Una lettera della letteratura
Lord Chandos, sensibilità e lirica
Oggi ammiriamo il signor Hugo von Hofmannsthal, « interprete dell’autunno della vecchia Austria e della vecchia Europa ». 1
Vienna, fin de siècle.
I walzer e i caffè mondani nascondono i germi della decadenza, ammantando una mitteleuropa sull’orlo del baratro.
Hermann Bahr, dapprima naturalista, diviene simbolo di un modernismo inaspettato.
Il 1918 sarà l’anno in cui crollerà il glorioso impero asburgico, di cui Claudio Magris, celebre germanista, decanterà il mito.
« In Hugo Von Hofmannsthal confluiscono, nella loro espressione più sottile e più alta, tutti i motivi di quest’epoca» 2
Il crepuscolo di questa civiltà, madre di tanta Arte, merita un certo grado di reverenza.
L’interpretazione dei sogni è convenzionalmente datata 1900.
La psicanalisi plasma le coscienze di molti intellettuali, a partire dal soldato Musil, oltre ai “discepoli” freudiani tra cui, per la letteratura, spicca il nome di Arthur Schnitzler, grazie al quale la tecnica del monologo interiore ha avuto fortuna, autore del racconto Doppio Sogno, capolavoro psicanalitico a cui deve la fama, oltre che Il sottotenente Gustl, aspra dissacrazione dell’onore contraffatto, e La signorina Else, dove serpeggia una sessualità latente e manifesta tanto cara al padre della nuova scienza della mente, scienza tuttavia non ancora riconosciuta come tale.
Alcuni scrittori non tengono conto delle riflessioni scientifiche.
È il tempo della modernità viennesse ( wiener moderne, 1890-1910 ca), specchio di una civiltà che, logora e prossima alla fine, è proiettata verso il futuro, multiculturale, pronta a vivere una nuova vita.
Di questa apparenza elegante von Hofmannsthal è il vero protagonista; profondità spirituale, raffinato simbolismo, erotismo morboso, amore per la vita e pensiero per la morte.
Per farla breve parleremo di Ein Brief (trad. in La lettera di Lord Chandos), 1902.
Ne L’indecenza del segno, brillante introduzione al volume a cura di Magris, è da notare l’altrettanto brillante parallelo tra il Colloquio con l’ubriaco di Franz Kafka e questo racconto breve travestito da lettera, inviata, si immagina, al filosofo e pensatore Francesco Bacone.
Entrambe le opere presentano una situazione in cui « le cose non stanno al loro posto e la lingua non le dice più ».
È la cosiddetta « crisi del linguaggio ». L’impossibilità di una comunicazione autentica.
Le parole della lingua comune non riescono più a descrivere i fenomeni della realtà sensibile; Lord Chandos, l’emittente, non riesce a comunicare nulla, ha perso l’abilità di scrivere: egli rinuncia ( per sempre?) all’attività letteraria.
Significato e significante appaiono come scissi e la realtà materiale dell’oggetto prevarica la lingua naturale.
Non a caso il giovane Törless di Musil si stupirà constatando una « seconda vita delle cose » 3
Tante cose ancora dovrebbero essere dette.
È tutto da scoprire, meravigliosamente.
[…] E tutto è una sorta di febbrile pensare, ma pensare in un elemento che è più incomunicabile,
più fluido, più ardente delle parole. Sono vortici, ma a differenza dei vortici della lingua, questi non paiono condurre a sprofondare nel vuoto, bensì al contrario in qualche modo mi riportano in me stesso e nel più riposto grembo della pace […] 4
1 Marino Freschi, Storia della letteratura tedesca, Roma, Newton Compton Editori, 1995, p.81
2 Claudio Magris, Il mito asburgico, Torino, Einaudi editore, 1963, p. 215
3 Robert Musil, Die Verwirrungen des Zöglings Törleß, 1906, p.150, trad. in Italia per la prima volta da Giorgio Zampa, Milano: Lerici, 1959
4 Hugo von Hofmannsthal, Lettera di Lord Chandos, a c. di Claudio Magris, Milano, Rizzoli, p. 59