Tutte le stagioni di Ali Smith
Nessuno sa raccontare il presente come Ali Smith. E, soprattutto, nessuno sa raccontare il futuro come Ali Smith.
Nel terzo volume della fortunata tetralogia dedicata alle stagioni, Spring, edito in Inghilterra nel mese di marzo scorso, Smith è riuscita persino a prefigurare l’avvento di una ragazzina di dodici anni, Florence, che sembra essere il perfetto alter ego di Greta Thunberg. Lei, per sviare i sospetti di chi la crede veggente, afferma di essersi ispirata all’Antigone di Sofocle.
Il successo dell’opera della scrittrice scozzese – quattro volte finalista al Booker Prize – risiede proprio nella rinnovata capacità di raccontare la realtà contemporanea. Un critico del New York Times ha definito Autunno «il primo romanzo post-Brexit» cantando le lodi di Ali Smith come della più importante autrice britannica e – ottimisticamente parlando – futuro Nobel.
Viviamo in un’epoca caotica e frammentata, di cui il Regno Unito negli ultimi tempi pare offrire una rappresentazione emblematica: persino il principe Harry rinuncia al titolo reale e sembra fuggire da un Paese ormai irrimediabilmente chiuso nel proprio arcaico conservatorismo. La vicenda di Windsor e consorte sarebbe il materiale perfetto per un romanzo di Ali Smith, narratrice infaticabile della contemporaneità, che probabilmente nell’ultimo capitolo del suo quartetto dedicato alle stagioni potrebbe rifilarci un’arguta riflessione sullo stato della monarchia inglese.
I libri della Smith sono diventati un punto di riferimento per interpretare i tempi burrascosi in cui siamo immersi; attraverso le sue storie l’autrice è riuscita a creare un potente concentrato delle problematiche attuali: dall’uso dei social ai cambiamenti climatici, il tutto condito con uno stile letterario raffinato che si ispira ai grandi classici, da Shakespeare a Dickens.
In Italia finora sono stati pubblicati soltanto i primi due volumi della celebre tetralogia, rispettivamente Autunno e Inverno (edizioni Sur), in attesa del terzo, Primavera, che uscirà a marzo 2020. Titoli stagionali e copertine accattivanti hanno spopolato nel mondo dei social network, in particolare su Instagram dove i libri della Smith si ritrovano abbinati a tisane, tazze colorate, gadget e maglioni seguendo l’opportuno trend stagionale. Ma al di là della ben riuscita confezione editoriale, i romanzi di Ali Smith meritano una riflessione più attenta e approfondita, maggiore spazio di argomentazione di quanto possa darne una foto esteticamente attraente corredata da una breve didascalia. Con la narrativa della Smith sta cambiando lo status della letteratura contemporanea: ci troviamo di fronte ad una scrittura sperimentale che alterna storie, riflessioni e dialoghi eterogenei, mescolando il tutto con arguzia e originalità fino a creare una specie di rebus da risolvere. Il lettore si trova di fronte a giochi di parole e perifrasi illuminanti – ancora più evidenti nella versione inglese – che si impongono alla sua attenzione e sembrano ricordare sfacciatamente la regola base di tutta la letteratura: le parole hanno un peso. Questo sembra dirci Ali Smith con i suoi incipit folgoranti, eccentrici, ritmati come spartiti musicali: le parole hanno un peso, soprattutto in questo nostro sciagurato terzo millennio infarcito di disinformazione, volgarità, pressapochismo.
C’è del genio nelle pagine di questa estrosa autrice scozzese e, allo stesso tempo, una profondità in grado di toccare corde vibranti della percezione collettiva. È una scrittura che pone tanti interrogativi, che ci induce a riflettere con cognizione di causa sulla realtà incerta che ci circonda e cerca di ricomporre i frammenti di questo presente in costante divenire.
Smith inizia a scrivere il primo volume della tetralogia, Autunno, il 21 giugno 2016 subito dopo aver appreso la notizia dell’esito del referendum sulla Brexit, sconvolta dalla piega nazionalista e conservatrice presa dal proprio Paese. Fin dall’incipit, infatti, il romanzo sembra rovesciarsi sul lettore come un fiume in piena, uno sproloquio politico, uno sfogo, un’inarrestabile valanga di parole che cerca, annaspando, di ricavare un ordine nel disordine più completo.
Era il tempo peggiore e il tempo peggiore. Di nuovo. Perché le cose a un certo punto questo fanno. Crollano. È sempre stato così e sempre lo sarà, è nella natura delle cose.
Un esordio magnifico e potente, che alle orecchie dei più esperti richiamerà A Tales of Two Cities di Charles Dickens. Ali Smith ha conseguito un dottorato sul postmodernismo in letteratura e, per un anno, ha tenuto la cattedra di letterature comparate presso l’Università di Strathclyde prima che la sindrome da affaticamento cronico la allontanasse dall’insegnamento. Il suo solido background culturale si riflette con acuta ricercatezza in tutti i suoi romanzi. La narrativa della Smith risente dell’influenza letteraria dei grandi autori inglesi, in una continua intertestualità di richiami e rimandi, una rete semantica che sembra suggerire al lettore l’idea che l’arte alimenti invincibilmente l’arte.
