Intervista ad Annelisa Alleva
Andrea: Prima ancora che poeta, Annelisa Alleva è una slavista. Lo studio del russo ha influenzato in maniera evidente la sua carriera artistica e professionale, ed è oggi una lingua sempre più studiata nelle università. Cosa ha influenzato la sua scelta di intraprendere questo percorso di studi e come ha cambiato il suo approccio alla letteratura?
Annelisa: Non mi sento prima slavista e poi poeta. Poeta lo sono stata da sempre, altrimenti forse non avrei neppure accettato di cominciare a studiare il russo a sette anni con una signora polacca che ne aveva più di ottanta, per di più in un’epoca, all’inizio degli anni Sessanta, in cui il russo non lo studiava nessuno. Lo studio del russo e dei russi mi ha certamente influenzato molto, nel senso che ha allargato i miei orizzonti, la mia curiosità, la mia immaginazione; ha stimolato il mio senso dell’avventura. È una lingua difficile, scritta con un altro alfabeto, ma qualsiasi complicazione implica una sfida, ti rafforza il carattere. Ho scelto di studiare lingua e letteratura russa all’università, perché la letteratura è sempre stata parte di me, e a diciotto anni conoscevo già il russo molto discretamente. In più, avrei studiato con Angelo Maria Ripellino, che era uno straordinario poeta maestro. Il mio approccio alla letteratura è sempre rimasto lo stesso, forse l’unico possibile: un’attrazione invincibile per l’elemento libresco. Quella russa è considerata la regina delle letterature, un assoluto. Compito arduo penetrarvi, capirla.
Andrea: Lei è riconosciuta dagli addetti al settore come una traduttrice eccellente. L’attività di traduzione si accompagna alla riflessione poetica di tantissimi grandi autori, che svolgono questa attività in maniera occasionale o, come nel suo caso, professionale. Solo in Italia viene in mente Landolfi, grande slavista e grandissimo prosatore, ma vengono alla mente i nomi di Montale, Pavese o, in tempi più recenti, Zanzotto e Magrelli; l’elenco potrebbe continuare a lungo. Nella sua esperienza, che importanza ha e come si connota il rapporto tra l’attività di traduzione e lo sviluppo della riflessione poetica?
Annelisa: La ringrazio per questo complimento, ma non mi sento una traduttrice professionale. Chi fa il traduttore come mestiere di solito ha tradotto decine e decine di libri, io ne ho tradotti solo sette. Importanti e corposi, questo sì. Alcuni valgono per dieci, come Anna Karenina. Quella eccellenza che lei sostiene mi venga riconosciuta deriva forse dal fatto che sono una scrittrice che traduce, e non ce ne sono molti per il russo in Italia. Per me poesia e traduzione sono sempre vissute a braccetto, e distinguere che cosa sia venuto prima, come le dicevo nella risposta precedente, è impossibile. C’è semplicemente una concatenazione di eventi che hanno contribuito a fare di me quello che sono. Qualcuno ha detto che la mia parola poetica è molto precisa: ecco, questo lo devo sicuramente, in parte, al lavoro puro sulla lingua della traduzione di poesia e prosa da un’altra lingua.
Andrea: Si è fatto cenno ad autori di primissimo piano della letteratura italiana, Lei nella sua poesia fa spesso riferimento ad autori ed opere chiave della letteratura mondiale. Nella coscienza dell’impossibilità di rispondere a una domanda del genere in poche righe, Lei ha elaborato, nel tempo, un “suo” canone letterario?
Annelisa: Sarò brevissima, invece: no, non ho elaborato nessun canone letterario. Ho solo letto e amato, e vorrei continuare a farlo sempre. Gli scrittori mi hanno fatto sognare, mi hanno portato in altre epoche e luoghi, mi hanno spiegato qualcosa di me e delle cose del mondo che non avevo ancora messo a fuoco, mi hanno stupito con la loro cattiveria, la loro lucidità; mi hanno consolato con il loro dolore. Mi hanno ispirato. Vedo nella lettura una forma di astrazione che può diventare elevazione, e che comunque accresce la tua conoscenza; ti matura e ti fa rimanere infantile allo stesso tempo. Non ho sposato nessun canone, spero solo di avere un mio stile, diverso da quello di tutti gli altri.
