchetto di eros. L’interazione infinita tra amante, amato e la distanza incolmabile tra di loro è la finzione costruita dalla mente dell’amante. La fantasia erotica racconta la sua storia alla mente. In fondo, non è erotico leggere? Come il desiderio che è immaginare una possibilità, leggere è il gioco dell’immaginazione oltre i limiti del percepibile. Eros e le parole hanno stessi attributi, dopo tutto: ali e respiro. Residui dell’immortale. Qualsiasi storia comincia in questo modo: la «necessità di crescita delle ali», almeno i greci la chiamavano così.
Siamo nell’era che lascia Penelope per andare verso Elena. Posto che la bellezza è una particolare distribuzione della luce. In quest’epoca del desiderio, solo la bizzarria parossistica, l’impossibile immaginato può lasciare emergere una verità più ampia. Può risultare più realistica della verosimiglianza. Dunque, la narrativa ha la possibilità di appropriarsi della forza del paradosso per raccontarci l’esperienza indiretta collettiva delirante, e reinventare una nuova prospettiva critica dei tempi moderni. Il dispositivo del desiderio di ogni narrazione nasce dal principio di indeterminazione di Heisenberg. È anche il cuore di ogni traduzione. Ci sono, infatti, delle conoscenze che non possono essere trattenute dalla nostra mente simultaneamente: per esempio, dice Heisenberg, la posizione di una particella e la sua velocità. E due fenomeni contraddicono il principio, o meglio, lo capovolgono per confermarlo: questi sono, eros e immaginazione. Nei loro luoghi, che sono quelli della narrazione, il tempo salta e il presente si ripete all’infinito. Come il filosofo kafkiano che si interessa solo della trottola nell’attimo nel quale essa gira. Come in quantistica, così nella narrativa moderna, possiamo spiegare il reale solo se il sistema non viene descritto singolarmente – da una sola prospettiva verosimile – ma come sovrapposizione di più sistemi – ciò che osserviamo di un sistema in un istante determina simultaneamente il valore anche per gli altri.
di Viviana Fiorentino