Andrea Talarico
pubblicato 5 anni fa in Recensioni

Tra presente e passato

"Caratteri" di Annelisa Alleva

Tra presente e passato

Esce per la prestigiosa collana «Passigli Poesia» (fondata da Mario Luzi) Caratteri di Annelisa Alleva (Passigli 2018), una raccolta che ha già attirato l’attenzione di diversi tra gli addetti del settore.      

         
Alleva, nata a Roma nel 1956, ha una formazione da slavista, è laureata in letteratura russa e la sua traduzione di Anna Karenina (Frassinelli 1997, poi Mondadori 2010) si è aggiudicata il Premio Russia-Italia 2010 per la migliore traduzione di un’opera di Tolstoj.  
L’esordio poetico avviene a 40 anni con Mesi (Galleria Centofiorini 1996), corredata dalle illustrazioni dell’artista – e marito –  Ruggero Savinio, figlio di Alberto e nipote di Giorgio De Chirico. Proprio a Ruggero è dedicata Caratteri, che si articola in quattro sezioni.    

       
Bogliasco, la prima, si presenta come una sorta di unico poemetto illustrato per quadretti (si sarebbe tentati di dire “frammenti”, ma non vorrei indurre a paragoni un po’ troppo illustri; il termine trova legittimazione in un’immagine che si legge in apertura della raccolta, a p. 10) privi di titolo, che rievoca (apparentemente; pure contro la prassi editoriale diffusa sarebbe utile per il lettore, specialmente in opere come queste in cui la componente autobiografica risulta fondamentale, avere a disposizione una biografia minima anche per gli autori contemporanei) luoghi e momenti della vita dell’autrice, mescolando avvenimenti del passato remoto e prossimo, in un clima di sospensione temporale. In questa sezione i paesaggi di Bogliasco, le vicende e i personaggi che si succedono su questo sfondo sono proiettati in un tempo e uno spazio sospesi, denso di elementi materiali concreti che tendono a farsi assoluti nel verso di Alleva (penso, ad esempio, al Narciso di Bogliasco, a p. 11) una sorta di “paesaggio mentale” che si delinea in continuo dialogo con la tradizione storica, artistica e letteraria, appena evocata nella costante costruzione di una rete di significati “altri”:

L’altro era un paggio, un Romeo senza Giulietta,       
un Sebastiano estenuato dai dardi femminili,              
un Battista, un Giovannino senza barba,      
non San Martino che cede metà del suo mantello.     
Lui è Vronskij e Levin, un Majakovskij bello.            
Il primo commentò il mio racconto sulla fuga di Barrett          
e Browning innamorati: «Great!» e io, di rimando:   
«Yes, great», con un tono tranquillo.

Nel castello su ogni porta era un nome:        
Shakespeare, quello dei sonetti,      
Yeats, quello delle poesie giovanili,              
Brontë, Emily di Cime tempestose.
Ovunque regnava la tirannia dell’amore.      
(Bogliasco, p. 19)

La seconda sezione, Madre, sviluppa una profonda riflessione sul lutto materno (e paterno) dell’autrice, che in qualche modo si fa assoluto nella poesia che chiude la sezione, Il carrozziere, dove lo sconosciuto carrozziere racconta all’autrice di aver perso suo figlio, accomunando i due nell’elaborazione del lutto. La brevissima sezione dei Sogni si svolge in una serie continua di rapidi schizzi che ripercorre, presumibilmente, la storia del matrimonio di Alleva. La sezione dei Caratteri che, malgrado l’esiguità, dà il nome alla raccolta, assume un’importanza centrale: l’autrice tratteggia il profilo di otto personaggi (e quindi characters?), che si presentano in prima persona, e che derivano direttamente da quella tradizione letteraria e culturale russa che occupa un ruolo indubbiamente centrale nel percorso letterario (e professionale) di Alleva, come la moglie di Tolstoj Sof’ja Andreevna o la celebre statua del cane (che si dice portare fortuna a chi lo accarezzi) a Piazza della Rivoluzione a Mosca (Caratteri 6, 8, pp. 68, 69). La sezione dei Magneti cinesi è il racconto di un viaggio in Cina, in cui l’autrice fa mostra di un occhio particolarmente attento soprattutto nel cogliere gli effetti della globalizzazione (di fatto nell’occidentalizzazione) nella Pechino mèta del suo viaggio. La sezione è redatta in prosa, ma la collocazione all’interno di una raccolta di testi poetici ne sottolinea l’importanza nella ricostruzione dell’autobiografia intellettuale dell’autrice, che comunque non disdegna l’inserimento di brani più confacenti alla prosa d’arte che a quella diaristica:

