A lezione da Pier Paolo Pasolini
alcuni spunti sulle influenze pasoliniane nel cinema italiano
Buona parte della critica a Pasolini ha sempre speso parole poco edificanti e incoraggianti. Come ricorda anche Walter Siti in una recente intervista, a proposito appunto della ricezione di Pasolini, spesso la sua vera essenza, cioè quella di artista, è stata trascurata. Pasolini non c’entra nulla col pasolinismo, con l’aver creato attorno a lui una figura, un’icona pop da osannare nei cenacoli culturali. Pier Paolo Pasolini sembra essere al centro di ogni discorso, sembra essere diventato quel terzo occhio veggente capace di tutto, di predire tutto; dimentichiamo però che siamo noi a tributargli tutto questo.
Poliedrico, Pasolini è stato un artista che si è impegnato nella pittura, nella scrittura di prosa, di saggistica, di poesia; ma -come alcuni ritengono- è il Pasolini regista che merita la più grande attenzione. Anche Carmelo Bene, sempre così schietto e caustico nei confronti della settima arte, riconosceva in alcuni film di Pasolini (per esempio Il vangelo secondo Matteo) una capacità lirica altissima tanto da essere paragonabile al teatro. I film di Pasolini, il suo modo di girare un film, hanno fatto scuola, direttamente e indirettamente. Una produzione, prevalentemente nostrana, seppur non si identifichi in una corrente neo-neorealista o neo-pasoliniana, ha seguito le lezioni di Pasolini.
Nel panorama cinematografico italiano, tra gli autori più attenti alle sue lezioni, troviamo Nanni Moretti. Pur con le dovute differenze, di natura sociale e personale, nonché storiche, Moretti è un regista che ha accolto alcuni parametri del cinema di Pasolini. Il tributo a volte è palese: in Caro diario forse persino supera le intenzioni del regista e con la sequenza finale dell’episodio In Vespa l’omaggio si fa chiarissimo. La sequenza si apre infatti con un primo piano di giornali che riportano la notizia della morte di Pasolini e la voce di Moretti che afferma «Non so perché, ma non ero mai stato nel posto dove è stato ammazzato Pasolini». Egli fa da ponte con la lunga sequenza, in vespa appunto verso l’idroscalo di Ostia. Un omaggio senza retorica, forse persino esteticamente scarso, di pochi secondi, ma che sembra metta in atto ciò che Pasolini stesso aveva teorizzato nelle Osservazioni sul piano-sequenza. Lì infatti scriveva che questa tecnica di ripresa fosse come una “soggettiva”, una serie piccola di riprese piuttosto amatoriali che necessitano del montaggio registico per essere compiute, così come le azioni umane hanno bisogno di un montaggio: se “l’uomo si esprime con la sua azione”, affinché essa sia compiuta, c’è bisogno della morte, che diventa “montaggio della vita”. A tutto questo allude Moretti nella sequenza del proprio film, forse persino con un senso di pudore di fronte a una morte già avvilente, perché violenta, senza alcuna volontà di eviscerarla ancora, ma di rispettarla. L’episodio finale segue però a una serie di tributi sparsi nel film, perché ad esempio vediamo Nanni Moretti aggirarsi proprio tra quei quartieri periferici della ruralità delle borgate riprese anche da Pasolini.
Sarebbe troppo semplice parlare di una completa identità fra i due registi, perché Moretti accoglie i messaggi di Pasolini, ma li condisce con una sagace ironia (e soprattutto auto-ironia), andando ugualmente contro la società e i suoi vizi, senza distaccarsene. Infatti Moretti è presente come attore principale nei film che gira, soprattutto quelli più dichiaratamente pasoliniani.
Non solo Nanni Moretti è tra quanti hanno accolto le lezioni cinematografiche e artistiche di Pasolini. Un riferimento certo, forse meno noto, è anche Claudio Caligari. Il regista, scomparso di recente, ha lavorato in quarant’anni a tre film: Amore tossico (1983), L’odore della notte (1998) e Non essere cattivo (2015). L’ultimo è stato fortemente voluto da Valerio Mastandrea che ne ha promosso l’edizione ed è arrivato, ma fuori concorso, anche al Festival di Venezia. Ambientato ad Ostia, nel 1995, il film racconta di due “ragazzi di vita”, interpretati dai bravissimi Luca Marinelli e Alessandro Borghi. Se in Amore tossico il mondo pasoliniano degli esclusi era rappresentato da ragazzi condannati dall’eroina alla marginalità, in questo recente film a farla da padrone sono le droghe sintetiche e la cocaina. L’orgogliosa marginalità della borgata romana si arrende ai consumi indiscriminati, ai vizi commercializzati e crea quell’amalgama indistinta che già Pasolini aveva colto, dicendo non vi fosse più distinzione fra pariolini e borgatari. Ci sono gli stessi luoghi degli altri film di Caligari, ma corrotti ora dalla mutazione antropologica dei costumi operata dal consumismo. Cesare e Vittorio sono i nomi dei due protagonisti: se il primo allude ad Amore tossico, il secondo invece fa riferimento al Vittorio del film di Pasolini, Accattone. Pasolini riteneva che nessuno avrebbe potuto reinterpretare quel ruolo alla stessa maniera, perché erano mutate le contingenze storiche e sociali. Eppure l’accattone di Caligari riesce benissimo nella sua parte, nel disperato tentativo di resistere e sopravvivere spacciando nei locali del litorale ostiense.
I film di Caligari sono artisticamente determinati dalla lezione del Neorealismo italiano, perché la scelta di rappresentare gli esclusi, i poveri è sempre fedele e schietta, quasi -alle volte- una narrazione di taglio documentaristico. Non manca mai però una certa nota di dissacrazione, di ironia. Per Caligari il cinema era espressione diretta di uno spettacolo che appartiene alla classe popolare più subalterna, che nasce per essere fruita soprattutto da coloro. La borgata, le sue debilitazioni sono il fulcro del suo cinema, inserendosi in continuità con Pasolini. Gli spaccati sociali che vengono rappresentati, le riprese dei luoghi, sono tutte guidate da un regista che ha compreso la lezione di Pasolini, ovvero la deformazione delle periferie a causa del consumismo. Periferie abitate da gente che è costretta a sopravvivere, quindi in stretto rapporto con l’illegalità, ma cui sono riservati sempre margini di riscatto, se non materiale almeno personale. Che ne approfittino o meno, anche gli accattoni di Caligari possono cambiare, ma forse non lo fanno e finiscono per morire di overdose sulla spiaggia di Ostia, all’idroscalo, proprio sotto il monumento funebre per Pier Paolo Pasolini.