Tristezza e pazzia nella figura di Ofelia
Rimbaud riadatta Shakespeare. Guccini riadatta Rimbaud.
– Alexandre Cabanel, “Ophelia”, 1883-
Siamo abituati a conoscere Ophelia nella raffigurazione mitica shakesperiana, come un personaggio importante per la storia di Amleto.
Nell’Ottocento Ofelia è già diventata un’eroina , con una levatura morale da renderla centrale nello scenario poetico ed artistico; tanto da ispirare il maledetto Rimbaud.
C’è un Ophelia lontana dal mito nei versi del poeta, satura di estetica simbolista, splendida in tutta la sua decadenza.
All’Ophelia di Rimbaud si contrappone l’Ophelia di Francesco Guccini, il quale rielaborare questa eroina con dei tratti meno dettagliati ma ricchi di suggestione.
Sarà importante tracciare le fattezze e i lineamenti di queste “due “ Ophelie, trasposte in due secoli diversi, per vedere nelle linee su quali punti i due poeti fanno luce.
È il 1870 quando il sedicenne Rimbaud inizia a tracciare di questa donna. La similitudine con il giglio apre quest’ode:
“Sull’onda calma e nera dove le stelle dormono
fluttua la bianca Ofelia come un gran giglio, fluttua
lentissima, distesa sopra i suoi lunghi veli…
– s’odono da lontano, nei boschi, hallalì.
Da mille anni e più la dolorosa Ofelia
passa, fantasma bianco, sul lungo fiume nero; “
Forti sono i tratti coloristici: “bianca Ofelia” (vv. 2), “fantasma bianco “ (vv. 6), “fiume nero” (vv. 6).
La descrizione mira inizialmente ad una rappresentazione fisica, piena di grigiore e pallore tanto da farla assomigliare ad un fantasma.
Successivamente al pallore, il poeta si sofferma sull’aspetto più umano : la tristezza. Ophelia smette di essere folle, smette di essere icona ed eroina. Finisce, per Rimbaud, di essere mito.
Una donna umana in tutta la sua tristezza e il suo dolore. La tristezza di Ophelia è implacabile, da irradiarsi in tutto il paesaggio circostante. Una natura partecipe al suo dolore
“[…]
Le piange sull’omero il brivido dei salici,
S’inclinano sulla fronte sognante le giuncaie.
Sgualcite, le ninfee le sospirano intorno; […] “
Francesco Guccini invece di anni ne ha 30 quando esce l’album “Due anni dopo” contenente appunto la celeberrima canzone “Ophelia” . È il 1970. Esattamente un secolo dopo. Inutile sottolineare che proprio al Maestrone di Pavana , il testo di Rimbaud fosse capitato tra le mani.
Un secolo da quando, il fanciullo Rimbaud, mette mano su una delle donne più amate della produzione shakesperiana.
L’Ophelia gucciniana è solamente ed unicamente “vestita di bianco”. Qui le suggestioni coloristiche non sembrano definire i tratti della fanciulla. Ofelia è” Dolcissima”, prima che la follia , i colori, i pensieri e la morte possano colmarla di tristezza. Un Ofelia piccola, quasi fanciulla.
“[…]
la piccola Ophelia vestita di bianco
va incontro alla notte dolcissima e scalza.
Nelle sue mani ghirlande di fiori
nei suoi capelli riflessi di sogni
nei suoi pensieri i mille colori
di vita o di morte, di veglia o di sonno. “
Il pallore dell ‘Ophelia di Rimbaud contrasta perfettamente con il fiume nero in cui si adagia. E continua:
“ […]E il tuo cuore ascoltava la Natura cantare
Nei sospiri della notte, nei lamenti dell’albero;
Poi che il grido dei mari dementi, immenso rantolo,
Frantumava il tuo seno, fanciulla, umano troppo, e dolce;
Poi che un mattino d’aprile, un bel cavaliere pallido
Sedette, taciturno e folle, ai tuoi ginocchi! “
Anche il “Il grido dei mari” che si trasforma con un climax in un” rantolo “inebria il cuore di un ‘Ophelia troppo dolce, quasi folle.
“Ophelia che vedi dentro al verde dell’acqua del fossato
nei guizzi che la trota fa cambiando di colore?”
E così anche in Rimbaud Ofelia abbandona ogni logica per abbandonarsi all’acqua.
“Cielo! Libertà! Amore! Sogno, povera Folle!
Là ti scioglievi come neve al fuoco “
E da ghiaccio ritorna acqua. Con un “Tu” informale e confidenziale che portano autore e personaggio sullo stesso piano conoscitivo. Ophelia è sinonimo di Follia. Il poeto torna circolarmente al tema della notte e delle stelle ed alla propria esperienza, al suo personale racconto.
“- E il Poeta racconta che al raggio delle stelle
Vieni, la notte, a prendere i fiori che cogliesti,
E che ha visto sull’acqua, stesa nei lunghi veli,
Fluttuare bianca come un gran giglio Ofelia. “
Lo stesso finale sembra raccontarci Guccini :
“Quali parole son sulle tue labbra?
Chi fu il poeta o quale poesia?
Lo sa il falcone nei suoi larghi cerchi
o lo sa sol la tua dolce pazzia?
Ophelia la seta e le ombre nere ti avvolgono leggere
ma dormi ormai e sentirai cadenze di liuto.”
Entrambe le Ophelie ora sono avvolte tra dei veli bianchi che fluttuano nell’acqua come gigli.
I versi seguono il moto dell’acqua, come di un’onda.
Se l’Ofelia di Guccini è già caratterizzata dalla follia, nell’Ophelia del poeta decadente, l’acqua preannuncia la follia, l’acqua ha già i tratti di un abisso.
Un moto dell’acqua folle che sembra diventare tutt’uno con un folle moto del cuore.
“In questa forma
passa la bella donna, e par che dorma. “
Questi ultimi versi, tra l’altro, richiamano l’episodio della morte di Clorinda descritto dal Tasso:
D’un bel pallore ha il bianco volto asperso,
come a’ gigli sarian miste viole,
e gli occhi al cielo affisa (…)
(…) e la man nuda e fredda alzando verso
il cavaliero in vece di parole
gli dà pegno di pace. In questa forma
passa la bella donna, e par che dorma.
(Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, c. XII, st. 69)