Quando afferma sembra che domandi, quando domanda è come se la sua voce camminasse tortuosamente in pianura. Il movimento della sua voce somiglia ai dragoni raffigurati nei bassorilievi di marmo bianco, lungo i quali i portantini dovevano avanzare con cautela per non inciampare fra artigli, lingue e code, mentre sostenevano il peso dell’imperatore all’interno della Città Proibita (Magneti cinesi, p. 78).

Segue una sezione di Epigrammi: l’autrice si cimenta con un genere antichissimo e tra i più longevi della letteratura occidentale (con successo vario: spesso in questi componimenti il verso conclusivo, fondamentale nel genere, manca di sagacia e risulta un po’ fiacco), celando una serie di figure (suoi conoscenti, presumibilmente) sotto soprannomi di ispirazione classica, sul modello della prassi latina, a partire presumibilmente da caratteristiche fisiche (Rufa, Calvo, Vocione) o nomi di personaggi celebri della storia e della letteratura classica (come Titiro, Domiziano o Vesta, con la minima riserva che possano, dubitativamente, corrispondere ai veri nomi degli intestatari dei componimenti).     


La sezione seguente, haiku, attinge alla cultura giapponese e a un tipo di componimento, l’haiku appunto, che ha già avuto un impatto notevole sulla tradizione poetica in lingua italiana, influenzando poeti del calibro di D’Annunzio, Ungaretti, Saba, Zanzotto e Sanguineti; Alleva non manca comunque di proporre una sua personale interpretazione del genere, elaborando una struttura che fa dell’haiku, originariamente concepito come un componimento di tre versi, costituiti rispettivamente di circa 5, 7 e 5 ‘more’ (la mora è un’unità fonetica, che non coincide esattamente con la sillaba), l’unità strutturale di componimenti più lunghi, in cui più haiku (che qui assumono la funzione delle strofe) sono disposti lungo una linea di continuità sintattica che va a formare dei componimenti decisamente più lunghi rispetto alla forma tradizionale. Chiude la raccolta una brevissima sezione, Georgia (anch’essa ispirata da un viaggio compiuto dall’autrice, pare per dimenticare una storia d’amore finita male, ricordato a p. 20 e alluso a p. 76) composta di due soli componimenti: Capisco la cantilena delle donne e Davanti al monumento di Puškin (probabilmente il mezzo busto del poeta situato vicino Piazza della Libertà a Tbilisi), nel cui segno l’autrice chiude simbolicamente la raccolta.           

La poesia di Alleva si svolge in continuo dialogo con la tradizione, recente e antica. Questo meccanismo opera su due livelli: uno esplicito, come nella poesia sopra citata in cui si citano e si intrecciano espressamente autori e personaggi della tradizione letteraria russa e di quella inglese; e un altro, più sottile, in cui le allusioni sono implicite, non espresse, e forse per questo motivo rimandano a un significato più profondo che si chiede di cogliere al lettore attento. Mi sembra il caso di questi versi, tratti ancora da Bogliasco (a mio umile giudizio la sezione più riuscita della raccolta): sbaglierò, ma nei versi mi sembra di riconoscere tanto i tratti del mito di Orfeo ed Euridice quanto quelli della condizione degli amanti sotto la «bufera infernal» del canto V dell’Inferno, e quindi di Paolo e Francesca:

Procedevano di pari passo, legati    
ma a distanza, sempre la stessa.      
Lei lo seguiva confidando
nel suo cammino lento ma sicuro.  
Poi un giorno lei si voltò indietro:  
la tentava un tintinnio insistente,    
ma la strada perlopiù era fatta.       
Lui si voltava continuamente,        
a controllare il suo rimpianto.         
Erano ormai lontani entrambi,        
non potevano sostare, né tornare    
indietro, solo andare avanti.            
(Bogliasco, p. 15)              


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