Federico Musardo
pubblicato 1 giorno fa in Storia

Terrore bizantino: Andronico Comneno

Terrore bizantino: Andronico Comneno

Quando – e se – si pensa all’impero bizantino, forse lo si fa soprattutto limitandosi ai primi secoli della sua esistenza e da una prospettiva eurocentrica, quella della scuola. Si fa un grande salto da Costantino (274-337) a Giustiniano (482-565), oppure si mette in luce la sua solenne caduta, quando gli ottomani dopo decenni di tentativi riuscirono a espugnare le mura della capitale.

I secoli di questo impero al crocevia tra oriente e occidente, un po’ greco e un po’ romano, restano abbastanza oscuri, eppure il susseguirsi di dinastie e imperatori nasconde vicende curiose e aneddoti memorabili anche per chi non è appassionato di storia.

Alcuni riguardano Andronico Comneno, un imperatore che pur regnando solo due anni ha stravolto la vita dei bizantini della sua epoca, un personaggio eccentrico e violento, cinico e intransigente, che sembra uscire da una tragedia shakespeariana – per il suo Tito Andronico, secondo alcuni Shakespeare si sarebbe ispirato a lui – o da un romanzo nero.

Verso la fine dell’XI secolo, in un clima di crisi e incertezze, parte del popolo e dell’aristocrazia odiava le personalità che tenevano le fila dell’impero, formalmente governato dall’adolescente Alessio II, in realtà retto da un nipote dell’imperatore precedente, Alessio Comneno, designato dall’imperatrice madre Maria di Antiochia. La situazione famigliare del giovane imperatore era insomma piuttosto intricata e precaria. I dissidenti imputavano la decadenza bizantina alle politiche eccessivamente ispirate al mondo occidentale, ma non riuscirono a organizzarsi finché un signore di mezza età con tante esperienze pittoresche alle spalle non decise di proporsi come alternativa all’imperatore.

Da un vagabondaggio all’altro, Andronico era un pettegolezzo ambulante: le sue vicissitudini amorose, a Bisanzio, erano di dominio pubblico, tanto che alla sua infaticabile ricerca di amanti viene fatta risalire l’immagine delle corna, perché sarebbe stato solito affiggerne un paio sulle porte delle donne che aveva sedotto. Oltre che da tale disinvoltura, questo libertino ante litteram era spinto da una grande ambizione e, a quanto pare, aveva fantasie di dominio già da quando si era affacciato alla scena politica della città. Ostrogorsky ce lo descrive come uno stratega che anacronisticamente potremmo considerare machiavellico, che «non disdegnava alcun mezzo ed era assolutamente privo di scrupoli» (Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, trad. di Piero Leone, Einaudi 2014, p. 357).

Su un piano ideologico, Andronico si opponeva a ogni decisione politica che strizzasse l’occhio agli occidentali, e perciò spesso si scagliava contro i membri dell’aristocrazia feudale. Intorno alla sua figura, partita alla riscossa dall’Asia minore, confluirono tutti coloro che per le ragioni più disparate non accettavano il sistema.

A Bisanzio dall’entusiasmo per l’usurpatore scaturì una rivolta contro i latini che provocò una violenza diffusa (maggio 1182). Le loro case vennero saccheggiate e chi non aveva fatto in tempo a fuggire venne giustiziato sul posto, inclusi i numerosi mercanti italiani che, soprattutto dalle Repubbliche marinare, erano giunti lì in cerca di fortuna.

La distanza culturale tra Oriente e Occidente e la reciproca diffidenza, radicate ben prima dello scisma tra le due chiese (1054) e acuite dopo le crociate e la nascita dei principati cristiani, trovavano ora una legittimazione ideologica, venivano strumentalizzate a fini propagandistici.

Prendendo come pretesto la difesa dello Stato, Andronico si sostituì al giovane imperatore Alessio II ed emise diverse condanne a morte, tra cui quella dell’imperatrice madre Maria, firmata dallo stesso Alessio. Nel settembre, l’ormai vecchio Andronico si fece incoronare co-imperatore. Passati solo due mesi, però, alcuni suoi uomini di fiducia strangolarono Alessio II e ne gettarono il corpo in mare.

Andronico porterà avanti una politica parecchio contraddittoria, perché per contrastare la corruzione e le derive dei funzionari bizantini – su tutte la compravendita delle cariche – trasformò l’impero in un luogo di terrore.

Anche se sotto il suo governo la situazione economica dei sudditi migliorò, la lotta contro la nobiltà venne portata avanti senza nessuna compassione verso gli avversari, sottoposti alle torture più atroci. Alcuni vennero impiccati insieme allo stesso albero, altri vennero privati delle dita, delle mani o degli occhi. L’imperatore vanificò ogni aspirazione alla giustizia, il motivo per cui sulle prime era stato osannato dal popolo. Si passava da una violenza all’altra, in una spirale di crudeltà. L’impero dunque attraversò un biennio segnato da continue sommosse e congiure.

L’intransigenza e i sospetti dell’imperatore diventarono sempre più capillari, nonostante le fondamenta del suo esercito fossero ancora rappresentate dallo stesso eterogeneo gruppo sociale degli aristocratici che continuava a decimare. E il paradosso beffardo è che Andronico, apparentemente il difensore ideale della cultura bizantina, contribuì a isolare il suo popolo e ad affossarlo. Mentre le lotte intestine laceravano la capitale, all’estero il re ungherese Béla III e Stefano Nemanja, poi figura centrale della storia serba, conquistavano territori su territori – per esempio la Dalmazia e la Croazia – e si coalizzavano contro di lui violando i confini di un impero che cominciava a sgretolarsi.

Andronico perse prima Cipro, dove venne instaurato un regime tirannico che la proclamò indipendente, poi Durazzo e Tessalonica (giugno 1185), espugnate dall’esercito normanno, infine le isole di Corfù, Cefalonia e Zacinto, sempre a causa degli stessi invasori. Da Tessalonica, dove gli abitanti vennero torturati e assassinati, la maggior parte della schiera normanna si diresse verso Costantinopoli. Lì intanto il terrore incontrollato per la minaccia nemica aveva raggiunto il culmine e infuriava la rivolta.

In questo clima di estrema violenza, la morte dell’imperatore fu impietosa: il 12 settembre del 1185 venne brutalmente mutilato dalla folla, non prima di essere stato legato a un palo e percosso per tre giorni, con la mano destra recisa, i denti e i capelli strappati, il viso deturpato dall’acqua bollente, e non prima di essere stato appeso a testa in giù all’Ippodromo di Costantinopoli, trafitto dalle spade dei soldati.