La fatalità dell’ignoranza:
eroi tragici a confronto
Dall’antichità ai nostri giorni l’eroe tragico è destinato ad una fine tragica che sembra essere ineluttabile. Questo destino per alcuni personaggi è inevitabile, mentre per altri è piuttosto il risultato di un accecamento, fisico o metaforico. Si tratta quindi dell’impossibilità di vedere chiaramente il proprio destino prima del suo compimento, della fatalità dell’ignoranza. La vera tragedia sarebbe dunque legata alla cecità ed evitabile solo da coloro che posseggono la verità. Nella tragedia questi personaggi portatori di verità sono tradizionalmente presenti, ma ignorati o respinti dal personaggio “cieco”. Altro elemento costituente della tragedia è la “scena di riconoscimento”(anagnorisis), nel quale l’eroe si rende conto finalmente di quale sia la verità, ma troppo tardi perché possa avere effetto sul destino che è inesorabilmente destinato ad essere tragico. Tuttavia l’uomo avrebbe quindi, in una certa misura, responsabilità del proprio destino: a condannarlo è la propria ignoranza. La questione della colpevolezza e dell’innocenza è sempre stata centrale nella caratterizzazione degli eroi tragici. Secondo Aristotele i due aspetti devono necessariamente coesistere per permettere la tragedia: l’eroe totalmente colpevole non consente allo spettatore l’immedesimazione e la punizione finale viene considerata quale naturale conseguenza; l’eroe totalmente innocente che va incontro ad un destino tragico suscita invece semplice sdegno nel pubblico, perdendo così il potere catartico dell’opera. I personaggi “accecati” non sono totalmente staccati dalla verità: spesso avrebbero la possibilità di prenderne coscienza ma rifiutano di farlo.
Nella tragedia Edipo Re di Sofocle Edipo desidera liberare il proprio popolo dalla peste. Quando Tiresia, l’indovino, tenta di fargli capire che la causa della peste è lui stesso (e secondo la profezia sarebbe dunque lui a dover essere cacciato), Edipo reagisce molto violentemente. Sta quindi peccando di hybris: pur avendo sempre confidato in Tiresia, il suo orgoglio ora prende la decisione di non dargli retta. Edipo è cieco dall’inizio dell’opera e il suo accecamento fisico nel finale è simbolico della presa di coscienza non soltanto del proprio destino ma anche del proprio errore. Anche in Re Lear è la hybris a causare la tragedia: Lear infatti non sa riconoscere la sincerità di Cordelia e il suo orgoglio lo condanna. La hybris di Lear è legata alla follia e alla vecchiaia: ciò lo rende un personaggio fortemente pietoso. È infatti difficile determinare chiaramente se l’accecamento di Lear sia causato dalla follia o dall’orgoglio e dunque determinare in quale misura egli sia colpevole del proprio destino tragico. Altro tema ricorrente nella tragedia classica è quello del tradimento familiare (già presente sia in Edipo Re che in Re Lear).
Nell’opera Mitridate di Racine costituisce il nodo centrale. Il desiderio di potere di Mitridate si esprime anche attraverso il possesso di Monime, sua promessa, di cui però i figli sono innamorati. Nonostante Mitridate sia un personaggio assai violento, quando scopre l’amore di Monime per il figlio Xipharés, non la condanna. Il suo accecamento è totale poiché egli crede di essere tradito da Xipharés, unico figlio invece che lo ama e gli sarà fedele. Mitridate diviene dunque personaggio totalmente tragico, rivestendo il ruolo di tiranno ma soprattutto di vittima. Un accecamento ben diverso è quello che caratterizza il personaggio centrale della tragedia La casa di Bernarda Alba di Garcia Lorca. Bernarda lungo l’intera pièce nasconde la tragedia che si svolge tra le pareti bianche, immacolate, della sua casa. Tenta così di nascondere e cancellare i desideri delle figlie, ogni tipo di sentimento e di verità. Il suo accecamento sembra dunque volontario e la sua innocenza non è così evidente neppure nella scena finale, quando la tragedia è stata consumata, ma Bernarda continua ad esercitare il proprio ruolo autoritario. Tuttavia tutti i personaggi ad un dato momento sono messi di fronte alla verità, sia rifiutandola, sia prendendone coscienza nella scena di riconoscimento.
La scena di anagnorisis in Edipo Re rivela già parte della folle violenza che caratterizzerà Edipo quando sarà cosciente del proprio errore. Il suo accecamento rappresenta la reazione più violenta possibile: egli non si dà la morte, ma si condanna a pagare per la propria precedente cecità, e così diviene eroe estremamente tragico. Anche Lear all’inizio caccia il suo servo che tenta di dimostrargli la bontà di Cordelia. Per Lear non vi è una vera e propria scena di riconoscimento, anche a causa della propria follia. Tuttavia ad un dato momento, risvegliatosi da un lungo sonno, ritrovando Cordelia, le si rivolge dicendo: “Sono vecchio e imbecille”. Egli ammette dunque di essere vittima ma anche di essere colpevole. Questa scena prende toni decisamente patetici a causa di questa reazione priva di violenza o collera. Sentimenti molto simili sono evocati dalla scena della morte di Mitridate: questo finale inesorabile a causa del proprio accecamento crea un forte pathos nello spettatore. Al contrario quando Bernarda scopre il suicidio di Adele ancora una volta il suo unico interesse rimane quello di salvaguardare la dignità della famiglia: sembra rimanere cieca e non prendere coscienza della propria totale colpevolezza. Questa “assenza di pathos”, di sentimento, questa madre impassibile e quasi disumana fanno risuonare in maniera estremamente intensa il tono tragico dell’opera.
Garcia Lorca per controbilanciare la colpevolezza di Bernarda fa di Adele un personaggio totalmente innocente, quasi una martire, una vittima sacrificale della follia della madre: la sua unica “colpa”, che la conduce alla morte, è un desiderio implacabile di amore, vietato tra le mura di Bernarda. Adele porta in casa la “verità”, mette la madre di fronte alla propria crudeltà; ma Bernarda non cerca una verità al di fuori di se stessa e del proprio rigore, rendendo dunque la tragedia inevitabile. La scena di riconoscimento nella tragedia corrisponde tradizionalmente anche all’annuncio del finale tragico: normalmente infatti corrisponde ad un punto di non reversibilità dell’azione. I personaggi sono dunque già vittime del loro destino, tuttavia lo spettatore, ignaro di questa situazione, tende a vedervi un’illusoria possibilità di salvezza. Ma la presa di coscienza fa invece cadere sull’eroe tutto il peso della propria colpa e del proprio errore, trascinandolo in un vortice di crescente tragicità. Si mescolano dunque per lo spettatore sentimenti di pathos, di terrore e di speranza. Seppure in diversa misura, Edipo Re, Re Lear, Mitridate e La casa di Bernarda Alba suscitano questo mélange di sentimenti lungo l’intera narrazione, e i rispettivi eroi e personaggi non concedono mai un giudizio definitivo allo spettatore: essi sono infatti esempi perfetti dell’eroe tragico nel suo significato più classico, eroi dunque colpevoli ma innocenti, estremamente umani.