Uno scudo contro il caos: il saggismo di Robert Musil
Ogni cosa ha mille lati, ogni lato ha cento rapporti, e a ciascuno di essi sono legati sentimenti diversi. Il cervello umano ha poi fortunatamente diviso le cose, ma le cose hanno diviso il cuore umano 1
Sono le memorabili parole con cui Robert Musil, l’autore dell’Uomo senza qualità, descrive la frattura fra anima ed esattezza che caratterizza l’epoca moderna. Tale scissione si è generata a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, quando la seconda rivoluzione industriale ha originato uno straordinario progresso tecnico-scientifico. Forte di questo sviluppo, l’uomo si è illuso di poter finalmente dominare il proprio mondo, ma ha commesso un tragico errore di valutazione: le innumerevoli nuove acquisizioni che egli stesso ha prodotto, lo hanno travolto come un fiume in piena, generando il caos. Il cervello, allora – per riprendere le parole di Musil – le ha divise, ma la parcellizzazione dei saperi e la divisione del lavoro hanno diviso il cuore dell’uomo, riducendolo alla sua funzione economica e sociale, a una minuscola rotella dell’immenso ingranaggio di un sistema in cui è impossibilitato a dispiegare le sue facoltà. In questa società alienante e massificata, infatti, l’individuo è la sua professione; senza di essa, egli non è altro che un guscio vuoto:
“oggigiorno con la denominazione professionale e una piccola aggiunta si può dire l’essenziale su un individuo. (…) Al di fuori di queste connessioni l’uomo non può alzare il braccio o muovere un dito”. 2
La tecnica e la scienza possiedono in potenza la capacità di trasformare questa realtà impersonale e sclerotizzata, ma questa potenzialità non può tradursi in atto, in quanto gli ingegneri e i matematici, assorbiti anch’essi nel sistema della divisione del lavoro, non sono neanche sfiorati dall’idea di diventare loro stessi innovativi e spregiudicati come il mestiere che svolgono. Ulrich, il protagonista dell’Uomo senza qualità, constata come gli ingegneri siano indissolubilmente “legati alle loro tavole da disegno” 3 e si chiede come mai abbiano “un modo tutto speciale di parlare, rigido, impersonale, esteriore, che verso l’interno non va oltre l’epiglottide”4.
Un giudizio non meno severo riserva ai suoi colleghi matematici i quali gli appaiono “in parte come inesorabili e spietati sostituto-procuratori e commissari di pubblica sicurezza della logica, in parte come oppiomani, consumatori di una strana e pallida droga che popolava il loro mondo con visioni di numeri e di rapporti irreali”. 5
L’umanità, inoltre, nonostante il grandioso avanzamento tecnologico, continua ad aggrapparsi a concetti ormai storicamente superati: “il dominio pratico del mondo ha fatto progressi da capogiro (…) mentre il concetto di cultura che dovrebbe dominare il reale è rimasto antiquato” 6. Sussiste, insomma, quello che Musil chiama “un bilancio complicato” 7 fra le ideologie e la vita. Per far sì che questo bilancio torni in pareggio, è indispensabile creare concezioni nuove, consone ai tempi, attraverso i metodi rigorosi e spregiudicati della scienza: “noi non abbiamo troppo intelletto e troppo poca anima, bensì adoperiamo troppo poco intelletto nelle questioni dell’anima” 8. Si tratta, insomma, di trasporre la scienza nella vita: “se invece di concezioni scientifiche si dicesse condizioni di vita, invece di ipotesi tentativo, invece di verità azione, allora l’opera di un eminente fisico o di un illustre matematico supererebbe di gran lunga, in audacia e forza rivoluzionaria, le più grandi imprese della storia” 9. La scienza, tuttavia, è “incapace di metafora” 10, secondo una efficacissima definizione di Claudia Monti. “Metafora” deriva dal greco μεταϕέρω, “io trasferisco”. La definizione della Monti ci spiega, quindi, che la scienza non è in grado, da sola, di trasporti nella vita, in quanto essa, come abbiamo già visto, non può valicare i limiti specialistici entro i quali si è ormai fossilizzata. È a questo punto che entra in gioco l’arte. Musil parla di “letteratura come utopia” 11: essa diviene la sede in cui i modelli della scienza, calati nel contesto letterario, possono finalmente rivelare i loro molteplici significati nascosti, che si scoprono essere diametralmente opposti a quelli consueti.
