“Squali al tempo dei salvatori”
«Essere me, e poi di colpo qualcosa di molto più grande di me»
In lontananza, in cima al versante opposto della valle, era apparsa una lunga fila di luci tremolanti, che si alzavano e si abbassavano muovendosi lungo il crinale. Verdi e bianche, sfarfallanti, saranno state una cinquantina, e guardandole le riconoscemmo per quello che erano: fuochi. Fiaccole. Avevamo sentito parlare degli spiriti che marciavano di notte ma avevamo sempre dato per scontato che fossero solo una leggenda, parte di un inno a ciò che delle Hawaii era andato perduto.
Squali al tempo dei salvatori (Edizioni E/O, 2021), romanzo d’esordio di Kawai Strong Washburn, si apre così, con il racconto della notte in cui Nainoa, il personaggio motore della vicenda, è stato concepito. Era il 1995 e il regno delle Hawaii, dice la madre Malia, era già stato distrutto da tempo: i resort avevano già cancellato «il respiro delle foreste pluviali» e la terra aveva cominciato a chiamare. L’aveva fatto con una processione di spiriti, per il momento, e quella notte Malia e Augie fecero Noa,. L’utilizzo del verbo “fare” è connesso al misticismo primitivo che permea il libro: gli uomini e la terra sono composti dallo stesso materiale. Nainoa viene fatto come risposta a una fame di cambiamento che gli dèi antichi avevano manifestato in una serata apparentemente come tutte le altre.
Il libro di Kawai Strong Washburn è stato presentato come un romanzo familiare e lo è, in una certa misura, ma assume rilievo soprattutto perché prende un genere abbastanza codificato e tutto sommato riconoscibile e lo reinventa, sfumandone i confini. Il risultato è un esperimento originalissimo. Non è un caso che tra le riviste su cui Washburn ha pubblicato i suoi racconti ci sia anche McSweeney’s, fondata da Dave Eggers, autore di Opera struggente di un formidabile genio (Mondadori, 2001).
Eggers e Washburn, oltre ad aver esordito entrambi con un romanzo dirompente, incarnano alla perfezione una determinata tendenza della letteratura in lingua inglese contemporanea, intercettata soprattutto da Martina Testa.
Squali al tempo dei salvatori infatti è un libro che gioca sulla percezione della cosiddetta “americanità” di personaggi che sono – a tutti gli effetti – statunitensi. Quando i tre figli della famiglia Flores si allontanano dalle Hawaii per andare a studiare in un altro stato la loro diversità rispetto ai coetanei cresciuti sul continente è ancora più accentuata. Washburn racconta la tradizione, la superstizione e il folklore delle isole, usando come pretesto i poteri miracolosi di Nainoa; paradossalmente, però, proprio lui tra i tre sembra adattarsi meglio alla vita al di fuori delle Hawaii, nonostante sia stato cresciuto nella convinzione di essere un’emanazione degli spiriti che abitano le isole.
Il libro non ha una caratterizzazione esterna, ma più punti di vista scritti tutti in prima persona. I capitoli brevi contribuiscono a creare un effetto abbastanza persistente di sballottamento da una parte all’altra del continente, attutito da una sensazione di comunanza che il lettore percepisce e che viene confermata dagli stessi personaggi in rari momenti di illuminazione. Come sostiene Dean, il maggiore dei figli di Malia e Augie, Noa forse è speciale perché ha saputo cogliere qualcosa che né lui né Kaui hanno mai notato:
Penso che forse sono stato io a perdermela, ’sta cosa. Magari mi stava cercando, come ha fatto con Noa, e io non ho mai capito come rispondere.
Nonostante all’inizio la narrazione sembri incentrata su Nainoa, presentato come protagonista, a poco a poco il libro vira verso i suoi fratelli, che vengono dati alla luce da Noa, come fosse l’ennesimo dei suoi atti miracolosi.
Nainoa è un personaggio strumentale, inafferrabile. È il motore della storia: eppure, paradossalmente, i suoi pensieri non arrivano quasi mai al lettore nitidi come possono essere quelli di Kaui o di Dean o, ancora, dei suoi genitori. I suoi capitoli sono i più lirici del libro, piccoli gioielli di scrittura nei quali Washburn fa un uso molto intelligente delle sinestesie, restituendo disordinatamente le sensazioni di un essere umano al di là dell’ordinario.
C’erano dei colori che sentivo al tatto, aveva un fiume giallo catramoso di odio, figlio del crystal meth, che gli rombava nelle vene, e i ricordi frastagliati e rossi della rabbia che gli attraversavano il cranio come cumulonembi, colore che avevo già sentito tante altre volte – e nel mentre c’erano la verità delle mie mani, le compressioni sul petto, il sangue da spargergli in giro per tutto l’involucro che era il suo corpo.
Attraverso le vicende di Dean e Kaui filtra invece la riflessione sociopolitica sottesa a Squali al tempo dei salvatori.
Se quindi Noa all’interno del romanzo incarna la spiritualità, è con i suoi fratelli, Dean e Kaui, che Washburn indaga la sopravvivenza della cultura hawaiana, e quindi la spiritualità, a contatto con la realtà degli Stati Uniti. La cultura in cui i fratelli sono stati educati si scontra inevitabilmente con un altro stile di vita, proprio quello verso il quale Dean e Kaui credevano di aver teso da sempre. La verità è che, però, non ci può essere convivenza pacifica: solo lotta.
Washburn costruisce personaggi sfaccettati: in Kaui e Dean si trovano lo sportivo, lo studioso, l’omosessuale e l’eterosessuale, il criminale, lo scettico, il credente, il maschile e il femminile. Il meccanismo del romanzo porta i personaggi a inglobare elementi che all’inizio loro stessi percepivano come estranei. È una progressiva identificazione tra persona e territorio che culmina nel riconoscimento di una comunanza totale con la natura da parte del padre:
Io sono l’uomo chiamato Augie e sono il sangue che mi pompa dentro e sono la sabbia che ha preso vita dal soffio di tutti i nostri dèi e sono il fango umido della valle e sono il verde che da quel fango cresce. Sono la sponda la risacca del mondo sottomarino e lo schianto di quando si ribalta l’onda. Sono l’atmosfera che scalda le nubi e sono la pioggia fresca che la terra assetata reclama. Sono la tensione che guida il braccio di chi trova la strada di chi pianta di chi intaglia. Sono il ritmo che guida i fianchi dell’hula. Sono la scintilla che mette in moto il cuore del bambino e sono l’ultimo battito di quello vecchio.
Con Squali al tempo dei salvatori è ancora più vero quel che si dice riguardo la sospensione dell’incredulità. È uno dei casi, credo, in cui è necessario parlare in termini di affinità elettiva. Nonostante si sia parlato spesso di «realismo magico», credo che al romanzo di Kawai Strong Washburn questa etichetta stia stretta.
Spesso, la mia sensazione, complice l’uso della prima persona, è che gli eventi siano ingigantiti e deformati dall’immaginazione dei membri della famiglia Flores – non a caso la narrazione inizia con Malia che parla della propria leggenda personale, riconducendo tutti gli eventi miracolosi alla dimensione familiare.
Al di là delle rigide categorizzazioni e di tutti i tentativi di incasellamento, del libro di Washburn restano impressi la sua incredibile capacità di mimesi delle sensazioni e la malinconia vischiosa che caratterizza il finale, come a suggerire che la comunanza tra uomo e natura non si estingua lì ma sia reale, anche solo per chi capisce cosa, e quando, rispondere.