William Shakespeare e Miguel de Cervantes
un dialogo possibile?
A quattrocento anni dalla scomparsa di due colossi della poesia e della letteratura, rispettivamente anglofona e ispanica, è bene ricordare il contributo che hanno dato alla cultura occidentale: stiamo parlando dell’inglese William Shakespeare e dello spagnolo Miguel de Cervantes. L’indeterminatezza che avvolge molti aspetti della vita del “Bardo”, come le notizie biografiche, l’aspetto fisico, la fede, fanno di lui uno dei personaggi più interessanti della letteratura del Cinque – Seicento. Ciò che colpisce ancora oggi alla luce dell’analisi delle opere shakespeariane è la vastità degli argomenti e dei temi trattati, tanto da farne un’ “enciclopedia vivente” del suo tempo. Motivi centrali di tali opere sono ancora di origine medioevale: dagli alti valori della nobiltà al contingentismo umano, da un tipo di spiritualità viva alla visione terrena e mortale della natura umana; non mancano elementi magici e fantastici presenti accanto alle narrazioni storiche dell’Inghilterra del suo tempo. Tra i temi affrontati, e che Shakespeare trae dal teatro elisabettiano, posto centrale ha la riflessione sulla morte: nell’immaginario dell’autore essa mostra il suo lato peggiore, fatto di uccisioni, torture, ma essa si mostra anche come viatico per evadere dalla realtà fatta di sofferenze, porta di accesso al regno dei morti, sogno, follia. Dal lato della morte, o per meglio dire, dalla visione di una sorta di “tanatopolitica” (la politica come Weltanschauung che dà la morte), si passa alla riflessione sul tema amoroso nelle sue infinite declinazioni: dall’amore dei Sonetti che può dare immortalità o uccidere chi ne è coinvolto, alla gelosia che uccide interiormente (come avviene a Otello per Desdemona), oppure all’eros visto come passione amorosa. Non manca nell’itinerario di Shakespeare l’affrontare temi politici, non certo come visione ideologica, ma come occasione per tratteggiare la contingenza della natura umana costituita dallo scontro tra pubblico e privato, tra ciò che è condiviso e ciò che è personale. Tutto il discorso politico è interessante poiché l’autore cerca un confronto e un dialogo con la classicità antica, in particolar modo con il mondo romano. Il mito della romanità è infatti il segno di fortezza, grandezza, maestosità a cui arrivò un popolo progredito come quello dei latini. Altro tema fondamentale in Shakespeare è quello della vendetta, soprattutto nel suo lato interiore, nascosto, celato, segreto: ne è un bell’esempio l’Amleto, dove il protagonista è assalito dal dubbio e dal desiderio di vendetta. Ma ecco allora che l’eroe shakespeariano ha di fronte a se due vie d’uscita a tale stato d’incertezza: il sogno e la follia, l’evasione dalla realtà e la pazzia per l’instabilità del divenire. Il grande contributo che Shakespeare ha dato alla letteratura è sottolineato non solo dalla vastità dei temi trattati ma anche e soprattutto dalla sua concezione del teatro come “luogo vivente”, di sperimentazione della dinamicità dell’esistenza. In tal modo egli ha potuto unire nelle sue opere il lato comico e quello serio, tragico in una fusione tale da sottolineare quanto egli abbia rappresentato con i suoi lavori la sintesi del passaggio dall’antico al nuovo mondo. Di stile ben diverso ma non lontano per i temi affrontati è l’opera di Miguel de Cervantes Saavedra. Nel suo capolavoro Don Chisciotte della Mancia, egli illustra attraverso i due personaggi, due visioni del mondo diverse fra loro: quello di don Chisciotte è un mondo razionale, ordinato, logico, aperto e dinamico. Sancio invece è un contadino analfabeta, custode della saggezza popolare e tradizionale testimoniato anche dal suo continuo rimando a proverbi o modi di dire. Si vedrà poi che alla fine del romanzo i due caratteri vengono a sovrapporsi, a intrecciarsi, tanto che il disincanto che don Chisciotte mostra sul finale è prova della consapevolezza del fallimento dei propri ideali. Si nota sullo sfondo dell’opera l’influenza che ha esercitato su Cervantes il romanzo picaresco, tipico genere spagnolo del XVI secolo, in particolare per quanto riguarda il tema del viaggio dell’eroe verso nuove avventure. Ciò è legato infatti alla complessa situazione sociale che si viveva all’epoca, dove permeava una visione della società legata a vincoli deterministici, in cui l’eroe si sforza, invano, di cambiare il tessuto sociale, e da cui si deduce che vigeva un forte immobilismo sociale. Anche il desiderio di Cervantes è,come si evince dal finale dell’opera, la necessità di una nuova rappresentazione della società, che non era più quella cavalleresco – feudale legata a valori immutabili propri di una fede religiosa, ma è una società che è in continua trasformazione e dinamizzazione. Ecco allora che l’opera di Cervantes presenta caratteri “futurologici”, è una visione del mondo che si emancipa da quella del passato per aprirsi a nuove esperienze e nuovi modi di concepire il reale, e tutto ciò è ben visibile nella persona del suo cavaliere “errante”.