Claudio Pennisi
pubblicato 9 anni fa in Letteratura

Viaggio al termine della notte

Céline e la vita che diventa tragicommedia

Viaggio al termine della notte

20031_aj_m_3521Pochi libri hanno avuto lo stesso impatto e il medesimo peso di Voyage au bout de la nuit (in italiano Viaggio al termine della notte) di Louis-Ferdinand Céline, pseudonimo del medico Louis Destouches. Uscito nel 1932, fece subito scandalo, scatenando un acceso dibattito (anche politico) nell’opinione pubblica, certamente per i suoi contenuti anticonvenzionali e antiborghesi, ma pure per lo stile nuovo e travolgente che Céline aveva dato alla sua narrazione.

Partiamo dalla trama. Il protagonista è un giovane e svogliato studente di medicina parigino, Ferdinand Bardamu – un alter-ego dello stesso Céline, che, dopo un discorso fortemente antipatriottico con un amico, improvvisamente (e inspiegabilmente) decide diVoyage-au-bout-de-la-nuit-illustre-par-Tardi arruolarsi nell’esercito francese e di partecipare alla Prima Guerra Mondiale. Questo schema si riproporrà più volte nel romanzo: Ferdinand agisce impulsivamente e finisce per compiere degli errori, ritrovandosi spesso ad affrontare situazioni più grandi di lui, che forse neppure desiderava e dalle quali proverà in tutti i modi a fuggire. Percepisce il mondo e gli altri, finanche se stesso, come suoi nemici, come tasselli di una vita che spesso sfocia nell’assurdità più totale. Tutte le avventure di Bardamu si risolvono in delusioni: la guerra si rivela un’inutile mattanza di poveracci mandati a morire per niente; l’Africa coloniale è un mondo depredato e corroso, difficile e ostile, che quasi gli costa la vita; il viaggio negli Stati Uniti si conclude in un nulla di fatto: New York gli riesce quasi incomprensibile, Detroit e il suo lavoro in fabbrica lo stordiscono – e qui la descrizione dell’industria e del ciclo di produzione sembra quasi anticipare Tempi Moderni di Chaplin. E poi c’è il ritorno in Europa: prima la permanenza nel quartiere popolare di Rancy come medico, quindi il lavoro come maschera al Tarambout (un cine-teatro) e infine l’impiego presso il manicomio di Vigny-sur-Seine. Ma deludere e a corrompere sono anche e soprattutto le persone, specialmente le donne che egli incontra e con cui crede di poter avere delle relazioni: l’americana Lola, la sfuggente Musyne, l’ipocrita Madelon; o pure altri personaggi, non legati ad una sfera sentimentale: ad esempio la coniuge Henrouille, che con la connivenza del marito tenta in ogni modo di sbarazzarsi della suocera, trascinando lo stesso Bardamu in un vortice di miserevoli macchinazioni. Se esiste il Male, cioè l’egoismo, vi è però anche il Bene, ovvero l’altruismo: le figure di Alcide, sottufficiale coloniale che invia del denaro in Francia a una nipote che non ha mai visto, di Molly, prostituta dal cuore dolce e nobile, e del piccolo Bébert, sfortunato bambino di periferia, sono davvero riuscitissime, e squarciano – almeno per pochi, intensi momenti – il velo di tenebra e menzogna dell’umano vivere, offrendo un raggio di luce alla perenne notte céliniana. Difficilmente inquadrabile è infine Robinson (o Léon), una sorta di doppio del protagonista, che va e viene meravigliosamente per tutti i luoghi toccati da Bardamu: in guerra, in Africa, in America, in Francia; buono, incattivito, profittatore, falso, sincero, svogliato? Difficile da dire, forse tutte quante le cose.

147In apertura si è parlato anche dello stile di questo libro, per i tempi rivoluzionario. Ebbene, il linguaggio di Céline è fortemente vicino all’argot, ovvero al gergo dialettale e popolare – certo rimodellato e modificato, eppure possiede anche guizzi decisamente più classici: ci troviamo così di fronte ad una forma sempre altalenante, che procede secondo parabole irregolari – o per improvvisi e ripidi capovolgimenti – dall’alto verso il basso e viceversa, da momenti diversamente lirici a caustiche invettive, da sinceri slanci di meraviglia a impietose e ironiche descrizioni di luoghi e persone, senza fare sconto dei termini più diretti o anche volgari, che non sono mai gratuiti ma sempre finalizzati ad un’esigenza espressiva, a tratti espressionistica. La traduzione italiana restituisce appieno questa viscosità linguistica, che è anche continua tensione e ricerca, e dopotutto il filo conduttore dell’intero romanzo è proprio l’inquietudine, una presenza costante e destabilizzante che – vediamo – si rispecchia nello stile narrativo. Altro tratto assai apprezzabile è poi la costruzione céliniana dei luoghi, piuttosto varia: alcune volte spigliata, altre frammentata, altre ancora quasi impressionistica.

louis-ferdinand_celineMa dunque che cos’è questo libro? Un lungo monologo interiore, un ironico diario di viaggio, un romanzo diversamente picaresco? A voi la scelta.
Il viaggio di Bardamu non è diretto solo verso la fine ma anche verso il fondo della notte, cioè dell’esistenza: chi siamo? Cosa c’è oltre l’orizzonte? Cosa dentro di noi?
Céline ha scandagliato la sua contemporaneità, ne ha messo in luce vizi e virtù, esplorando la miseria degli strati sociali più bassi e l’ipocrisia della borghesia, e rimanendone sempre invischiato. Eppure non si è mai autoassolto: Bardamu sa di essere colpevole, almeno quanto lo sono gli altri.
La sua è una narrazione priva di moralismi: attraverso la deformazione di una satira a dir poco pungente a palesarsi è sempre la realtà, nuda e cruda, in tutta la sua povertà, in tutta la sua ricchezza. Bardamu-Céline vede, sente e infine giudica, ma sa di non possedere alcuna verità assoluta; di fronte alle avversità non lotta, preferendo fuggire; è perfettamente conscio di essere anche un codardo e un debole, ma non se ne vergogna. La prima vittima della sua satira è infatti lui stesso, sempre ridicolizzato e sminuito, proprio come gli altri.
Ed è anche questo, il libro di Céline, un capolavoro amaramente ironico: la vita che diventa tragicommedia.

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