Il potere dato dalla lettura è un’altra delle tematiche che ritornano puntuali in tutte le opere smithiane: in Autunno è proprio la reciproca passione per i libri ad avvicinare i due protagonisti, la giovane Elisabeth e l’anziano vicino di casa, Daniel Gluck, due anime affini unite da profonde assonanze.
Bisogna sempre leggere qualcosa, disse lui. Anche quando non stiamo fisicamente leggendo. Altrimenti come facciamo a leggere il mondo? Pensala come una costante.
Attraverso lo scambio di battute tra i due personaggi si muove una narrazione in bilico tra passato e presente, che ci mostra i due volti cangianti di uno stesso mondo. Nel presente, Elisabeth è una ricercatrice universitaria precaria e Daniel un ultracentenario in fin di vita; nel passato, lei è una bambina curiosa e lui un intellettuale solitario che ritrova nella piccola vicina di casa l’interlocutrice più congeniale per le proprie trovate artistiche. Si sviluppano così dialoghi, sogni, riflessioni, digressioni storiche, un mondo caleidoscopico che sembra contenerne molti altri, in bilico tra vita e morte, tra arte e realtà, come un quadro surrealista. In duecento pagine la Smith ricostruisce un ritratto impeccabile della Gran Bretagna, dal Dopoguerra ai giorni nostri, servendosi degli sguardi “speciali” dei suoi protagonisti: due persone in grado di cogliere la vita nella sua essenza più profonda perché dotate di una sensibilità peculiare.
«Precarietà» sembra essere la parola d’ordine in questo libro che tende a rappresentare l’autunno in ogni sua sfumatura, come se fosse un sentimento o – ancora meglio – una sensazione che fuoriesce dalla carta stampata per infondersi nell’animo del lettore. La caducità del tempo che scorre prende corpo in pagine ricche di suggestioni e poeticità.
Memorabili i paragrafi dedicati alla Brexit, una sorta di contrappunto tra storia e Storia, pagine inedite in grado di descrivere il nostro presente con telegrafica chiarezza dando origine a un nuovo manifesto di pensiero:
In tutto il Paese c’era angoscia e giubilio. In tutto il Paese quello che era successo sbatacchiava qua e là come se il filo di un traliccio si fosse spezzato durante un temporale e ora si agitasse in aria sopra gli alberi, i tetti, le auto. In tutto il Paese la gente pensava che le cose fossero andate per il verso sbagliato. In tutto il Paese la gente pensava che le cose fossero andate per il verso giusto.
Nonostante sia ritenuta una delle più grandi scrittrici contemporanee, la Smith non sembra nutrire manie di protagonismo: non ha profili social e tende a starsene in disparte, evitando persino le apparizioni in tv. Potreste trovarla più facilmente nel salotto di casa sua mentre sfoglia un libro sulle farfalle e ricerca l’origine dei lemmi latini. In una recente intervista le è stato domandato:
C’è una cosa particolare che la letteratura dovrebbe fare?
Al che ha risposto con una scrollata di spalle:
Tutto, la letteratura dovrebbe fare tutto.
E lei, attraverso i suoi libri, vi riesce magnificamente: la sua scrittura riesce a contenere l’universale, persino le contraddizioni, persino le divergenze tra i punti di vista, la rabbia, il livore, la protesta, la tristezza. Ali Smith, scrivendo, compie una sorta di miracolo: riporta la frammentarietà, la confusione, il caos del presente a un’unità perfetta donando al tempo una forma narrativa. È un gesto etico, la letteratura che si fa interprete dell’attualità e coinvolge le persone in un discorso comune.
Non esistono prospettive limitate nei suoi romanzi; anzi, le prospettive sono talvolta così ampie che la narrazione non è in grado di contenerle e allora si fa episodica, frammentata, oscura come una poesia ermetica. La realtà è molto più ricca, complessa, sfaccettata di come la vediamo e, spesso, persino di come la raccontiamo: Ali Smith riesce a compiere il prodigio di raccontare la vita senza costringerla ad assumere una forma definita, ritraendola in evoluzione come in un dialogo inarrestabile del quale è impossibile prevedere l’ultima battuta.
Ogni romanzo può essere letto come una storia a sé stante, senza pretese di continuità. E ciascuno di questi libri, Autumn, Winter, Spring sembra spalancarsi come una finestra di verità sul nostro presente. Non importa che stia parlando di un Paese sconvolto da un referendum politico, del climate change o dell’inarrestabile evoluzione tecnologica, la Smith riesce sempre ad andare dritta al nodo della questione e a coglierla in tutta la sua complessità.
Nell’incipit folgorante di Inverno parafrasa ancora una volta Dickens in A Christmas Carol: «Dio era morto, tanto per cominciare», e ci immerge nella storia di una famiglia in procinto di riunirsi per il Natale in cui fa capolino, inaspettatamente, un’estranea; ma non solo, in questo libro appaiono anche teste fluttuanti, proteste contro Trump, dibattiti su Internet e l’uso della tecnologia, infine una cena che ricorda tanto uno degli episodi più memorabili di To the Lightouse di Virginia Woolf.
La lettura di Ali Smith è una sfida interpretativa a cui non ci si può sottrarre.
Attraverso i suoi libri ci insegna a leggere il mondo in cui viviamo e a credere nel cambiamento. Perché, come afferma lei stessa, noi umani siamo straordinari esseri metamorfici.