Il contesto letterario in cui la scienza può andare oltre i suoi confini settoriali è il romanzo saggistico. Il saggio indaga la realtà senza pretendere di formulare su di essa concezioni certe e definitive. Esso, infatti, restituisce soluzioni solo parziali e temporanee: proprio queste due peculiarità fanno del saggismo il solo atteggiamento consono alla complessità di un mondo ormai sempre più policentrico: “più o meno come un saggio, che nella successione dei suoi capitoli considera un oggetto sotto molte angolazioni senza metterlo a fuoco nel suo insieme (…) così Ulrich credeva di poter considerare e affrontare nel modo più adeguato il mondo e la propria vita 12. Da queste parole emerge che il saggio è molto di più di un modello letterario: esso è un atteggiamento esistenziale, è lo scudo che Musil impiega per non cedere al caos della modernità. Il fatto che la realtà sia divenuta “un manicomio di Babilonia” 13 in cui “da mille finestre si urlano contemporaneamente al passante mille voci, pensieri, musiche diverse” 14, non significa che bisogna reputarla inconoscibile e rinunciare a imprimerle un senso. L’importante è che la ricerca di un significato non si dichiari mai conclusa.
Torniamo ora al romanzo saggistico. Esso dissolve il classico ordine narrativo, definito un “accorciamento prospettico dell’intelligenza” 15, dato che la realtà è divenuta talmente complessa da rendere patetico ogni tentativo di rinvenirvi un andamento lineare e consequenziale. Il grande scrittore austriaco rivela la natura illusoria degli “allorché” , dei “prima che” e dei “dopo che” 16 a cui l’uomo fa ricorso nel vano tentativo di districare l’inestricabile. Ma come è possibile scrivere un romanzo, facendo a meno dell’ordine narrativo tradizionale? Musil sostiene che la sua arte è eroica, poiché, a differenza Joyce, egli non si arrende alla disgregazione che vede attorno a sé, ma la prende a oggetto 17: in ciò sta l’assoluta grandezza e originalità del capolavoro musiliano. Nell’Uomo senza qualità, infatti, non scompaiono affatto le strutture narrative tradizionali, quali ad esempio l’Io narrante. Non vi è, infatti, alcun monologo interiore in luogo di un narratore onnisciente. Altri elementi della tradizione, invece, vengono mantenuti solo per essere svuotati di senso: pensiamo alla narrazione pressoché inesistente, inghiottita da continue digressioni, oppure all’Azione parallela, che sembra essere il motore di tutto il romanzo, ma fin dall’inizio è chiaro che essa si risolverà in un clamoroso fallimento; inoltre dal primo capitolo sappiamo che non c’è nessun riferimento ad un luogo ben preciso: “sopravvalutare la questione del dove ci si trova, è retaggio dell’epoca in cui l’individuo era membro di un’orda e doveva tenere a mente dov’erano i pascoli” 18. Per quanto riguarda il riferimento temporale, ossia “era una bella giornata d’agosto dell’anno 1913” 19, esso si disperde nella descrizione metereologica della giornata stessa, con la quale ha inizio il capolavoro musiliano.
Tutte queste caratteristiche fanno dell’Uomo senza qualità un’opera assolutamente unica nel panorama della letteratura novecentesca.
Articolo a cura di Antonietta Mestice
Bibliografia:
1 Robert Musil, L’uomo senza qualità, Mondadori, Milano, 1992, vol. I., p. 87.
2 Id., L’uomo tedesco come sintomo, Pendragon, Bologna, 2014, p. 50.
3 Robert Musil, L’uomo senza qualità, cit., vol. I, p. 47.
4 Ibid.
5 Ivi, p. 59.
6 Id., Il declino del teatro, in Id., Sulla stupidità e altri scritti, Mondadori, Milano, 1997, p. 144.
7 Id., L’uomo senza qualità, cit., vol. I, p. 415.
8 Id., Europa inerme, cit., p. 49.
9 Id., L’uomo senza qualità, cit., vol. I, p. 50.
10 Claudia Monti, Parole spostate e parole sospese, in Ea, Musil. La metafora della scienza, Tullio Pironti, Napoli, 1983, p. 176.
11 Robert Musil, Diari, Einaudi, Torino, 1980, vol. II, p. 1410.
12 Ivi, pp. 339-341.
13 Id., Europa inerme, Moretti&Vitali, Bergamo, 2015, p. 45.
14 Ibid.
15 Ivi, p. 893.
16 Ivi, p. 892.
17 Cfr. Id., Saggi e lettere, Einaudi, Torino, 1995, p. 732.
18 Id., L’uomo senza qualità, cit., vol. I, p. 8.
19 Ivi, p. 7.