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pubblicato 6 anni fa in Interviste

Intervista a Mario Fillioley

Intervista a Mario Fillioley

Abbiamo chiacchierato con Mario Fillioley, insegnante, scrittore, traduttore e sicuramente qualcos’altro. Qualche mese fa (a ottobre dello scorso anno) è uscito La Sicilia è un’isola per modo di dire (minimumfax, 2018), un libro che ci è piaciuto parecchio (recensito qui). Lo ringraziamo sia per averlo scritto che per queste brevi risposte.

Sul tuo profilo facebook ho seguito, divertendomi parecchio, gli stranianti commenti di alcuni dei grandi scrittori siciliani a proposito del tuo La Sicilia è un’isola per modo di dire (minimumfax, 2018). Come ti poni verso di loro?

Non ci si può porre verso di loro, sarebbe già oltraggioso anche solo pensare di porsi in qualsiasi maniera che non sia prona o genuflessa. Quelle cartoline, che graficamente sono il frutto del genio di Francesca Lopes, servivano appunto a far percepire la distanza siderale che c’è, in termini stilistici o letterari o anche solo teorici, tra quello che ho provato a scrivere io e quello che hanno scritto loro. Quello creato da loro è l’immaginario stesso della Sicilia, eterno, purissimo, oppure, in casi come quello di Sciascia, l’analisi più lucida e approfondita che si potesse mai fare di questa regione d’Italia e forse dell’Italia intera. Io ho solo provato a trattare questo posto come se fosse un qualsiasi altro posto, anche se su questo posto si sono scritte, dette, viste e immaginate tonnellate di cose: ho cercato di essere spontaneo, cioè di non fingere che non esista una Sicilia mitica, ma di trattarla come la tratta chi ci abita.

Ti è piaciuto di più il tuo primo libro o il secondo? Cosa pensi di come sono stati commentati?

Mi sa che nessuno dei due è stato commentato un granché, per fortuna. L’impianto dei due libri è abbastanza simile: il primo è un diario, quindi è frammentario per natura, il secondo è una specie di memoriale, un memoriale di fatti piuttosto recenti, ma anche qui prevalgono gli episodi. Non sono libri con una trama o una storia, non c’è un intreccio di fatti da seguire, non avrei saputo scrivere una storia. Nel secondo però c’è più uniformità: ho avuto un bravissima maieuta, Alessandro Gazoia, come editor, e grazie a lui nel libro sulla Sicilia si avverte lo scorrere di fili che in maniera, spero, molto leggera, tengono insieme gli episodi. Ci sono personaggi che ritornano e fanno da collante, o semplici espressioni che fanno un po’ da ritornello, un po’ come in una canzone.

Quali sono gli autori che pensi ti abbiano influenzato di più?

Sarebbe offensivo per loro citarli come miei modelli, io posso solo dire che ci sono scrittori che ho letto con molto entusiasmo, in varie età della vita, e da cui non mi sono mai  più separato. Non so, John Fante mi fa sempre molto ridere, ma anche Il signor Veneranda di Carletto Manzoni è un libro che rileggo ogni tanto credo da quando avevo otto anni. Poi che so, c’è La mia famiglia e altri animali di Durrell, e poi da grande ho perso la testa per i libri di Antonio Pascale, Domenico Starnone, Francesco Piccolo, Diego De Silva, Roberto Alajmo, e poi Ugo Cornia: in Italia ci sono scrittori che scrivono in un modo magnifico, un misto di saggio e romanzo, io posso solo sperare che qualcosa, una qualsiasi cosa anche minima di uno di loro, sia passata a me.

C’è uno scrittore che detesti?

Boh, penso di no, se il libro non mi piace, di solito lo chiudo e basta. Poi secondo me più che lo scrittore uno dovrebbe pensare al libro: magari uno scrittore ha sempre scritto cose che ti annoiavano e invece poi scrive un libro che ti sembra bellissimo, oppure al contrario. Secondo me capita di continuo.

Hai già in mente un altro romanzo?

Gli argomenti li ho esauriti, mi sono rimaste le fissazioni. Che in questo momento sono due: i gelati e il maxiprocesso. Sui gelati mi piacerebbe fare un libro illustrato, ma più che altro per me: non credo esistano molti lettori interessati ai libri sui gelati. Sul maxiprocesso invece mi piacerebbe scrivere una specie di piccola guida ai filmati che si trovano su Youtube, quelli con le deposizioni dei collaboratori di giustizia o con le udienze integrali da 3 ore e mezza. Ci sono episodi magnifici in quelle udienze, raccontati a volte in modo disincantato e a volte in tono favolistico,  c’è il reale che diventa surreale con effetti stranianti, umoristici, a volte si aprono squarci enormi sulla natura dell’essere umano, e in modo molto spontaneo, senza retorica. Solo che il maxiprocesso non mi sembra un argomento di stringente attualità, per cui anche in questo caso, non credo ci siano né editori né lettori interessati all’argomento. Oltretutto scriverlo sarebbe una faticaccia, quindi meglio così.


Intervista a cura di Federico Musardo

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