Andrea: Nella tua ultima raccolta, Caratteri (Passigli, Firenze, 2018), sono presenti numerosi spunti di carattere autobiografico, in particolare nella sezione di «Bogliasco», a mio avviso uno dei punti forti della raccolta. Che importanza ha questo luogo nella sua vita personale e come cambia attraverso il filtro della poesia?
Annelisa: Beh, sì, la sezione «Bogliasco»della mia raccolta Caratteri è decisamente autobiografica, ma anche misteriosa, un po’ segreta, proprio perché autobiografica. Non voglio svelare troppo. Può capirla meglio chi ha letto anche la mia raccolta precedente, La casa rotta. Ci sono diversi personaggi, che entrano e escono di scena. Il teatro è il mare della Liguria, di Bogliasco appunto, visto alla fine di un’estate che sembra protrarsi all’infinito. Il luogo è magnifico e estremo: sono tornata il mese scorso a Genova, dove ho presentato la mia raccolta. I monti in alto, in basso il mare con le chiese che qualche volta lo sfiorano sulla spiaggia, e in mezzo la via Aurelia e la ferrovia. Il trenino che congiunge tutti i paesi della costa addomestica la ripidità del paesaggio. Venivo dal lutto per la morte di mia madre, l’estate in cui andai a Bogliasco per la prima volta circa dieci anni fa. Il filtro della poesia l’ha resa più mia.
Andrea: Prendendo spunto dalla domanda precedente, la prassi editoriale generalmente non si cura di inserire dati biografici per gli autori contemporanei, e il più delle volte questi si limitano, quando presenti, alla data, al luogo di nascita e a un elenco sintetico delle principali pubblicazioni. Ritengo personalmente che, in casi come il suo, questi dati risultino fondamentali per la piena comprensione di passaggi fondamentali dell’opera da parte del lettore. Qual è la sua opinione in merito?
Annelisa: Come accennavo prima, trovo che un po’ di mistero ci voglia. Se lo si legge attentamente, un testo ti rivela tutto, anche l’età dell’autore. A Bogliasco c’è una Fondazione che ospita ogni anno scrittori e artisti di diverse categorie provenienti da ogni parte del mondo. Quell’anno era stato invitato fra gli altri Ruggero Savinio, pittore, mio marito. Aveva uno studio dove dipingere di giorno, e poi la sera ci si riuniva tutti, con gli altri ospiti, nella villa principale a picco sul mare. In un clima formale e insieme amichevole ci si incontrava tutti per la prima volta, con interessi e mestieri in comune. L’incontro è temporaneo, le amicizie sfumano presto, dopo un mese ognuno torna a casa, ma questo rende l’atmosfera particolarmente briosa, incuriosita. Il rituale di mangiare insieme ogni sera accorcia le distanze, il fatto di essere serviti a tavola e di mangiare bene rende l’umore rilassato. Poi qualche amicizia si protrae, proprio come l’estate quell’anno era durata a lungo. Si può anche provare nostalgia per qualche ospite. Capita anche di rincontrarsi. Questo il background di «Bogliasco».
Andrea: Nel corso della sua carriera, sia artistica che professionale, si è trovata a rapportarsi con i diversi livelli dell’editoria italiana: le grandi case editrici, specialmente nel corso della sua esperienza di traduttrice, e le piccole e medie, avendo stampato le sue raccolte per numerosi editori diversi. Pensa che questa situazione, che vista da fuori appare tanto stabile e apparentemente immutabile per quanto riguarda i grandi editori, quanto dinamica e sfaccettata per quanto riguarda i piccoli e medi (che di fatto lanciano il più delle volte gli autori che dopo il successo iniziano a pubblicare stabilmente per le grandi case), rappresenti un vantaggio o uno svantaggio per gli autori?
Annelisa: Direi che per gli autori è un vantaggio. Spesso le piccole e medie case editrici sono più selettive delle grandi, o meglio hanno un criterio di selezione che è quello che dovrebbero avere tutte. Le case editrici più grandi sono viziate dal desiderio di vendere, e questo ci confonde le idee sulla qualità dell’opera. Vizia la testa anche a noi.
Intervista a cura di Andrea Talarico
Fonte dell’immagine (la foto è di Dino Ignani)